Stiamo affrontando la drammatica,epocale, questione della migrazione. Centinaia di persone che giacciono infondo al mare. Migliaia che sono riuscite ad approdare alle nostre coste,soprattutto. In campi di accoglienza che oramai non hanno più spazio peraccogliere. Molti nel tentativo di transitare verso altri paesi europei che nonsono altrettanto prodighi ad accoglierli. A centinaia di migliaia, milioni, infuga da guerre, dal terrore di crudeli fondamentalismi. In cerca di condizionidiverse da quelle depresse di povertà, miseria e fame. Da paesi africanisoprattutto. Attraverso la Libia, sui barconi, nel Mediterraneo. Sperando diessere salvati e accolti. E poi tutto quello cui stiamo assistendo in questigiorni, drammaticamente, e da parecchio tempo. Soluzioni semplici non certo aportata di mano. Difficili e complesse ve ne sono e si dovrebbe cominciare adaffrontarle con congiunti impegni: gli stati europei, non solo il nostro,l’Europa, la comunità internazionale, l’Onu. No. Non nel merito di questo cisoffermiamo, qui, adesso Non ne saremmo neppure in grado. Esprimeremmoun’opinione della quale subito dovremmo ammettere la pochezza, l’irrilevanza afronteggiare tanta epocale, drammatica questione. Già ci basta, talvolta congrande fastidio, di assistere ai proclami, agli slogans sentenzianti di chi lafa semplice ed ha la soluzione semplice, netta, rigida. Già assistiamo almontare di un disagio, di tensioni, di esacerbati sentimenti. Non ne mancano le condizionicapaci di alimentarli e farli crescere. Comprensibili. Per quanto non ci riuscirà di giustificarnele asprezze e le intolleranti trasposizioni violente, da qualsiasi parteprovengano. Abbiamo ascoltato molto, anche tante riflessioni serie, perfortuna. Chissà che non concorrano ad approdare a qualche risultato. Cheintanto ci fanno riflettere a nostra volta. Abbiamo ascoltato sostenere che occorrerecare sviluppo, favorire condizioni di superamento di realtà depresse e povere, per stimolare edeterminare la permanenza nei propri paesi di quanti più, altrimenti, da quellemiserie cercano di fuggire verso speranze di migliori condizioni di vita.
Torna alla mente una polemica in ambitopolitico, durevole da decenni. Tante volte ne abbiamo ripreso i termini, sulpiano culturale e politico, in molti raffronti e dibattiti. Il tema dellosviluppo dei paesi del Terzo mondo (come si diceva). Non toccava le corde dimolti, neppure di quelli che ideologicamente volevano dar mostra di parere piùinclini alla questione. Semplicemente porre una qualche considerazione che nonfosse l’equazione “paesi poveri del mondo-colpa dell’imperialismo” (il mantrache giustificava e salvava la coscienza di tanti, così da far dormire sonnitranquilli alla reale insensibilità per quei problemi del vasto terzo mondo) ,si rischiava di essere presi a pesci in faccia.
“Considerare che la condizione attuale,economicamente e socialmente depressa del Terzo Mondo, dipenda esclusivamenteda pressioni, proprie di un imperialismo o colonialismo tutto nuovo, è un nonsenso. Parte del Terzo Mondo è povero e depresso di per sé, per le suecondizioni materiali e per le sue condizioni politiche sociali interne … Lerisorse proprie di un paese possono essere così limitate e scarse, da nonconsentirgli la costruzione di una società moderna. Le sue condizioni politichee sociali possono aggravare la sua inferiorità materiale. In verità la massa dicapitali che oggi occorre per salvare il terzo mondo dalla depressione,dall’arretratezza e dalla fame, è di tale imponenza, che qualunque politica dicosi detti aiuti rappresenta una goccia in un mare di bisogni, e la ( ) società dei paesi industrialmente avanzatideve sapere quali sono le dimensioni del problema e di che esattamente sitratta. I paesi oggi industrialmente avanzati , qualunque sia il loro regimepolitico e sociale, subiscono una pressione delle masse popolari interne,perché sia aumentato il loro tenore di vita. Le risorse, rese disponibili,dalla produttività, propria dei paesi avanzati, vengono dedicateall’accrescimento del benessere diquelle società. Ma con questa politica il divario con le condizioni delle massepopolari dei paesi del terzo mondo, aumenta, non diminuisce. Avviene neirapporti fra paesi avanzati e paesi del terzo mondo, quello che avviene fraregioni sviluppate e regioni depresse di un paese a condizione dualistica, comel’Italia. Se la maggiore produttività è divisa tra i partecipanti diretti delprocesso produttivo avanzato, il divario con i paesi più poveri non può cheaumentare. Ha ragione il poeta e capo di Stato africano Senghor, quando diceche oggi il conflitto non è più tra classi, ma tra nazioni (avanzate esottosviluppate)…. Occorre una coscienza della solidarietà mondiale diversa daquella…..che per avere la coscienza a posto si danno assoluzioni di ordineideologico (moltissime queste in passato, ma anche adesso)…” o di altro genere.
Che è oggi se non anche espressionedrammatica ed epocale di quel conflitto che diceva Senghor il fenomeno migratorio che stiamovivendo! Considerazioni del tipo dobbiamo aiutare lo sviluppo deipaesi poveri così che grandi masse non li abbandonino per ingrossare i giàcospicui flussi migratori, oggi ci stanno. Sono di bruciante attualità. Peccatoche i nostri ritardi culturali le nostre arretratezze non siano pochi, e sianocosì lungamente protratti, a evidenza piena di profonde arretratezze culturali e politiche. Quanto richiamato èespressione di una sensibilità e di una cultura politica che evidentemente nonè stata coronata da grandi fortune, purtroppo. È un richiamo che data 1968, diun vero statista: Ugo La Malfa. Non è quindi nemmeno un fulmine a ciel serenoche si sia pensato che possono esserci anche fughe dai propri paesi perché sitemono drammi e tragedie quali epidemie virali (come Ebola). Che si deve agireperché quei paesi, quelle popolazioni possano avere direttamente le condizioniper fronteggiare, sconfiggere, curare malattie ed epidemie virali, purtroppo,sempre possibili. Ecco anche questo, almeno per noi, il senso di una rabbia chevuole diventare un gesto di aiuto concreto perché vi siano strutture operanti evalide, mediche e di laboratorio, di una Università in Sierra Leone.L’iniziativa di Salute e Libertà onlus ci piacerebbe che fossestraordinariamente partecipata e sostenuta. Anche questo è indice disolidarietà vera e di sensibilità sincera.