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TESTAMENTO BIOLOGICO, EUTANASIA

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Laura Bianconi

Caro Denis,

permettimi prima di tutto di fare a te e a tutti i tuoi collaboratori i miei migliori auguri non solo per questo nuovo anno, ma specialmente per questa nuova iniziativa editoriale che sono certa diventerà un importate strumento per veicolare correttamene le informazioni ma anche per consentire a tante persone di poter esprimere liberamente le proprie opinioni.

Avendo permesso anche a me di farlo e proprio in questo primo numero, ho pensato che non potevo non chiederti di pubblicare questa mia lettera su di un argomento che mi sta molto a cuore: la dignità della vita umana. Nell’epoca del materialismo e del progresso costante della scienza, in cui auspichiamo tutti di poter vivere il più allungo possibile e nelle migliori condizioni fisiche, risulta persino difficile accettare quella ruga in più che magari una mattina scopriamo di avere sul nostro viso, il terrore dei segni del tempo che ci ricordano come un timer che ogni giorno si invecchia. Per molti è tremendo! Pensiamo, dunque, a chi è costretto a causa di un incidente improvviso o a causa di una malattia a non poter più camminare, a non poter più vedere, a smettere di sentire o, quel che è peggio, a vivere prigioniero del proprio corpo perché completamente paralizzato e costretto a letto 24 ore su 24. Dove per qualsiasi esigenza si diventa dipendenti dagli altri. Negli ultimi anni questa condizione, sicuramente drammatica, in cui nessuno di noi vorrebbe trovarsi, viene definita “una vita non degna di essere vissuta” anzi “una non vita” e, quindi, vi è stata e vi è da parte del mondo occidentale, quello dell’utilitarismo perfetto, la necessità di legiferare per permettere l’eutanasia quando ci si dovesse trovare in queste condizioni di vita. Così è avvenuto in Germania, Olanda, Francia, Spagna ad esempio.

Anche noi in Italia abbiamo aperto un acceso dibattito su questo tema. Che però non lo si riesce ad analizzare uscendo dalla logica dell’emotività, che dal caso di Welby, Nuvoli, fino alle più recenti sentenze della magistratura sul caso di Eluana Eglaro hanno finito, attraverso una precisa e spesso mistificatoria campagna mediatica, per inculcare in tutti noi la paura di poterci trovare immobili in un letto con una mente perfettamente lucida o in uno stato vegetativo persistente, in cui questa lucidità mentale esiste, come affermano i medici, ma non ci permette di interagire in forma normale con gli altri. Così presi dal terrore, non della ruga, ma della malattia invalidante abbiamo dimenticato quella che è la vera dignità della vita umana: la capacità di accettare che in qualunque condizione fisica ci dovessimo trovare o dovessero trovarsi i nostri cari, la vita è un bene talmente unico e senza prezzo che è sempre degna di essere vissuta in ogni momento e condizione anche quando, perché questo sia possibile, dobbiamo chiedere aiuto agli altri. Ecco perché nessuno potrà mai convincermi che sia giusto porre in essere una legge che apra anche in Italia la porta all’eutanasia, come si sta cercando di fare tramite strumenti quali il testamento biologico, oggi meno pesantemente chiamate dichiarazioni anticipate di trattamento(DAT). Ecco perché da legislatore ho ritenuto sconcertante che la magistratura italiana entrasse a gamba tesa permettendosi, come nel caso di Eluana, non di pronunciare una sentenza ma di legiferare stabilendo, su presunte volontà di quella che allora era una ragazza, che l’idratazione e l’alimentazione sono delle cure mediche e che, pertanto, possono esserle sospese perché di fatto la sua è una vita che così non è degna di essere vissuta. Ma mi domando e vi domando: abbiamo pensato che tutte queste persone che ho citato e le tantissime altre che si trovano nelle stesse condizioni, avevano e hanno un cuore che batte un organismo che, comunque, mantiene tutte le funzioni vitali, e che come si fa con un neonato od un anziano hanno solo bisogno di essere accudite? A loro mai e poi mai ci sogneremo di interrompere l’alimentazione, l’idratazione ed anche il nostro amorevole aiuto e conforto, questo non perché proviamo pietà per loro ma sicuramente perché tutti crediamo che sia giusto e dignitoso aiutarli a vivere nel modo migliore possibile. Fino a qualche decennio fa eravamo abituati che il testamento potesse essere solo quello, regolamentato del nostro codice civile, nel quale ognuno di noi poteva disporre delle sue volontà ma per quando si sarebbe trovato nella condizione di “de cuius” cioè di defunto! Adesso il testamento lo si vuole anche biologico o tradotto meglio si vuol permettere ad ognuno di noi di poter decidere quando si è in buona salute di stabilire che una terza persona (fiduciario) da noi nominata come un vero e proprio esecutore delle nostre “ultime volontà”, si faccia garante che, se un giorno ci dovessimo trovare nella condizione di Piergiorgio Welby o di Eluana Englaro, quindi ancora con un cuore che batte perfettamente, la nostra vita venga interrotta anche se questo comporta che determinate cure normali no ci vengano praticate.

Per quanto scontato possa apparire (ma alla fine tale non è), il punto di partenza è il valore della vita, e i quesiti che ruotano attorno a esso:

– la vita ha sempre in ogni momento e in ogni circostanza della sua esistenza un identico valore?

– o si deve riconoscere, come si sostiene da parte dei fautori del “testamento biologico”, che esiste una vita “meramente biologica”, che per natura sua non è libera e quindi non è dignitosa, o è meno dignitosa? sì che, in taluni casi, è consentito al tutore del malato incapace di esprimere la volontà di interrompere la vita “meramente biologica” di quel paziente?

– ancora: costituisce esercizio di un diritto la scelta di una “morte dignitosa” che cancelli una vita pur cosciente e non meramente biologica, ma divenuta per il paziente insopportabile? qui riaffiora il ricordo del “caso Welby”, e della sentenza penale e alla decisione disciplinare che lo hanno concluso. La sentenza del G.u.p. di Roma e il provvedimento dell’Ordine dei medici di Cremona hanno affermato che Piergiorgio Welby non aveva solo il potere di rifiutare la ventilazione artificiale che lo teneva in vita: aveva il diritto soggettivo di farlo e di ottenere per questo l’assistenza medica necessaria; e perciò il medico che lo ha assistito è stato assolto con l’impegnativo dispositivo “per adempimento di un dovere”.

In base a queste pronunce, sembra quindi si configurino ipotesi di “vita di minor valore”, o a causa dell’incoscienza irreversibile del soggetto o a causa delle sofferenze che lo coinvolgono. In questi casi si dovrebbe dare spazio all’interruzione della vita: non solo nel senso che viene rispettata la volontà attuale del paziente che rifiuti una cura pur utile, ma nel senso che le strutture mediche sarebbero tenute (o quanto meno legittimate) a rimuovere i meccanismi che tengono in vita il paziente, e a prestargli assistenza in una simile operazione. Questa rimozione o rinuncia alle cure potrebbe poggiare anche su una volontà espressa ma non attuale del paziente (testamento biologico o – ciò che è diventato equivalente – d.a.t., dichiarazione anticipata di trattamento), o sulla decisione di un terzo, che trovasse un qualche appiglio in una scelta del paziente solo ipotizzata o supposta.

Addirittura dalle decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di appello di Milano sul “caso Englaro” emerge, capovolgendo un ordine logico, che solo una espressa preventiva scelta del paziente in favore della vita potrebbe impedire al tutore di ordinare di “staccare la spina”. Questa tematica, sull’esistenza di circostanze in cui la vita è meno meritevole di essere vissuta, interferisce, in qualche misura, con un’altra tematica, da porsi e da affrontare in termini assolutamente laici: con la domanda se la vita costituisca un bene disponibile, e cioè se la scelta di morte compiuta per sé da un soggetto imponga ad altri (medici e non) un obbligo di attenersi a questa opzione.

Siamo, con tutta evidenza, oltre e al di fuori delle ipotesi di rifiuto dell’accanimento terapeutico: almeno se seguiamo l’opinione del Consiglio Superiore della Sanità del 20 dicembre 2006, in base al quale “nell’accezione più accreditata, per accanimento terapeutico si intende la somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si preannuncia imminente e inevitabile”. Proprio alla stregua di questa definizione, si può ricordare che nei casi noti prima indicati la morte non si è mai presentata come “imminente”; anzi, è stata proprio la “non imminenza” della morte a giustificare la richiesta di por fine alla vita del paziente; e quindi, a porre il problema se debba essere rispettato il suo rifiuto delle cure.

Spesso si richiama come risolutiva in proposito la Convenzione di Oviedo, in specie agli articoli da 5 a 9, relativi al c.d. “consenso informato”. Lasciando da parte ogni considerazione circa il valore giuridico di tale convenzione[1], va osservato, in primo luogo, come essa non contenga univoci elementi per consentire l’interruzione di una cura medica nei confronti di un paziente incapace di intendere e di volere, persino quando tale interruzione abbia formato oggetto di esplicite pregresse manifestazioni preventive dei desideri del paziente stesso. Recita infatti l’articolo 9 della Convenzione: ”i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di sprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Dunque, non afferma che tali desideri debbano essere necessariamente osservati da chi è legittimato a decidere; e in particolare, che debbano essere osservati quando la loro applicazione risulti mortale. Si richiama anche la Costituzione italiana, allorché fa riferimento ai “trattamenti sanitari cui nessuno può essere obbligato” in forza del comma 2 dell’articolo 32. Ed è evidente che alimentazione, idratazione e respirazione non costituiscono interventi sanitari. Ciò senza trascurare che la Costituzione, a differenza della Convenzione di Oviedo, consente gli interventi sanitari contro la volontà del paziente, purché ciò avvenga in base ad una disposizione di legge. Dunque, afferma l’esistenza di valori che possono prevalere sulla volontà del paziente: valori fra cui non è azzardato collocare anzitutto la vita del paziente stesso. Si aggiunge, sempre a sostegno del testamento biologico, che se alimentazione, idratazione e ventilazione artificiali fossero escluse dall’ambito delle “cure mediche”, ciò contrasterebbero con l’articolo 13 della Costituzione, che tutela la libertà personale; e quindi si dice che una alimentazione, o una idratazione, o una ventilazione polmonare imposte violerebbero la libertà personale garantita dall’art. 13 della Costituzione. Ora, a parte la considerazione che anche l’art. 13 permette interventi pubblici limitativi della libertà del soggetto, ci si chiede se con questo si pensi di sostenere che un ordinamento non può imporre né «vita» né «morte», e quindi deve mostrarsi neutrale rispetto all’una o all’altra opzione e lasciare gli individui liberi di scegliere. Le conseguenze di una eventuale risposta affermativa sarebbero inquietanti: commette violenza privata colui che trattiene l’aspirante suicida in procinto di gettarsi nel vuoto? o il medico che pratica la lavanda gastrica a chi ha tentato di darsi la morte con il veleno, magari lasciando un ultimo messaggio in cui esprime la puntuale volontà di morire? Se una legge è necessaria, non è però necessaria una legge qualunque. E’ necessaria una legge che, partendo da una assoluta chiarezza concettuale e terminologica, pervenga a norme altrettanto definite. Se si accettasse come inevitabile l’introduzione delle “d.a.t.”, ciò equivarrebbe ad ammettere il principio secondo cui la vita è un bene rinunciabile e tale rinuncia costituisce esercizio di un diritto; così facendo, però, sarebbe difficile sottrarsi alle logiche conseguenze di questo principio, anche in termini di qualificazione dell’idratazione, dell’alimentazione e della ventilazione. Un “principio” come questo avrebbe, in altri termini, una propria “forza espansiva”, tale da travolgere tutti i limiti e i formalismi in cui un legislatore, pur accorto, pensasse di imbrigliarlo; anzi, lo sforzo di formalizzare il più possibile una “d.a.t.” (presenza del notaio, termine di validità, ecc.) avrebbe come effetto quello di rendere la “dichiarazione anticipata” ancora più vincolante per chi fosse chiamato a darne attuazione. Ciò senza trascurare che l’applicazione concreta della legge sarà affidata a una magistratura che, ripudiando la linea interpretativa dell’articolo 32 Cost. seguita fino al 2006, ha operato una scelta politica di campo netta in favore delle pratiche eutanasiche e della disponibilità della vita umana: giungendo ad affermare – come si è appena ricordato – che la tutela della vita del malato costituisce un pubblico interesse inferiore e subordinato alle volontà manifestate dal paziente verbalmente anche anni prima che verifichi la situazione di malattia. Per questo solo una legge chiara e puntuale potrà indurre la magistratura ad adeguarsi a opzioni di vita da parte del Parlamento, mentre una legge equivoca verrà sicuramente interpretata come elemento di continuità con la odierna giurisprudenza.

La mia scelta è quella di essere a favore della vita. Per questo ho ritenuto opportuno presentare un disegno di legge (atto Senato n. 1188) in cui si ribadisce che la vita ha sempre in ogni momento e in ogni circostanza un medesimo identico valore; che non esiste una vita “meramente biologica”, per natura sua non libera e quindi non (o meno) dignitosa; che quindi non è consentito dare spazio a opzioni di morte, ancorché confortate da indicazioni in passato espresse dal paziente. Il favore per la vita e il conseguente obbligo del medico di operare per la salute incontrano un limite invalicabile nella libera disponibilità da parte di ciascuno del proprio corpo: il singolo (ovviamente maggiorenne e capace di intendere e volere) è legittimato a rifiutare intrusioni sul proprio corpo che pure potrebbero salvargli la vita. Non è quindi consentito trascinare sul tavolo operatorio il malato per sottoporlo a un’operazione che rifiuta in piena coscienza. Per una forma di rispetto della volontà del malato dissenziente, si esclude che questo intervento possa essere compiuto anche quando il paziente perde conoscenza dopo aver espresso la chiara volontà di non essere curato con quelle modalità. Questa è però una eccezione al principio del favor vitae che, proprio perché è tale, richiede una piena, informata ed attuale volontà del paziente espressa in prima persona nell’imminenza dell’intervento; cioè quando egli è nelle condizioni di operare un’opzione vera e consapevole.

Questa scelta peraltro impone al medico di non operare l’intrusione che pur potrebbe salvare il malato, ma non può vincolarlo a operare un’intrusione di segno opposto, per esempio rimuovendo i dispositivi salvavita che siano già stati collocati. La missione del medico è salvare la vita; egli può essere – in questa sua opera – paralizzato dal dissenso del paziente, ma non gli è consentito attivarsi – anche su richiesta del paziente – con atti che portano alla morte.

L’alleanza terapeutica fra medico e paziente, il consenso informato, il conseguente piano di cura sono – nell’ottica del ddl che ho presentato propongo – strumenti di consapevole partecipazione alla cura, strumenti di vita e non di morte. Con essi il paziente sceglie terapie e modalità di cura. Può anche rifiutare cure necessarie per la sua sopravvivenza, nei limiti e nei termini in precedenza indicati. Il principio del consenso informato risponde cioè a finalità di «cura consapevole»: non deve e non può essere stravolto come mezzo per la legittimazione dell’eutanasia volontaria, dell’aiuto al suicidio, del «testamento suicida».

Non vi è alcuna ragione di principio per escludere che il medico possa tenere conto dei desideri espressi dal paziente prima dell’insorgere dello stato di malattia. Si possono anche disciplinare le forme di manifestazione di questi desideri. Ma un punto mi pare inderogabile: questi desideri comunque espressi, comunque denominati non possono comportare la rinuncia – ora per allora – a forme di cura o di assistenza che appaiano necessari per la vita del paziente.

Se si afferma l’esistenza di un diritto del singolo a una qualsiasi forma di “testamento biologico” che consenta la scelta di morte, la logica e la coerenza di questa scelta porteranno ad aggirare tutti i limiti e i vincoli posti al concreto esercizio di questo presunto diritto. Una volta affermato che l’opzione di morte è un diritto, non esiste alcun ragionevole motivo per subordinare questa opzione a forme o limiti determinati. E tutte le forme e i limiti potranno essere superati da un accertamento giudiziario della volontà.

Il consenso informato cancella quel «paternalismo medico», che è stato spesso esercitato nei confronti di un malato considerato mero inconsapevole destinatario di cure, ma non trasforma il medico in un passivo esecutore dei desiderata del paziente. In altre parole non contrattualizza il rapporto medico-paziente. Mi pare perciò doveroso che la legge scongiuri – almeno in questo settore – un pericolo che incombe sulla professione medica: la sua trasformazione da attività mirata a un risultato di salute e di benessere del paziente, in un’attività burocratica, di cui il primo precetto sia «tener a posto le carte»; il pericolo, cioè, che la responsabilità, invece di costituire una spinta a ben operare, ne costituisca una remora, se non un ostacolo.

Quella, dunque, da me presentata è una proposta di legge che con chiarezza assoluta dica no al testamento biologico, no alle dichiarazioni anticipate di trattamento e quindi ad ogni possibile forma di eutanasia. Vietando in modo categorico che una persona perfettamente sana possa decidere oggi per allora quali debbano essere in una ipotetica condizione di malattia le cure o meno che vuole gli vengano prestate. Ma, nello stesso tempo ho voluto, con altrettanta fermezza, ribadire che vi deve essere un assoluto rispetto per la dignità della vita del paziente, e sottolineo paziente. Nel senso che solo quando ci si trova realmente in questo stato si può decidere come ed in quale modo si vuole essere curati, ma questo lo si può decidere solo all’interno di un preciso rapporto di alleanza terapeutica con il proprio medico curante, proprio perché i progressi in ambito medico-scientifico sono sempre in continua evoluzione, il nostro medico non può essere escluso dal consigliarci un percorso terapeutico che magari, anche se non porta ad una completa guarigione, ci può permettere di continuare a vivere dignitosamente e senza grandi sofferenze. Questo non è accanimento terapeutico così come non lo possono essere la respirazione, l’idratazione e l’alimentazione anche quando ci dovessero essere praticate non con il “cucchiaio”. Termino ribadendo che una sana laicità non significa una falsa neutralità rispetto ai valori morali che sono fondamento di ogni persona e di ogni società civile e chiedo a te e ai tuoi lettori di riflettere su dove vogliamo andare e soprattutto su quale messaggio vogliamo lasciare alle future generazioni, quello che siamo delle macchine che se non funzionano devono essere rottamate o quello che la vita umana deve essere tutelata e sostenuta dal suo concepimento fino alla morte naturale anche quando questo richiede che una società civile, quale noi abbiamo la presunzione di essere, richiede che si compia ogni sforzo e sacrificio per sostenere moralmente e fisicamente chi si sente solo, abbandonato e quindi senza più la voglia di vivere? La sofferenza di ogni essere umano, questo abbiamo il dovere di ricordarlo a chi soffre e ai familiari di queste persone, è un importante esempio a non arrendersi ad una visione troppo materialista di quel piano obliquo tanto pericoloso che può sfociare sempre di più nel guardare solo al nostro egoismo quotidiano, alienando specialmente nei giovani l’importanza di sostenere il nostro prossimo.

*vicepresidente Gruppo Senatoriale PDL

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 9:09 pm
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