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Utilità dell’inglese. Anche per le piccole imprese

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Massimo Balzani

Le parole d’ordine con cui in questi anni si ritiene che le attività manifatturiere possano uscire dalla crisi o evitarla sono: “internazionalizzazione”, “innovazione” e “sostenibilità”.

Tutti concetti elaborati in vario modo da ciascun interprete, ma per raggiungere i quali occorre di regola una dimensione più grande di quella tra gli 1 e i 9 dipendenti, in cui si trovano dimensionate circa il 95% delle imprese manifatturiere di Forlì-Cesena (e dell’Italia intera).

“Piccolo”, di conseguenza, oggi sembra meno bello!

Prima di darlo per scontato facciamo assieme qualche riflessione, prendendo ad esempio il tema della internazionalizzazione.

L’“internazionalizzazione” comprende l’intero processo attraverso il quale un’azienda già presente sul mercato locale adatta il proprio prodotto o servizio alle esigenze di altri mercati, altre nazioni e culture.

All’esito di un processo di internazionalizzazione l’impresa potrà non solo vendere i propri prodotti all’estero, ma produrre all’estero, servirsi di fornitori stranieri o trovare finanziamenti in altri paesi.

Potrà ovviamente decidere se e quando operare queste scelte, ma il punto è che saprà farlo a ragion veduta, adattandosi alle diverse esigenze, evitando errori e pericoli banali ad altre latitudini: si tratta di una acquisizione di conoscenza, un fatto di cultura, non tanto di disporre del coraggio e dei soldi per affrontare un’avventura che ci si augura fortunata.

Gli imprenditori hanno ognuno una diversa propensione al rischio, ma quelli che vogliono internazionalizzarsi non agiscono di norma per prove ed errori, ma sulla base di analisi complesse e comparate di prodotti, soluzioni, mercati, norme, usi e consuetudini dei luoghi di destinazione.

È evidente che senza una certa dimensione è difficile acquisire le conoscenze necessarie per affrontare il mercato straniero, coi maggiori costi di trasporto, a fronte di una scarsa conoscenza delle regole applicate, senza una buona conoscenza della lingua.

Anche l’accesso al credito o le coperture assicurative o la consulenza di un professionista possono risultare più difficili e sproporzionate quando si è troppo piccoli per operare fuori dal contesto nazionale.

Le soluzioni che non sono soddisfatte dalla piccola dimensione di una sola impresa possono però essere superate aggregandosi, facendo rete.

Per questo motivo c’è tanta attenzione alle iniziative che consentono di mettere insieme più imprenditori, salva l’ovvia difficoltà di far coincidere contemporaneamente non solo gli interessi e l’obiettivo di una maggiore resa produttiva, finanziaria e economica, ma anche la conoscenza delle particolari caratteristiche del mercato straniero che si intende affrontare.

È facile dire dunque che, nella maggioranza dei casi, internazionalizzarsi sarà più facile affrontando Paesi limitrofi, coi loro mercati quanto più simili a quello nostro domestico e con le loro abitudini simili alle nostre, anche nel commercio dei prodotti.

Anche per questo l’unione Europea è utile ad allargare subito il nostro mercato.

Spesso però, uno dei problemi difficili da superare è la banale mancanza di conoscenza della lingua inglese tra le maestranze.

E su questo aspetto vogliamo fare alcune considerazioni.

Da oltre vent’anni l’insediamento universitario romagnolo sforna laureati di buon livello ed accanto ai percorsi accademici in lingua italiana ce ne sono altri interamente in lingua inglese, senza la conoscenza della quale agli studenti non è consentito ultimare il percorso di studi.

I futuri manager usciti dall’Alma Mater nelle Università Romagnole hanno già, nella stragrande maggioranza dei casi, una buona capacità di esprimersi in lingua straniera (almeno in inglese) che gli sarà utile per operare in Paesi stranieri.

Discorso diverso va fatto per le scuole superiori.

Le maestranze di Forlì-Cesena sono storicamente molto apprezzate per la loro buona qualificazione, dovuta certamente alla cultura di operosità diffusa, ma anche e significativamente conseguenza positiva della formazione conseguita nei nostri Istituti di scuola media superiore e, in particolare, negli Istituti Tecnici.

In generale la conoscenza della lingua inglese al termine degli studi superiori, non è però di gran livello.

Occorrerebbe una preparazione un po’ più approfondita di quella che normalmente si definisce “scolastica”.

A mio giudizio, sarebbe necessario puntare senza indugio sulla predisposizione ad acquisire conoscenze che i fanciulli hanno anche prima dell’età scolare.

Sarebbe sufficiente un numero limitato di insegnanti in lingua inglese a cui fosse richiesto di trasferirsi di asilo in asilo, di scuola materna in scuola materna, per far giocare tra loro i bambini in lingua inglese per almeno un’ora al giorno.

La semplice conoscenza di molti vocaboli in lingua inglese utilizzati nei giochi faciliterebbe il successivo apprendimento della lingua nella scuola elementare e ne favorirebbe la pronuncia corretta con largo anticipo rispetto ad oggi.

Tutta la società locale sarebbe sollecitata ad aumentare la conoscenza dell’inglese, in primis i genitori quando i bambini tornano a casa.

Poi, al termine degli studi nella scuola superiore, dopo qualche anno, si potrebbe disporre di molta manodopera in grado di viaggiare più facilmente nel mondo, capace di confrontarsi con gli usi stranieri e in grado di riportare nel quotidiano aziendale le esperienze fatte, trasformandole in innovazioni di prodotto, per renderlo gradito in altre nazioni e culture.

L’intero territorio locale si avvantaggerebbe rispetto agli altri territori nei quali questo insegnamento non fosse praticato.

Ovviamente risulterebbe facilitato anche il confronto con gli altri paesi, aprendoci ad una conoscenza che favorirebbe l’internazionalizzazione delle imprese, seppur piccole.

Infine, ci sarebbe anche un vantaggio attrattivo verso i manager stranieri.

Infatti, non sarebbe da sottovalutare il fatto che quando le imprese locali cercano di assumere manager stranieri tra i propri dipendenti, i loro figli piccoli trovano difficile dialogare coi loro coetanei finché non imparano la lingua italiana.

Nessuno si preoccupa finora di far acquisire una minima conoscenza dell’inglese ai figli degli italiani in Italia a quell’età.

Al contrario, qualora ci fosse anche solo un’ora di inglese all’asilo, il vantaggio di rendere più agevole il dialogo tra tutti i bambini in più lingue, favorirebbe l’insediamento dell’intera famiglia del manager straniero, rendendo più favorevole il marketing territoriale.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 12:07 pm
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