Per anni si è dibattuto di una Sinistra che non aveva identità, ora ci si chiede – all’improvviso – se questa identità non stia cambiando troppo in fretta a seguito delle accelerazioni imposte da Matteo Renzi. C’è del paradossale in tutto ciò, se non fosse che a mio modo di vedere sta semplicemente accadendo quello che nel mondo della politica accade spesso: e cioè che l’identità di un partito, o più generalmente di una forza politica cambia, si adatta, reagisce alle trasformazioni sociali e dunque prova a restare al passo con i tempi.
Chi invoca l’identità, dovrebbe sapere infatti che caratteristica fondamentale delle identità è la loro mutevolezza: esse non sono né immutabili né indefinite. Non si capisce per quale motivo il Pd non debba essere soggetto alla stessa logica. Se di trasformazione renziana si deve parlare, io sono convinto che si tratti semplicemente di un aggiornamento del Pd a quelli che sono i caratteri della società italiana ed europea. La vera rivoluzione, in questo senso, è quella di costruire una forza progressista che ampli il campo del centrosinistra e costruisca un nuovo campo democratico, includendo laddove fino a poco tempo fa si voleva delimitare, e lanciando un chiaro segnale: vogliamo dire basta a tutte le forme di conservazione.
Se la Sinistra viene percepita come un vecchio arnese, è chiaro che non avrà mai possibilità di allargare l’ambito dei propri consensi, né di competere per vincere le elezioni e governare. Le battaglie che il governo Renzi sta portando avanti, su svariati fronti, sono importanti per i contenuti che affrontano, ma soprattutto perché il paese ha un disperato bisogno di un cambiamento profondo. Ed è giusto, a mio parere, che a imporre un’agenda delle riforme sia una nuova generazione di leader legata al presente, proiettata verso il futuro e non pesantemente vincolata al passato.
Non so se questa sia una vera e propria rivoluzione: troppe ne abbiamo invocate, per poi accorgerci che tutto quello di cui aveva bisogno la Sinistra italiana era una serie di riforme, coraggiose tanto quanto – se non di più – di una rivoluzione. Un’analisi del Sole 24ore mostra come nell’ultimo voto di maggio, alle Europee, il Partito Democratico sia stato il soggetto politico più votato da PMI, partite Iva e lavoratori autonomi. Si tratta di un risultato storico, poiché significa che la Sinistra riesce finalmente a dialogare con quel ceto medio produttivo che negli anni scorsi aveva abbracciato senza indugio il “forzaleghismo”, per usare un’azzeccata definizione del compianto Edmondo Berselli. Liberi nella concezione del pensiero, coraggiosi nella proposta delle azioni, abbiamo trasformato le tradizionali linee di divisione politica. Un risultato simile può essere letto in due modi: il primo, superficiale, accusa la Sinistra di essere diventata Destra (come se incrementare voti e vincere le elezioni fosse una cosa da reazionari); il secondo, più accurato, segnala una trasformazione in atto: molti più elettori riconoscono nella Sinistra un soggetto con cui interloquire, capace parlare all’intero paese e dunque adatto a governare.
Proprio per questo, abbiamo il dovere di andare avanti sulla strada delle riforme. Perché non possiamo permetterci di perdere il consenso che abbiamo costruito, e perché dobbiamo darci come obiettivo quello di rafforzare l’identità riformista. Il governo Renzi ha già impresso un’accelerazione alla società italiana, da questo punto di vista: detta l’agenda, e stabilisce le priorità. Le altre forze politiche, non a caso, sono costrette ad inseguire: a suo modo anche questa è una piccola rivoluzione, perché per troppi anni si è accusata la Sinistra di andare al traino delle proposte degli altri.
Siamo noi che guidiamo il gioco in Italia, e dobbiamo essere noi a farlo anche in Emilia-Romagna e sui territori locali. Le recenti primarie per decidere il candidato alla presidenza della regione ci insegnano due cose: la prima, che non possiamo vivere di rendita e che ogni sforzo è necessario per conquistare voti, anche laddove pensiamo di essere più forti o strutturati. La seconda, che esiste un elettorato desideroso di aprirsi al centrosinistra, a patto che esso segni una discontinuità con il passato. L’esperienza di Roberto Balzani, che ho sostenuto con convinzione, è la prova più evidente di tutto questo: il suo ottimo risultato alle primarie è stato possibile solo perché ha tradotto la voglia di rinnovamento e di apertura anche in una storica regione “rossa” come l’Emilia-Romagna. Dimenticare questa lezione sarebbe un errore imperdonabile per tutti noi: gli elettori ci chiedono di assumere posizioni più coraggiose su tanti temi, dalle infrastrutture all’ambiente, dalla cultura alla mobilità. E questo processo deve innescarsi a prescindere dai candidati.
Infine, da europeista convinto, non posso non notare con piacere che la stessa trasformazione della Sinistra sta avendo luogo anche in altri paesi europei. Ai primi di settembre a Bologna si è tenuto un fondamentale incontro tra i principali leader Socialisti e Democratici del continente: Manuel Valls, Pedro Sanchez e Matteo Renzi. In Francia, Spagna e Italia sta accadendo lo stesso fenomeno: la Sinistra si rinnova e dimostra di essere al passo coi tempi e pronta ad avviare in tutta Europa un nuovo ciclo riformatore e progressista. Il futuro è tutto da scrivere, ma la strada è segnata. |