di Sandro Gozi
Negli ultimi mesi e anni abbiamo visto piùvolte come i sondaggi non sempre abbiano fotografato la giusta situazione. Perquesto ogni indagine o rilevazione va presa con le pinze, e non mi fermerei suquesto o quel decimale. L’ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti per Repubblica,pubblicato sabato 17 ottobre, contiene però un dato interessante: il gradimentodel Premier Matteo Renzi è in crescita, quello del Pd è in calo. Analoghe maopposte rilevazioni c’erano state nei mesi scorsi, per cui alla fine ciò cheinteressa è questo sfasamento tra il gradimento del Presidente del Consiglio eSegretario del Pd e il partito stesso.
A scanso d’equivoci, ripeto: chi vuole farepolitica non può farsi condizionare dai sondaggi. I sondaggi si cambiano, nonsono la bibbia. Mi interessa riflettere invece sul rapporto che c’è tra laleadership di Renzi nel Paese e quella nel Pd. Il governo è pienamenteimpegnato nel portare l’Italia fuori dalla crisi, e gli ultimi indicatorieconomici mostrano come la direzione giusta sia stata intrapresa. Il Pd diRenzi, invece, non è ancora stato completamente costruito.
Se fossimo in una qualsiasi democraziaeuropea si potrebbe osservare che la segreteria Renzi è iniziata da nemmeno dueanni e che la costruzione di un partito – o il suo rafforzamento – sonoprocessi che richiedono tempo e risorse. Specialmente quando il segretario èanche, e per fortuna, il Presidente del Consiglio.
In Italia invece viviamo una condizionestrana, per cui la minoranza del partito non fa altro che attaccare ilsegretario per una sorta di congressopermanente che non ha eguali all’estero. Quando David Miliband perse leprimarie per la leadership del Labour (e perse di mezzo punto percentuale) nonè che si mise a minacciare il Vietnam nei confronti di suo fratello Ed. Lostesso si può dire per tanti altri partiti. Nel Pd, no.
Dal Vietnam sulla riforma costituzionale,poi rientrato, pensavamo a una pace. Invece almeno per alcuni, pochi per laverità, era solo una tregua; e mentre il governo seppellisce le tasse sulleimprese e sulla casa, altri sotterrano di nuovo l’ascia di guerra portandoci adun dibattito degno nel miglior teatro dell’assurdo di Ionesco: abbassare letasse (per aumentare crescita e consumi) è di “destra” o di“sinistra”? Certo, essere prigionieri del Novecento non deve essere facilenell’era digitale…
Ma queste sono logiche da vecchia politicache, purtroppo, esiste anche dentro il Pd. Questa vecchia politica giocaal tiro al bersaglio contro Renzi. E’ allergica al leader forte. Vorrebbe cheil segretario del Pd e il capo del governo fossero due persone diverse. A mesembrano sofismi da Prima Repubblica. Una squadra ha bisogno di un capitano: lacoincidenza tra capo del partito e capo del governo è un vantaggio per il Pd,un vantaggio per il governo e un vantaggio per il Paese.
Detto ciò, è evidente che se a livellonazionale il Pd di Renzi ha una sua impronta riconosciuta, quella riformistache trova la propria ragion d’essere nell’azione del governo, sui territoriancora il Pd di Renzi deve essere costruito. Ai passi avanti che il partito hafatto a livello nazionale non corrispondono soddisfacenti progressi sul pianolocale.
Questo si vede soprattutto in occasionedelle elezioni locali: il rischio che ogni volta si corre è quello di lotteinterne e di riposizionamenti che nulla hanno a che vedere con lo spiritoriformista e innovatore del Pd. Il motivo è semplice: troppo spesso anche il Pd- e molto prima di Renzi, a mio avviso – ha rinunciato alla propria funzione diselezione della classe politica.
Eppure, rispetto ai tempi della ditta tantocara a Bersani abbiamo un dieci per cento di elettori in più. Ma cosa fa ilpartito per fidelizzarli? Poco o niente.
I vecchi rappresentanti della ditta passanoil tempo a contendersi il monopolio della parola sinistra, pensando chedifendere il passato sia un’idea progressista. Così ci hanno lasciato ineredità una situazione pesante e un partito piuttosto sconnesso dalla realtà.Però, in questo anno e mezzo noi non ne abbiamo costruito uno nuovo a livellolocale e invece dobbiamo assolutamente farlo.
Allora dobbiamo ripartire dai circoli,trasformandoli in quello che ancora non sono e cioè in avamposti culturali, nelluogo del dibattito politico e sociale. Certo, dovrebbero occuparsi molto menodi distribuzione di posti e molto di più di intercettare le esigenze dellasocietà e delle persone.
La realtà è che nei territori abbiamobisogno di dibattiti aperti, anche a persone che non sono iscritte, ma chedobbiamo essere capaci di attirare. Abbiamo bisogno di costruire propostevalide, che siano il motore del confronto civile e non servano a organizzarecorrenti.
A noi serve un partito che, nella manierapiù nobile, sia al servizio del cambiamento. Lo sappia interpretare, losappia leggere e lo sappia rielaborare. Restituire dignità alla politica vuoldire ascoltare e raccogliere le idee migliori che escono dalla partecipazionedella gente, vagliarle e fare il possibile per tradurle in pratica
Oggi come oggi esistono almeno tre Pd:quello che ha preso il 40% alle europee; quello che ha vinto con fatica alleamministrative; quello dei circoli e degli iscritti. Purtroppo sono tre pianisfasati, nel senso che è come se ciascuno di essi non riuscisse a parlare con glialtri.
Il nostro compito è di allineare questipiani. Torneremo al 40% – e cioè al vero Pd di Renzi – solo se sapremocoinvolgere i nostri iscritti e i nostri elettori attraverso la costruzione diuna classe dirigente. Non sarà immediato, non sarà semplice, ma non possiamopermetterci di sbagliare.