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La transizione al digitale

     Luglio 23, 2019   No Comments

Energie Nuove – NUMERO 1 – luglio 2019

La transizione al digitale

di Francesco Beccari – Esperto di organizzazione nella Pubblica Amministrazione

Nel 2005 con il d.lgs n. 82 veniva redatta la prima versione del Codice dell’Amministrazione Digitale, una serie di articoli che mettevano le basi del passaggio all’amministrazione del futuro, in linea con quelle che erano le innovazioni tecnologiche e di processo che il mondo del privato stava già sperimentando da più tempo e con successo.

A dicembre 2017, con il Decreto Madia, si è arrivati alla sua quinta versione, che ha ratificato alcuni assi portanti (la PA forma e firma gli originali dei propri documenti con mezzi informatici, razionalizza e semplifica i procedimenti amministrativi, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte di cittadini ed imprese in conformità di precise prescrizioni tecnologiche ma soprattutto la carta non è più uno strumento di comunicazione con e fra le Pubbliche Amministrazioni) ma soprattutto ha ribaltato il paradigma classico delle normative: la transizione al digitale non è tanto un obbligo con scadenze e sanzioni, bensì la si è trasformata in un diritto per cittadini ed imprese.

Con questo ribaltamento di prospettiva, con questa sorta di rivoluzione copernicana, la pubblica amministrazione risponde del mancato passaggio al digitale nel momento in cui ad un cittadino o ad una impresa vengono negati i propri diritti digitali.

Per esempio, se un cittadino ipovedente ricerca una delibera di consiglio comunale che lo interessa e non riesce a leggerla con i dispositivi tecnologici che gli rendono accessibili i documenti perché questa è una scansione (quindi una immagine) e non una conversione in PDF che un lettore OCR riesce riconoscere, ecco che ha il diritto di rivolgersi al Difensore Civico per il Digitale e segnalare il disservizio. In quel caso, qualora si rilevi che effettivamente non si è provveduto a pubblicare i documenti in modo accessibile, ecco che scatterebbe una sanzione per mancata osservanza di uno degli articoli del CAD.

È chiaro quindi che dopo 14 anni e 5 revisioni, chiamarlo “Codice dell’Amministrazione Digitale” risulta fuorviante, poiché oggi non esiste (o almeno non dovrebbe) una Amministrazione “analogica”, ma solo Digitale e pertanto il d.lgs 217/2017 è oggi l’unico Codice dell’Amministrazione.

Ma come è possibile comprendere dagli scarsi progressi fatti in 14 anni, oltre che per l’esperienza di tutti i giorni nelle relazioni che si hanno con la PA, la trasformazione digitale è molto complessa e pertanto va gestita in maniera manageriale. Non per niente l’articolo 17 del CAD per supportare questo processo istituisce una nuova figura: il Responsabile per la Transizione al Digitale, ovvero una figura apicale individuata tra quelle già esistenti nelle singole organizzazioni pubbliche e dotata di adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali.

Poiché è difficile che in una unica risorsa siano concentrate queste 3 caratteristiche, il CAD parla di istituire un “ufficio” che si occupi della “transizione alla modalità operativa digitale e dei conseguenti processi di riorganizzazione”. La figura a capo di questo ufficio deve essere nominata dal vertice politico od amministrativo (a sottolineare che la digitalizzazione è anzitutto una responsabilità politica) e ad esso deve rispondere.

Le responsabilità ed i compiti di questa figura sono di varia natura ma è interessante vedere quanto l’elemento organizzativo sia ricorrente nei commi dell’articolo 17: si è infatti passati dalla mera informatizzazione (“ci serve un software”) alla digitalizzazione (“reingegnerizziamo i nostri processi in logica di efficienza e sfruttando al meglio le potenzialità del software”), portando quindi finalmente l’organizzazione al centro del processo di transizione.

Tutte le pubbliche amministrazioni sono quindi impegnate in questa trasformazione, dal primo dei dirigenti all’ultimo degli uscieri.

Per evitare però che continui a rimanere lettera morta per l’indifferenza dei dipendenti pubblici, sarebbe strategico legare i vari step di digitalizzazione al piano della performance e premiare il raggiungimento di questi obiettivi con un riconoscimento economico, legando quindi la digitalizzazione al PEG.

Se infatti la transizione al digitale è elemento strategico per il futuro della pubblica amministrazione, tale processo va governato, misurato e valutato alla stregua di qualsiasi altro processo di un Ente.

Ma non dimentichiamoci di una cosa: il processo di digitalizzazione, in particolare dei processi che riguardano i cittadini, non deve essere “esclusivo”, ovvero non deve portare all’esclusione automatica di fasce di popolazione che, per motivi diversi, non possono o non vogliono dialogare con la PA utilizzando le tecnologie informatiche.

Un monitor per qualcuno potrebbe rappresentare una barriera, una sorta di ostacolo invalicabile, un elemento che li esclude dall’accesso ai servizi cui hanno diritto, un ricordo del vecchio “divisorio”, che trattava il cittadino alla stregua di un appestato da tenere relegato al di là di uno spesso vetro.

Ecco quindi che le modalità di accesso fisico si servizi devono essere conservate, sia come luogo in cui l’Amministrazione accoglie il cittadino e raccoglie le sue richieste, sia come momento in cui gli operatori di sportello insegnano ai cittadini come utilizzare i servizi on line, modificando gradualmente il proprio ruolo: da operatori di servizio a facilitatori di servizio.

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