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Voto “NO” alla città brutta

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Orlando Piraccini

Voterò “NO” alprossimo referendum costituzionale. Perché sono orgoglioso d’essere vecchio, eperché sono istericamente ostile a questo nuovo che sta avanzando. Perché sonoun nostalgico dell’Italia di Berlinguer e di Zaccagnini, di La Malfa e diPertini, e perché mi danno fastidio certi giovanotti presuntuosi, figlid’erasmus, ma senza cultura, che oggi comandano o comandar vorrebbero in Italiae nei Comuni. Perché sono nato dalla Resistenza e perché non voglio morire“sotto” un uomo solo al comando.

CaroDenis, son certo (o meglio lo spero) che mi perdonerai quest’avvio sgangheratodell’articolo che mi hai chiesto per la tua rivista, e che ho pensato discrivere sullo stato (pietoso) in cui versano oggi il nostro “Bel Paese” edunque anche la nostra “Bella Cesena”.

Nulladi male, in ogni caso, se poi ti verrà da pensare che l’Orlando si è un po’rincitrullito, dopo essere passato alla storia con maggior gloria come ilFurioso e come l’Innamorato. Posso però rassicurarti che certi miei “NO” (chenon sono di sostanza politica, bensì umorali ed epidermici) si connettono alla miapersonale esperienza di vita e di lavoro come operatore culturale condottanella sfera di quel pubblico servizio, per la cui rottamazione (dopo tanti processidenigratori) anche l’attuale governo si sta adoperando.

E’di questo, in fondo, che volevo trattare nell’articolo, che ora ti sottopongo,partendo appunto dalla “Bella Italia” che la nostra Costituzione ci impone giustamentedi difendere e tutelare come patrimonio della collettività e che invece daqualche decennio viene sistematicamente devastata, distrutta, lacerata, e chesi comincia perfino a (s)vendere.

Provengo(un’intera generazione proviene) dalla grande e purtroppo breve “stagione dei beniculturali”, iniziata con la nascita delle Regioni, dopo le deleghe ai nuoviorganismi territoriali di precisi compiti riguardanti la valorizzazione e la promozionedei patrimoni storici-artistici-architettonici-naturalistici-ambientali, deimusei, delle biblioteche e degli archivi degli enti locali. E’ stato in queifamosi anni ’70, e per un po’ del decennio successivo che nella nostra regionee nei territori più progrediti della penisola il patrimonio culturale nel suocomplesso ha goduto di un suo vero e proprio “stato sociale”: dalle campagne dirilevamento, capillari catalogazioni e analitici censimenti alle rinnovatetecniche restaurative e alle diffuse pratiche manutentive, dalle nascite deicentri culturali polivalenti nelle aree più periferiche al consolidarsi delsistema museale e bibliotecario regionale, fino ai piani di tutela delle cittàe dei territori.

Perl’Emilia e per la Romagna, di quel tempo farebbe bene lo stesso Istituto regionaleper i beni culturali a provare a ricomporre il clima, e di quel fervore quantificaregli effetti per meglio intendere la successiva deriva tecno-burocratica finoalla disgraziata attualità che vede tra l’altro in atto, sul fronteministeriale, la più dissennata riforma possibile del pur obsoleto e consuntosistema delle soprintendenze territoriali. E si dovrebbe avere il coraggio dicomporre una mappa dei “mali culturali” che si sono prodotti nella nostraregione, nelle nostre città, nei nostri territori dopo quella fruttuosastagione e durante quest’ultimo trentennio: mali determinati dall’abbandonodelle pratiche manutentive che hanno perfino coinvolto beni (opere d’arte,edifici pubblici e chiesastici, comparti urbani) da poco risanati e restaurati,ma specialmente mali derivati dagli stravolgimenti dei piani regolatoricittadini e dalla progressiva soppressione d’ogni ordine di tutela, rispetto esalvaguardia dei territori, e via deregolamentando.

Qualcheanno fa un sindaco di Cesena titolò un suo libro sulla “Città Bella” che stavaamministrando. Fu l’esempio più bello (questo sì) d’una ipocrisia trionfante. Ricordol’impressione un po’ costernata nel leggere certe pagine, trovando magnificatauna città nella quale io non riuscivo in realtà a ritrovarmi, se non ritornandocon la memoria alla politica dei beni culturali (quella teorizzata a metà anni’70 da Andrea Emiliani e patrocinata da Giovanni Spadolini), che intanto però eraandata progressivamente frantumandosi. Sì, certo, c’era in quel librol’evidenza, l’esaltazione del “bello” cittadino: ma era un bello (gliinterventi sulla città malatestiana, sulla Val d’Oca, il San Biagio, la piazzadel Popolo e via magnificando) già datato, che era stato ispirato dai modelliconservativi d’una stagione ormai passata. Perché intanto, dopo tante (peròsolo ostentate) professioni di rispetto assoluto dell’inviolabilità del “centrostorico”, e di massima all’erta per le modalità espansive della città nelleimmediate aree periferiche, erano sotto gli occhi d’ogni abitante cesenatecerti effetti fantasiosi, diciamo pure grotteschi, che coinvolgevano strade epercorsi urbani e i loro arredi urbani. E a nessuno poteva sfuggire che nell’“extramoenia”, già appena fuori porta fino all’area centuriata (ormai indecifrabile)e sulla fascia pedecollinare si andavano consumando i più efferati delitti aidanni dell’ambiente e all’insegna del più “brutto” estetico possibile.

Ciavevano insegnato i Grandi Maestri che il patrimonio culturale del nostropaese, in ogni suo luogo o territorio ci si trovasse, è uno ed indivisibile, e chela sua integrale conservazione come bene della comunità dev’essere sempretenuto presente a fronte di ogni intervento innovativo imposto dalla societàche cambia. Era una bella teoria, una formula aperta del concetto di tutela,che poneva la trasmissione dell’eredità storica come dovere civile e morale. Uncompito “costituzionale”, appunto.

Eallora, caro Denis, e cari lettori, si può forse comprendere se qualche reduce comeme dalle campagne di salvataggio del nostro “bene comune” prova tanta ostilità neiconfronti degli untori di quel morbo infetto che anche sul fronte ambientalistasi chiama “deregulation”, e se si dispiace nel sentir nuovi ed improvvisatipaladini dei beni culturali parlar tanto di “eccellenze” da salvare e davalorizzare (i nostri pozzi di petrolio, le nostre miniere da sfruttare),mentre di tutto il resto chissenefrega, si può pure far dello scarto.

Ecapirai se la malinconia lo assale, mentre transita dalle parti di PieveSestina, si guarda attorno e ripensa a Giancarlo Susini che parlava dellacenturiazione romana come uno dei beni assoluti dell’umanità; e se un po’ dirabbia lo aggredisce quando dal piazzale della Basilica della Madonna volge ilproprio sguardo allo “storico” paesaggio collinare che avvolge la città, e lovede, proprio lì di fronte, così inesorabilmente mutato, così brutalmente violato.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 11:06 pm
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