di Ignazio Marino*
Ancora poche settimane e la Camera tornerà a occuparsi di testamento biologico. Quanti sforzi sono stati compiuti per arrivare a una normativa in questa materia. Personalmente, ho sempre ricercato un con-fronto sobrio e attento al merito, attento alle posizioni di medici, infermieri e ascol-tando anche i numerosi son-daggi d’opinione condotti con metodo scientifico. Gli italiani, laici e cattolici, sono in larga misura favorevoli a strumenti che facciano salva la loro libertà di decidere con le dichiarazioni anticipate di trattamento. I cittadini chiedono che venga rispettato il diritto di potersi esprimere in autonomia sulle terapie che intendono accettare o rifiutare anche nel caso di un’eventuale irreparabile perdita di coscienza e chiedono al legislatore di tener conto del loro punto di vista. Il Parlamento, purtroppo, ha assunto comportamenti opposti: abbiamo visto gran parte della classe politica dividersi e accapigliarsi con fervore ideologico, incurante dell’evidenza scientifica e del parere degli elettori. Ora che la Camera si appresta a riesaminare il disegno di legge c’è il rischio di ritrovarci ancora una volta di fronte a un pessimo spettacolo. Mi aspetto che lo scontro tra schieramenti si riaccenda per ragioni esclusivamente ideologiche, che il tema del testamento biologico venga strumentalizzato dal Pdl, questa volta per dividere l’alleanza dell’Udc con Futuro e Libertà e irrobustire la propria maggioranza logora ed esausta. Temo che la voglia di sconfiggere l’avversario politico, insomma, prevalga sull’obiettivo di scrivere una legge giusta ed utile per la vita delle persone. Partendo da questi funesti presupposti, ho letto con interesse nelle settimane passate la posizione di Umberto Veronesi e – nonostante mi sia impegnato con molta determinazione per fare sì che l’Italia abbia finalmente una legge sul testamento biologico – mi ritrovo a dire che probabilmente Veronesi ha ragione: piuttosto che approvare una legge che impedisce la libertà, forse sarebbe meno dannoso lasciare le cose come stanno e non votare alcuna legge. Meglio lasciare la questione nel limbo attuale in cui ogni giorno all’interno degli ospedali, i medici decidono da soli se proseguire o interrompere le terapie seguendo le indicazioni della medicina e della propria coscienza o parlando in maniera informale con i familiari dei pazienti che non hanno più la capacità di esprimersi e di decidere da soli. Con ogni probabilità Veronesi non sarà ascoltato, perché quella sul testamento biologico è una legge simbolo per la destra e perché in Parlamento si respira l’aria di regolamento di conti, mentre il Paese lotta comunque per veder riconosciuti i suoi diritti: le cronache hanno riportato più e più volte, ormai, casi di cittadini che ricorrono direttamente ai tribunali perché si sentono minacciati da chi, solo perché ha vinto le elezioni, vuol legiferare sulla fine della vita in maniera restrittiva, non rispettando la libertà di scelta delle terapie. Peraltro, trovo che i ‘paladini della vita’ iscritti nelle file della maggioranza, pronti a giudicare e a parlare di ‘omicidio’, dovrebbero occuparsi prima di tutto di garantire la cura dei pazienti inguaribili e di coloro che sono spossati e vessati dal dolore cronico. Da una indagine della Società italiana di cure palliative emerge che il 32% dei pazienti (oncologici e non) nel 2008 è stato assistito entro 24 ore dalla segnalazione, il 38% tra 24 e 48 ore, il 20% tra 48 e 72 ore ed infine il 10% dopo 72 ore. Se scendiamo nel dettaglio, le più alte percentuali di pazienti che hanno trovato aiuto entro 24 ore si trovano nella Provincia autonoma di Bolzano (100%) e in Lombardia (71%). Tassi che scendono a livelli minimi in Sardegna (2%), nel Lazio (5%) e in Puglia (10%). Possiamo tollerare che chi soffre al sud continui ad avere una assistenza meno capillare e meno efficiente e sia magari costretto a spostarsi al nord nel tentativo di alleviare la sua sofferenza? Io non ho dubbi, non possiamo. Come non ho alcuna incertezza nel ribadire che i finanziamenti stanziati dal Governo per la rete delle cure palliative nel 2011 siano ridicolmente bassi: un milione di euro contro i 240 della Germania sembrano uno sforzo dignitoso? Quel milione misero basterà, forse, a curare 350 pazienti, lo 0,05% dei malati terminali in Italia. Agire in maniera determinata e consistente su questo fronte, potrebbe impedire a molte persone che soffrono pene indicibili di essere sopraffatte dal dolore. Per queste ragioni, sulla fine della vita non si può ingaggiare una battaglia parlamentare come si fosse allo stadio, contando vincitori e vinti. Affrontiamo interrogativi di non facile soluzione: se è necessaria una legge è perché le grandi risorse tecnologiche di cui dispone oggi la medicina consentono, a volte, di strappare un corpo alla morte, senza restituirlo pienamente alla vita recuperando le facoltà intellettive del paziente. Siamo chiamati tutti, laici e credenti, uomini di destra e di sinistra, medici e pazienti, a riflettere in modo maturo sui limiti della scienza, che può alleviare la sofferenza ma non evitare la naturale conclusione dell’esistenza. Evitiamo che il Parlamento si divida in buoni e cattivi, amici e nemici della vita, c’è ancora spazio per la responsabilità. Facendo uno sforzo di mediazione rispetto alle mie personali convinzioni, propongo una legge basata su due principi complementari: rispetto e libertà. Una legge in cui, sul punto più delicato, quello che riguarda la nutrizione e l’idratazione artificiale, sia scritto che queste terapie debbano essere sempre offerte e garantite a tutti coloro che non le rifiutino esplicitamente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. Un testo coerente con l’articolo 32 della Costituzione, mettendo da parte ogni arroccamento pretestuoso. Il Parlamento abbia il coraggio e la responsabilità di fare un passo indietro per far compiere un passo avanti al Paese. Su questo terreno forse è possibile costruire una convergenza ampia tra sensibilità differenti: un risultato di questa natura sarebbe una vittoria per una classe politica responsabile. Lo sarebbe di certo per il Paese.
*Chirurgo, Senatore PD