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Anche a sinistra indebolimento della politica

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Roberto Casalini*

  Ogni volta che mi viene chiesto di esprimere un giudizio sulla Sinistra oggi, e sul PD in particolare (il PD che è il mio partito di appartenenza), non posso evitare di svolgere una premessa, perché chi mi ascolta o mi legge abbia immediata percezione dei miei dubbi, o – forse meglio – dei miei stati d’animo.
Ho vissuto il tempo “pubblico” del mio impegno politico in un tempo oggettivamente memorabile, quello del Vietnam e del Cile di Allende, del referendum sul divorzio e del compromesso storico di Enrico Berlinguer, del sangue delle Brigate Rosse e Nere e di Aldo Moro. Rispetto a quell’orizzonte, la politica mi pare oggi di una meschinità e di una bassura insopportabili, del tutto priva delle spinte ideali, delle energie valoriali che ci facevano soffrire o ci esaltavano nella speranza di un nuovo mondo, di un nuovo futuro, e nella passione di una lotta condotta nella chiarezza dei fondamenti ideali e degli obiettivi. A livello locale, poi, quando entrai nel Consiglio comunale, c’erano – cito a caso, a memoria e per triplette – uomini come Magalotti, Colozzi, Targhini tra i DC, Armando Spazzoli e i giovani Mario Guidazzi e Denis Ugolini tra i PRI, Brunaldo Righi, Riccardo Caporali, Gianfranco Gherardi tra i PCI. Erano il risultato di una selezione all’interno dei partiti, impegnativa e dura, nella quale si formavano dirigenti e amministratori capaci di interpretare la città, di individuarne i problemi, di elaborare soluzioni e progetti.
Oggi non mi pare sia così, per nessuno: salvo rarissimi casi, conta non la selezione prodotta in seno ai partiti e alle istituzioni della società civile (il sindacato, il mondo cooperativo, i quartieri, le scuole, il volontariato…), ma puramente e semplicemente il farsi avanti, l’offerta di sé, l’autocandidatura, quale che sia il valore e l’esperienza personali, e quali che siano le motivazioni che d’improvviso conducono il singolo all’impegno politico e d’un subito lo proiettano nelle istituzioni che governano la città.
È proprio questo quel che temo: non sarà che questo il giudizio nasca dalla mia vecchiezza, nella quale mi appare così verde la mia valle e così luminosi gli anni del mio ormai antico impegno politico?
Avendo ben presente questo dubbio, osservo tuttavia che, limitandomi ora allo stato del PD –che della Sinistra (o del centro Sinistra, se più piace) costituisce la spina dorsale – par che prevalga in esso il silenziatore su molte delle cose che contano. Mi richiamo a due sole di esse, forse le più vicine alla mia sensibilità, a puro titolo esemplificativo:
1) non possiamo aprire un dibattito serio e svolgere un’energica battaglia politica intorno alla questione della scuola pubblica e della sua laicità, e questo perché una delle nostre componenti non potrebbe sopportare una posizione coerentemente laica; e così assistiamo alla negazione, da parte della Gelmini, di molti dei fondamenti della pedagogia contemporanea, quegli stessi che furono per esempio al centro dell’azione politica, appena l’altro ieri, di un ministro valoroso come la democristiana Falcucci; e noi ce ne stiamo in silenzio, lasciando anche che, mentre la scuola pubblica si impoverisce, non cessino di aumentare i contributi alla scuola privata, non solo quella cattolica, ma anche quella squisitamente privata, come è accaduto con i milioni di euro elargiti alla scuola aperta dalla moglie di Bossi. Avremmo un tempo picchiato ogni giorno su questo scandalo; ci saremmo posti alla testa dei precari sfruttati per dieci – vent’anni e oggi buttati via, come si fa con gli scarti. Non è, il silenzio di oggi, una pura e semplice perdita dell’anima?;
2) non possiamo affrontare i problemi che toccano da vicino la persona e il suo destino più intimo (i matrimoni omologhi, la gravidanza assistita, l’uso delle cellule staminali per salvare vite…) perché una parte di noi pone problemi di coscienza. Si badi: non problemi politici, ma di coscienza, quasi che l’impegno politico, pubblico e civile, non trascendesse appartenenze culturali e religiose proprio perché impegnato nella ricerca del bene comune. Anche qui, il risultato è l’immobilismo, sicché non abbiamo nulla da dire alle coscienze, nessun valore da indicare, nessun progetto di vita da proporre.
Mi pare chiaro, in questo filtro, e fino ad ora e fino a prova contraria, che il progetto della fusione tra PDS e Margherita rischia il fallimento: se non posso chiamare “compagni” i miei compagni di lotta, come ha fatto il giovane Gifuni, perché questo determina la reazione di quattro o cinque provenienti da altre esperienze politiche, allora è chiaro che molta strada deve essere fatta perché si comprenda quel che dovrebbe essere evidente: accetto le loro idee e ne cerco la condivisione, purché essi comprendano che anch’io sono portatore di una storia, di una cultura, di un complesso di valori, e solo per loro virtù entro in una compagine politica, nella quale sto con tutta la ricchezza e i limiti delle mie idee. Se non si comprende che senza radici siamo nessuno, se si afferma la codarda e ipocrita filosofia di chi, ad esempio, si difende dicendo: «Io non sono mai stato comunista!», e dunque «non sono mai stato nessuno», non ci sarà nessun futuro, ma solo la lenta, logorante emarginazione di una pur grande tradizione politica. Nessun dramma, naturalmente: il vecchio muore e il mondo si apre ad altro, e l’acqua del fiume che scorre è – ricordate? – la prima di quella che venne, l’ultima di quella che passò. Sennonché, il vecchio avrebbe il dovere di affidare al nuovo il meglio di sé, non i pasticci e le ipocrisie.
Le confusioni nazionali – ci accapigliamo addirittura sulla legge elettorale – hanno naturalmente riverberi sulla situazione locale, dove le cose, tuttavia, vanno assai meglio di quel che non avvenga a livello nazionale; e questo per virtù di una tradizione politica e amministrativa di raro valore: la vecchia DC, il vecchio PRI, il vecchio PCI hanno espresso, nella nostra città, una cultura amministrativa che ancora oggi illumina l’azione della politica cesenate e fa della nostra città – sempre che si abbia voglia di andare oltre le faziosità delle parti ed esprimere un giudizio ponderato – un esempio di eccellenza. Vero è tuttavia che, in questo trapasso tra gli anni di “com’era verde la mia valle” e questi anni presenti, è precisamente la “politica” che, in casa del PD, pare essersi indebolita. Mentre passano questioni nazionali e locali di rilievo, il PD troppe volte tace, quasi non avesse nulla da dire, quasi che non vivesse nella città. A Cesena gran parte dell’immagine del PD è concentrata sul Sindaco e in lui si esaurisce: e questo danneggia Paolo Lucchi, che pure si va affermando in tutto il suo valore come un amministratore di rango, ma che non ha interlocutori al suo fianco capaci di svolgere, verso gli altri partiti, un’azione di natura politica che al sindaco non può competere, che non può svolgere, se non snaturando la sua funzione di sindaco di tutta la città. Del resto, lo stesso gruppo consiliare del PD non par dia molti segni di esistere: non a caso, negli ultimi numeri del giornale del Comune («Cesena Informa»), ci sono gli interventi di tutti i gruppi consiliari, ma non quello del PD.
Dunque, chi fa politica? Chi assume posizioni? Chi raccoglie le istanze della città? Chi batte colpo su colpo alle polemiche dell’opposizione? Chi contesta – se mai possa apparire necessario – le decisioni della Giunta?
Ce ne sono state di opinabili, com’è del tutto naturale che avvenga, ma sono intervenuti altri (i privati cittadini, i sindacati, le opposizioni…), non il PD, se non assai raramente, non il Gruppo consiliare del PD. E invece sarebbe loro dovere stare quotidianamente dentro i problemi, confrontarsi con le opposizioni, e magari lavorare insieme con in alcune di esse perché maturi nel dialogo l’idea che, nei prossimi giorni, è possibile governare insieme, in nuovi impegni e in nuovi progetti.
Mi addolora dirlo, ma oggi il PD cesenate non pare consapevole di essere il partito di maggioranza nella nostra città: nessuna visibile iniziativa sul piano politico, di quelle che aprono u dibattito, un confronto; nessun disegno da proporre all’Amministrazione comunale, e – d’altro canto – nessun consigliere comunale che emerga per forza di idee, di proposte, di progetti.
È per queste vie – guarda tu che parola vetusta, di una politica e di una cultura remote, mi tocca riesumare – che si perde l’egemonia. Ovvero, si perde il contatto con la città, così come con la comunità nazionale. E trionfa il populismo.
*Editore

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 9:57 pm
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