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Una nuova politica del merito e del bisogno

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Sandro Gozi

La sinistra è davanti a un paradosso italiano ed europeo. Anche dopo una crisi così drammatica, non vince nettamente e non veleggia nei sondaggi ben oltre il 30%, come dovrebbe. E dove vince, come in Francia, diventa subito dopo impopolare. Eppure, molto, se non tutto, dovrebbe spingere a suo favore: tendenze della società verso la modernità, bancarotta politica e intellettuale delle destre. Forse ci sono tre ragioni di fondo all’origine del paradosso. In tempo di crisi e di emergenze tecniche non è sempre facile vedere la differenza tra la destra e la sinistra. A sinistra ci sono ancora divisioni. L’elettorato tradizionale, soprattutto i lavoratori, sempre più in difficoltà, sono attratti da soluzioni di chiusura identitaria anziché di apertura sociale. Dobbiamo chiederci allora quali siano gli elettori che possono essere attratti da una proposta riformista e quali siano le nuove priorità della sinistra. La classe operaia tradizionale si sta riducendo e disperdendo politicamente, la classe media è in crescente difficoltà, le donne rivendicano veri spazi sociali e politici, i giovani pretendono un futuro, gli immigrati un riconoscimento, le partite IVA vere e finte, gli artigiani, i piccoli e medi imprenditori invocano una nuova giustizia sociale. Dobbiamo poi considerare le ragioni della crisi della politica e del populism immigrazione e tendenze demografiche che contrappongono italiani e stranieri, vecchi e giovani; politica e corruzione; impotenza della politica nazionale rispetto alle sfide transnazionali, dall’economia all’ambiente, dalla politica estera alla sicurezza… Viviamo una crescente atomizzazione della politica e della società: sindacati in crisi, società civile frammentata, ascensore sociale bloccato. Vi sono nuove esigenze della società a cui la sinistra deve ancora aprirsi completamente, come i diritti civili e le esigenze ambientaliste: il lavoro, infatti, rimane una questione importante ma non ha più il ruolo assolutamente centrale del passato per l’elettorato di sinistra. L’obiettivo della sinistra è e deve rimanere la lotta per più giustizia sociale. Ma per questo è necessario riconoscere le nuove ingiustizie sociali. Sono causa di forti ingiustizie sociali, ad esempio, i monopoli, gli oligopoli, le corporazioni o i conflitti di interesse: occorre allora liberalizzare e favorire la concorrenza, per tutelare i consumatori e per garantire a tutti pari opportunità. Per uscire dalla dittatura dell’urgenza, che strumentalizza l’emergenza che ci ha portato al giusto sostegno al governo Monti per eliminare tout court la politica, la sinistra deve costruire una nuova politica del merito e del bisogno. Consapevoli che il debito pubblico è il pericolo pubblico numero uno dei più deboli, dei giovani e delle nuove generazioni, dobbiamo sviluppare una politica che faccia della lotta contro le povertà la priorità sociale e che allo stesso tempo realizzi un nuovo Stato delle opportunità. Una politica cioè che non si accontenti di affidarsi al mercato a monte e di cercare, con risultati sempre più scarsi, di correggerne i fallimenti a valle con politiche redistributive ma che realizzi nuove politiche “predistributive”. Politiche che formino i lavoratori puntando sulla qualificazione professionale durante tutto l’arco della vita; che investa su scuole e università, per formare gli studenti e renderli cittadini consapevoli e professionisti competitivi; che sostenga la produttività e la competitività delle imprese, piccole e medie. Ma per ritrovare credibilità la sinistra deve anche scommettere su una nuova classe dirigente, rinnovata, che abbia il senso dell’etica pubblica e che dia “del tu” dall’Europa. Soprattutto perché è solo nella dimensione europea che la politica potrà ritrovare la capacità di incidere sulle dinamiche economiche e sociali, ormai del tutto transnazionali, e dare vita ad una nuova politica della domanda e degli investimenti produttivi in settori chiave come la ricerca, le infrastrutture, la conoscenza e l’economia verde. Un liberal come Paul Krugman, ad esempio, fornisce ricette giuste al destinatario sbagliat pensa agli Stati nazionali, che ormai sono politicamente morti, mentre le sue ricette possono servire solo ad un’Europa politica, legittima dal punto di vista democratico e sociale, ancora da costruire. Oggi l’Europa viene peraltro invocata solo quando bisogna somministrare medicine economiche amarissime, benché necessarie, ai cittadini. Ma per i ricostituenti civili e sociali da dare agli stessi pazienti, chissà perché, si trova il modo di rimandare ad un futuro incerto ed eventuale. Ma l’Europa è innanzitutto diritti fondamentali, e doveri di cittadinanza. E una nuova sinistra deve mettere i diritti al centro della sua azione politica, come non ha mai veramente fatto, almeno ai suoi vertici, in passato. Ciò è ancora più urgente in Italia, che non solo ha gravissimi problemi di corruzione, illegalità e mafia al suo interno, ma produce sempre più illegalità europea, e cumula condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo che la collocano al terzo posto, dopo Russia e Ucraina, tra gli Stati più condannati. Siamo condannati da anni per carceri che violano la dignità umana, per uso eccessivo (e spesso un abuso) della custodia cautelare, per la lunghezza dei processi e anche per la responsabilità civile dei giudici. La sinistra deve poi tornare all’avanguardia nella tutela delle libertà costituzionali, non in maniera formale e retorica, o solo per attaccare le destre o Berlusconi, ma anche nei casi in cui ciò richiede fare scelte nette nel rapporto con le religioni o con l’immigrazione. Credo ad esempio che censurare il film L’innocenza dei musulmani o comunque essere molto timidi nel tutelare la libertà di espressione di fronte alle violenze islamiste nel mondo e per un malinteso senso della tolleranza in Italia, sia profondamente sbagliato e politicamente molto pericoloso, perché significa lasciare agli estremisti, ai populisti e agli xenofobi la difesa dei fondamenti della democrazia liberale. Vaste programme? Forse. Sicuramente, come diceva Keynes, per realizzare tutto questo, la difficoltà non sarà fare accettare dai cittadini queste nuove idee. Sarà far dimenticare le idee vecchie (e fallimentari).

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 11:41 am
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