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Ci sarebbe bisogno di più sinistra

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Gian Paolo Castagnoli*

  “I bambini sono di sinistra perché stanno insieme, fanno insieme, litigano insieme. Insieme, però”. Per Claudio Bisio, è una delle 23 prove che, da piccoli, tutti abbiamo, quasi fisiologicamente, uno spirito un po’ sinistrorso. Qualche anno fa, ero al Bonci, quando questa tesi veniva spiegata, nel corso di uno spettacolo teatrale memorabile, capace di fare sorridere, a tratti commuovere e anche fare riflettere. Penso che in quel “insieme” vada ricercata l’identità principale della sinistra, come categoria etica e culturale ancor prima che politica. L’uomo non è un’isola, ma la tessera di un mosaico che, da sola, ha poco senso. Questo è il punto da cui dovrebbe partire ogni ragionamento fatto da sinistra. Oggi, in un mondo sempre più globalizzato e quindi interconnesso, questo concetto è più che mai valido. Le vite, i destini, forse la stessa felicità di ciascuno sono collegati strettamente anche alle esistenze altrui. Questo dovrebbe esaltare il concetto di comunità e bene comune. Sull’altra faccia della moneta c’è invece il singolo, nella sua individualità. Anche questo è un valore da difendere, perché una società che dimentica la collettività è destinata alla crisi e alla disumanità al pari di una che neghi la persona, nella sua soggettività e libertà. Per questo, mi pare corretto parlare di altra faccia della moneta, e non di monete diverse e magari concorrenti. Un tratto distintivo della sinistra rispetto alla destra è la priorità data alla socialità sulla individualità. La consapevolezza di condividere la vita con altre persone deve dunque diventare la stella polare delle scelte politiche di sinistra. E va declinata tenendo lo sguardo fisso su un concetto chiave: l’uguaglianza. Norberto Bobbio, nel suo libro “Destra e Sinistra”, ha spiegato molto bene che da qui passa la linea di demarcazione tra le due categorie culturali-politiche, che – si badi bene – non necessariamente coincidono con la geografia partitica italiana, sempre più imprigionata nella camicia di forza di un innaturale bipolarismo e condizionata dai conseguenti tatticismi elettorali. Chiunque sa di vivere in un mondo pieno di disuguaglianze. Ma, guardato da sinistra, un pianeta fatto in questo modo è insopportabilmente ingiusto. Compito della politica diventa allora quello di colmare i fossati che separano e spesso contrappongono gli esseri umani, assicurando a ciascuno pari dignità e condizioni di vita accettabili, partendo dai beni materiali essenziali. Nell’ottica di destra – ha spiegato sempre Bobbio – le disuguaglianze sono naturali, ineliminabili e, tutto sommato, neppure negative. Questo non significa che chi è di destra sia un mostro egoista. Anzi, spesso, i pensatori conservatori che sposano questa dottrina sono davvero convinti che alimentare le differenze sia un bene anche per gli ultimi della terra, perché l’individualismo garantirebbe maggiore dinamicità, creatività e, alla fine dei conti, ricchezza, che in parte ricadrebbe a pioggia su tutti. Mi pare che basti dare un’occhiata al mondo per capire che le cose non stanno così. Per questo, sono convinto che ci sarebbe bisogno di più sinistra, ma forse, come ha fatto notare Gad Lerner in una stimolante trasmissione d’approfondimento andata in onda qualche tempo fa, oggi è fuori moda. La verità è che sta perdendo sul piano culturale e valoriale, in un mondo in cui si sta imponendo sempre di più il modello secondo cui quello che conta è, prima di tutto, il raggiungimento di obiettivi strettamente personali, a partire dai soldi, il potere, il successo, il sesso mercificato. E, per raggiungere queste mete, vengono ormai indicate come strade ammesse o addirittura consigliate quelle che invece sono scorciatoie ignobili, che spesso mortificano altri esseri umani, e per giunta sono allergiche alla legalità. Sarebbe ingeneroso abbinare automaticamente questi comportamenti al mondo politico di destra, perché la cronaca quotidiana insegna che il virus si sta diffondendo a macchia d’olio, in tutte le direzioni. Però una cosa è certa: se la sinistra vuole mantenersi ancorata alle sue radici più importanti e sane e al tempo stesso recuperare l’appeal perduto, non può prescindere da una rinnovata lotta per la giustizia, che non va confusa con il legalitarismo, e per l’uguaglianza, da intendere ovviamente in modo moderno. Sono invece terreni su cui ci si muove con una certa timidezza. Le sinistre tendono a rincorrere la destra, mettendo sempre più al centro dei loro discorsi e dei loro programmi termini come sicurezza, meritocrazia, liberalizzazioni economiche, sostegno alle imprese, controllo rigoroso delle finanze. Per carità, sono argomenti su cui ogni forza politica ha il dovere di elaborare una sua proposta. Ma il dna di una sinistra non può essere questo. Mi piacerebbe che la sinistra italiana (sperando che al più presto si compatti, come sarebbe naturale, in due poli, di cui uno democratico ma con un’identità chiara che l’attuale Pd ancora non ha, e uno più “radicale”, sul modello della Linke tedesca, che raccolga comunisti – siano essi ex, neo o “rifondati” – verdi e movimenti sociali vari) ripartisse invece da sette punti:
1) il recupero della centralità e della dignità del lavoro, che non può non tenere conto della necessità di innovarsi rispetto a schemi superati, ma va sempre tutelato nei diritti basilari;
2) la creazione di un nuovo modello di stato sociale, mettendo ai primi posti una scuola e una sanità pubbliche che siano di qualità, gratuite e universalistiche, sul modello di quanto hanno saputo fare le socialdemocrazie dell’area scandinava;
3) un approccio ecologista ad ogni questione, pur facendo attenzione a non cadere in integralismi;
4) la difesa senza se e senza ma dei diritti fondamentali dell’uomo, sia materiali (avere da mangiare, bere e vestirsi e un posto dove abitare sono bisogni primari che non si possono mai negare), sia “spirituali” (le libertà, in tutte le loro forme, con l’unico limite di non compromettere le libertà altrui o il bene collettivo, sono perle preziose intoccabili);
5) una battaglia culturale e morale a tutto campo per sovvertire un modo di vedere la vita e le relazioni umane che sta diventando dominante, ossia quello per cui l’apparire e l’avere contano più dell’essere, chi è diverso è pericoloso, i propri interessi vengono prima di tutto, il fine giustifica sempre ogni mezzo e i contatti umani sono roba antiquata, con l’unica eccezione di quelli spesso sfuggenti che viaggiano su qualche social network;
6) il rifiuto dei totalitarismi, del pensiero unico, delle verità assolute indiscutibili;
7) il ripudio di ogni genere di violenza, grande e piccola: dalla guerra al terrorismo, dal razzismo al maschilismo, dalle mafie agli abusi di potere, dal bullismo all’intolleranza religiosa, dalla tortura alla pena di morte.
Considero cruciali queste sette sfide, perché sono i collanti di una comunità che non può rassegnarsi alla disgregazione e all’involuzione sotto gli occhi di tutti. Vanno recuperati una coesione e un senso d’appartenenza a qualcosa di più grande del proprio corpo e del proprio ego. La missione della sinistra, oggi, è questa, oltre a quella di riavvicinarsi alla vita della gente ed elaborare una proposta di governo che rimetta in carreggiata un Paese che corre all’impazzata verso il baratro. In fondo, non c’è bisogno di bacchette magiche. Basterebbe attuare due principi scritti nella nostra splendida Costituzione. Articolo 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. In particolare, quest’ultimo input dovrebbe diventare il motore delle azioni di qualsiasi amministratore pubblico e di qualsiasi politico, a Roma come a Cesena.
* Giornalista del Corriere Romagna

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 9:58 pm
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