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La crisi del PD e il distacco dal popolo delle primarie

     Maggio 15, 2018   No Comments

Energie Nuove – NUMERO 1 – aprile – maggio 2018

La crisi del PD e il distacco dal popolo delle primarie

di Stefano Menenti – Ex membro direzione e segreteria territoriale PD Cesena

La crisi del Pd, forse irreversibile, ha origini più lontane nel tempo. Le responsabilità non possono essere addossate tutte all’ultimo segretario Matteo Renzi, che pure ha infilato negli ultimi due anni una serie di errori madornali a partire dal referendum costituzionale, portato avanti senza una vera maggioranza in parlamento e nel paese. Eppoi aver si approvato riforme importanti, ma senza che le stesse andassero a sostegno e dessero risposte ai bisogni forti e immediati delle classi più disagiate del paese.

Bisogna tornare indietro fino al 14 ottobre 2007. All’incredibile entusiasmo della gente che in quel giorno era in fila per le primarie di fondazione e a quello che è successo nei mesi successivi. Ero al seggio quel giorno e toccai con mano la carica positiva e la voglia di partecipare. Ma tutto si attenuò e si spense nei mesi seguenti, quando Veltroni chiuse il partito nelle stanze romane per definire deleghe e organigrammi. Passarono almeno sei mesi prima che il PD – chiuso il ciclo interminabile di procedure e nomine interne – desse un segnale all’esterno. E invece il giorno della fondazione c’era voglia di svolta già dal giorno dopo. Un’evidente dissonanza tra l’aspettativa di una politica con metodi nuovi e i riti della vecchia politica.

Il popolo delle primarie, fatto di gente reale pronta anche a contribuire economicamente alla vita del partito ma non ad iscriversi, poteva diventare l’enorme rete sul territorio del PD. Quattro milioni di persone che – come del resto prevede lo statuto del PD – potevano essere consultate non solo per eleggere il segretario nazionale ma anche per esprimere pareri sulle più importanti decisioni politiche. Ma questo faceva paura, poteva diventare qualcosa di incontrollabile politicamente. E allora nacque il dibattito assurdo su partito liquido o solido, sul dualismo tra iscritti ed elettori primarie. E invece, a pensarci oggi, quanto sarebbe stata più concreta e diffusa sul territorio la rete del popolo delle primarie rispetto a quella – probabilmente più rarefatta e virtuale – dei cinquestelle ?

Ma si ebbe paura e tanta. E si preferì ridurre il ruolo delle primarie ad una mera ratifica di scelte già prese dentro al partito. Prendeva quindi il sopravvento il partito delle tessere che con la segreteria Bersani non fece che cristallizzare all’interno correnti e caminetti, segnando un ulteriore distacco dalla carica positiva che il popolo delle primarie esprimeva, chiedendo ascolto e condivisione. C’era quasi una miope indignazione di una parte degli iscritti che rivendicava a sè un ruolo di supremazia legittimato dalla differenza tra chi lavorava per il partito (classico esempio i volontari delle feste) e chi invece portava solo un contributo d’idee.

Colpisce in negativo che l’avvento del renzismo, portatore almeno a parole di una politica di rottura – di demolizione del vecchio – non abbia colto il limite di questo dualismo e non abbia almeno provato a superarlo. Ma non è casuale. Il partito delle tessere è un partito più semplice da gestire se si persegue il fine di consolidare e condividere il potere in gruppi d’interesse ristretti.

Ci avevamo comunque provato, a livello locale, a insistere sulla strada della connessione costante con gli elettori delle primarie. Siamo andati a casa loro con le iniziative porta a porta e abbiamo avuto le conferme: incontravamo gente preparata e, particolare importante, di età media inferiore a quella degli iscritti. Andavamo nelle loro case, accolti con piacere ed entusiasmo, ed eravamo arricchiti da spunti e indicazioni che ci aprivano la mente riportandoci a contatto con problemi di gente reale. Capivamo che connetterci costantemente con queste persone sarebbe stato per il partito una nuova linfa di cui c’era tanto bisogno. I nostri circoli locali erano sempre più deserti e si accendevano solo quando partiva la macchina elettorale:

Li abbiamo anche intervistati quasi tutti con un questionario durante le primarie 2012 cercando la conferma al loro desiderio di connettersi costantemente al partito ma senza vincolarsi con l’iscrizione. Addirittura, negli ultimi due anni, il PD regionale dell’Emilia Romagna ha inviato questionari via mail utilizzando gli indirizzi dell’albo elettori primarie della regione. Ma non si è andati oltre.

Dal 2007 alle ultime primarie che hanno confermato Renzi segretario la partecipazione è praticamente dimezzata. Cioè si è perso il contatto con quasi due milioni di persone che potevano essere le antenne sul territorio per far capire su quali bisogni e quali istanze il PD doveva muoversi per recuperare consenso.

Analizzando i primi dati sui flussi elettorali e vedendo l’enorme emorragia di voti verso il movimento cinquestelle mi chiedo se non è stato – almeno in gran parte – proprio questo elettorato più attivo e preparato a fare una scelta che adesso ha devastato e messo in crisi il PD anche nelle zone d’Italia dove sembrava inattaccabile. Poi certo altri fattori hanno influito, come ad esempio l’imporre candidature che nulla hanno a che vedere con la storia e le origini del PD stesso. Un mix di fattori che ha relegato il voto in una fascia di età sempre più elevata e – come ingenuamente ha scritto un segretario dei giovani democratici – a rischio estinzione.

Infine un ultimo accenno all’ultima campagna elettorale – condizionata anche dalla scelta tragica di farla in pieno inverno – si è limitata ad incontri tra candidati ed iscritti (sempre di meno e sempre più anziani) in cui ci si parlava con stanchi slogan mentre i presenti ascoltavano sempre più annoiati.

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