• I Nostri Sponsor

Loading...
Your Are in   Home     Politica Nazionale     Non è un paese per giovani

Non è un paese per giovani

     Maggio 15, 2018   No Comments

Energie Nuove – NUMERO 1 – aprile – maggio 2018

Non è un paese per giovani

di Emanuele Tonini

Le elezioni politiche del 4 marzo hanno portato a uno stravolgimento della rappresentanza istituzionale, decretando la vittoria delle forze populiste (intese come forze che guardano alla “volontà popolare” come a un modello positivo che contiene in sé non solo bisogni da soddisfare, ma anche risposte, che siano in aperta contrapposizione con le élites di potere) e sancendo la sconfitta delle vecchie nomenclature, in particolare delle forze che hanno governato negli ultimi dieci anni. Molte analisi hanno messo in luce come questo risultato sia stato anche una reazione di massa alla globalizzazione e alla perdita di sovranità nazionale così come la conoscevamo, percepita in maniera ancora più forte con le crisi economiche degli ultimi anni. Questa dicotomia tra sistema aperto e sistema chiuso, tra protezione di “ciò che c’era” e slancio verso “ciò che sarà”, spiega forse l’andamento generale delle elezioni, ma non si adegua altrettanto bene ai segnali lanciati dal voto giovanile. Parlo di quella fascia di elettori compresa tra i 24 e i 30 anni, non più giovanissimi, che hanno già votato nel 2013 e che sono cresciuti in un mondo estremamente diverso rispetto all’elettorato più “adulto” (tornerò successivamente su quest’ultimo punto).

Quello che tento di fare in questa riflessione è mettere in luce le cause e gli effetti del voto giovanile, partendo dall’analisi di due temi centrali per la mia generazione.

Il primo è in realtà un tema trasversale, che ha trovato ampio spazio nel dibattito politico ed è stato, giustamente, sfruttato a fini elettorali dalle opposizioni, e riguarda la concezione del mondo del lavoro. Il Governo Renzi ha, infatti, stravolto l’assetto giuridico, economico e previdenziale del lavoro così come eravamo abituati a pensarlo, orientandolo verso una concezione di “flexsecurity” in cui si riducono le tutele in uscita per aumentarle (teoricamente) in entrata, favorendo un mondo del lavoro più dinamico e al passo con le evoluzioni dell’economia e della tecnologia globale. Questo piano si è rivelato fallimentare, sia a livello elettorale, sia, almeno fino ad ora, a livello occupazionale. Posto che questo modello è in realtà “nato vecchio” di almeno vent’anni (le prime misure in questa direzione le varò Shröder in Germania alla fine degli anni ’90, oltre a Blair nel Regno Unito), è indubbio che a livello strutturale a tale quadro sia mancato un elemento fondamentale, vale a dire un adeguato sistema di inserimento lavorativo e di formazione, un “ponte” tra università (o altro percorso di studi) e lavoro. L’unica misura di questo tipo è stata Garanzia Giovani, che non era strutturale ed era propria solo delle Regioni più virtuose, ma che ha prodotto squilibri, se vogliamo, ancora più forti, portando molto spesso un neolaureato a dover fare lavori demansionati e improduttivi in cambio molto spesso di miseri rimborsi spese, senza alcuna garanzia di continuità professionale. E se è pur vero che una riforma organica necessita di più tempo per poter essere valutata, e se in certe situazioni è necessario proseguire sul solco tracciato per non disperdere le cose positive, è vero anche che certi risultati bisogna portarli a casa subito, perché la democrazia – e le elezioni – non aspettano nessuno. Tolte quindi le zone più abbienti delle città più ricche, che hanno beneficiato di questa impostazione, il resto dell’Italia non se l’è sentita di dare fiducia a un sistema che, oltre ad avere tolto garanzie in uscita dal lavoro, non ha provveduto a invertire in maniera significativa il trend in entrata; un esempio: la disoccupazione giovanile al Sud è rimasta sempre stabilmente oltre il 40%. Soprattutto in questo senso sono da leggere i voti degli elettori della mia generazione (tra i 25 e 30 anni) al MoVimento 5 Stelle (35%) e alla Lega (17.4%) (dati Ipsos), che sono anche i partiti che offrivano, almeno a parole, la visione più assistenzialista di tutta la tornata elettorale, più orientati a correggere gli squilibri prodotti dal Jobs Act, dando immediato sollievo a quelle categorie di esclusi dal mondo del lavoro.

Il secondo tema, che considero in prospettiva ancora più importante, non ha purtroppo trovato alcuno spazio in campagna elettorale, proprio perché era un tema esclusivamente giovanile, vale a dire l’equità generazionale. La storia italiana degli ultimi vent’anni è, infatti, una storia di divari generazionali, nella quale si continua a vedere un drastico spostamento di ricchezza verso le fasce di età più anziane. Questo spostamento ha ripercussioni non solo in termini di ricchezza, ma anche di giustizia sociale: su chi si riverseranno i sacrifici maggiori, in termini di costi, di pensioni, di opportunità nei prossimi vent’anni, sulle attuali generazioni o su quelle future?

Sembra scontato, ma un buon padre di famiglia, quando la famiglia ha difficoltà economiche, non si mette a fare regali costosi ai figli e alla moglie per tirarli su di morale. Eppure, con un debito pubblico pari 1.3 volte la ricchezza annuale prodotta dall’intero Paese, che distrae 80 miliardi di soli interessi ogni anno (ripeto: di soli interessi!), le proposte più in voga vertevano su pensioni minime a 1000 euro, abolizione della legge Fornero – la riforma che, nel bene o nel male, sta salvando la tenuta dei conti pubblici, e che ha introdotto definitivamente il concetto, molto più equo, di pensione contributiva – e flat tax al 15%. Hanno vinto proposte irrealizzabili, o meglio realizzabili solo nel breve periodo, ma che, rebus sic stantibus, porteranno a problemi enormi che sarà compito delle generazioni future sbrogliare. Il perché, a livello di propaganda, è presto detto: gli over 65 sono 14 milioni di persone (il 23% della popolazione), i giovani dai 18 ai 30 anni sono 8 milioni, circa il 7% (dati ISTAT). Siamo quindi molti meno degli anziani, e votiamo anche meno (circa 6 giovani su 10).

E dire che qualche proposta era stata avanzata. Penso al Contributo di Solidarietà, proposto dal Presidente dell’INPS Tito Boeri, basato sul trasferimento dalle pensioni retributive più elevate verso quelle contributive. Oppure penso alla proposta (purtroppo ritirata prima delle elezioni…) a firma Nannicini, consistente nel tarare le aliquote IRPEF in base all’età.

Quello che dispiace in generale è non aver visto, da parte dei giovani che hanno votato, alcun tipo di attenzione o di preoccupazione verso questo tema, come se non parlarne servisse a evitarlo. Insomma, ci stanno facendo del male, ma ce lo stiamo andando a cercare.

Come ho accennato all’inizio, la mia generazione è cresciuta in una società molto diversa rispetto a quelle cresciute nella Prima Repubblica, soprattutto in termini di apertura e di scambio con l’esterno; una società che si è spalancata, sia in termini di barriere fisiche, sia di barriere comunicative. Una chiosa quindi la merita la dicotomia aperto/chiuso, perché il risultato di queste elezioni cambierà il modo in cui l’Italia si pone di fronte al mondo. E perché, se è vero che la vittoria dei partiti “di chiusura” è stata il filo conduttore di queste elezioni, tra istanze di recupero della sovranità e paura dell’apertura, del diverso, del mercato e della concorrenza, è anche vero che questa chiusura porta con sé anche il tema dei diritti civili. Chi ha votato Lega ha infatti votato anche “contro” i diritti di certe categorie di persone, mentre chi ha votato 5 Stelle, partito che non ha mai fatto mistero di non interessarsene, ha scelto che tali diritti passassero in secondo piano. Nel momento in cui scrivo non si sa ancora che governo verrà fuori; certo è che un governo a trazione leghista, o comunque un governo M5s-Lega, inevitabilmente proverà a dare colpi a quelli che ormai potevamo considerare diritti acquisiti (penso alle unioni civili). Questo è forse il maggior campanello d’allarme per chi si ritiene progressista e si batte per un mondo che sia più giusto per tutti, non solo per chi ha avuto la fortuna di nascere italiano, bianco, maschio e eterosessuale.

  •   Published On : 6 anni ago on Maggio 15, 2018
  •   Author By :
  •   Last Updated : Maggio 15, 2018 @ 2:21 pm
  •   In The Categories Of : Politica Nazionale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

You might also reading...

Analisi del voto europeo

Read More