Energie Nuove – NUMERO 1 – aprile – maggio 2018
Sussidiarietà e riordino istituzionale dei Comuni
di William Casanova – Dipendente comunale
L’attuale congiuntura economico-finanziaria impone alla pubblica amministrazione di ripensare profondamente a se stessa, cercando nuove strade di razionalizzazione in linea con le manovre correttive del debito pubblico e l’impegno continuo alla spending review. Nel dibattito sul riordino istituzionale che è in corso da diversi anni nel nostro Paese i Comuni del territorio emiliano-romagnolo si sono trovati di fronte a un bivio: cercare di gestire il proprio ruolo all’interno dell’Unione dei Comuni “imposta” dalla Regione o tentare il percorso dei processi di fusione. La legge 142/1990, nella sua formulazione originaria, disciplinava le Unioni come strumenti associativi esclusivamente finalizzati alla creazione delle condizioni necessarie a procedere, successivamente, alla fusione dei Comuni. Si puntava ad una soluzione organica: arrivare alla riduzione del numero dei Comuni italiani con la costituzione di enti comunali di più ampie dimensioni. Il mancato decollo delle Unioni dei Comuni ha spinto il legislatore a riformare questo quadro normativo. Le Unioni sono diventate così entità associative volte all’esercizio congiunto delle funzioni e dei servizi comunali, allo scopo di accrescerne l’efficienza e l’efficacia a prescindere dalle dimensioni demografiche degli enti partecipanti. Sebbene le Unioni di Comuni nascano già per accrescere l’efficienza e l’efficacia amministrativa, la prospettiva di un Comune unico può prefigurare nuove e superiori capacità nell’azione di governo del territorio. Per quanto ampio possa essere un processo di conferimento alle Unioni di servizi e funzioni da parte degli enti associati, parte delle strutture comunali dovranno comunque essere mantenute nonostante la creazione dell’Unione, e fra queste certamente l’anagrafe, lo stato civile, la segreteria generale, il protocollo, la ragioneria, ecc. Le economie di scala ottenibili con un processo di fusione sono maggiori di quelle prodotte grazie allo strumento dell’Unione. La fusione delle piante organiche e del personale prospetta indubbi vantaggi: nel breve periodo porterà ad un aumento del personale, seppure con competenze ed esperienze simili, mentre nel medio periodo permetterà al nuovo ente la realizzazione di una specifica politica di qualificazione degli addetti, assolutamente irrealizzabile all’interno di piccoli Comuni. Per quanto ci si impegni ad armonizzare la presenza di unità amministrative dipendenti da ogni singolo Comune associato con quella di unità dipendenti dall’Unione, è inevitabile che si instaurino fenomeni di concorrenza e diffidenza tra queste diverse strutture. La diversa e variabile relazione con i vertici politici non semplifica certamente l’armonizzazione dei servizi “in Unione” con i servizi gestiti direttamente dai Comuni.
Il Comune unico inoltre accresce la legittimazione democratica del vertice politico, semplifica e rende più trasparenti i processi decisionali degli organi politici agli occhi dei cittadini. La semplificazione degli organi di vertice va di pari passo con quella dei processi decisionali e con una maggiore capacità di rispondere responsabilmente (accountability) delle decisioni prese. Mentre nell’Unione un sindaco può essere chiamato ad adottare decisioni che singolarmente non avrebbe preso, nel Comune unico il rapporto con l’elettorato è diretto e il principio di responsabilità opera integralmente. L’assetto istituzionale delle Unioni pone numerosi vincoli agli enti comunali partecipanti, sottraendo spazi di protagonismo ai singoli sindaci. L’Unione, oltre al presidente, ha una propria Giunta e un proprio Consiglio, le cui maggioranze politiche possono essere diverse da quelle dei Comuni partecipanti. Se le decisioni più importanti vengono prese dall’Unione (da organi diversi da quelli del singolo Comune) magari con diversi orientamenti politici, risulta difficile per un sindaco mantenere un rapporto responsabile con il proprio elettorato. Nel Comune unico la Giunta è scelta dal sindaco eletto direttamente dai cittadini e il funzionamento del Consiglio comunale potrebbe recuperare democraticità grazie ai maggiori mezzi disponibili post-fusione. Il rapporto tra cittadino e Unione dei Comuni tendenzialmente indiretto, sporadico e limitato a una mera fruizione dei servizi offerti, è altresì gravato da scarsa informazione e conoscenza, anche perché, nella maggior parte dei casi, i Comuni fondatori interpretano e percepiscono l’Unione come una organizzazione funzionale di secondo livello al loro servizio e non come ente sostitutivo del loro ruolo e della loro titolarità. Siamo di fronte ad un problema strutturale che contrasta con la sempre più diffusa tendenza alla “apertura” dei sistemi politici locali, nel tentativo di recuperare la partecipazione e la fiducia degli elettori. Per concludere, la nascita di un Comune unico prospetta maggiore trasparenza e democraticità nei processi decisionali, nel rapporto fra maggioranza e opposizione e, non ultimo, in quello fra cittadini e organi politici. La fusione si presenta come una trasformazione volta non solo a razionalizzare organi, strutture e livelli ma anche ad accrescere la governabilità, la responsabilità e la legittimazione dei processi politici locali. Nei dibattici pubblici con i cittadini sulle opportunità della fusione dei Comuni vanno messe in risalto le possibilità di migliori performances in termini di efficienza ed efficacia nei servizi, di una più significativa armonizzazione delle regole e delle tariffe e alla possibilità di fruire di incentivi finanziari da tradurre in opere e attività a beneficio della comunità. Urge un ripensamento della legge regionale 21/2012 che con un approccio centralistico ha compresso il principio di sussidiarietà cui dovrebbe ispirarsi il riordino istituzionale dei Comuni (soprattutto per quelli di piccola o media dimensione).