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Smettete la pavidità

     Giugno 26, 2017   No Comments

“L’Italia… sta lentamente disfacendosi… Dalla giustizia all’istruzione, alla burocrazia, sono principalmente tutte le nostre istituzioni che appaiono arcaiche, organizzate per favorire soprattutto chi ci lavora e non i cittadini, estranee al criterio del merito: dominate da lobby sindacali o da cricche interne, dall’anzianità, dal formalismo, dalla tortuosità demenziale delle procedure, dalla demagogia che in realtà copre l’interesse personale. Del sistema politico è inutile dire…” “Siamo ai vertici di quasi tutte le classifiche negative europee: della pressione fiscale, dell’evasione delle tasse, dell’abbandono scolastico, del numero dei detenuti in attesa di giudizio, della durata dei processi così come della durata delle pratiche per fare qualunque cosa…Quale futuro può esserci per un paese così?” C’entra la politica, ma anche più in generale una classe dirigente imprenditoriale ed industriale che non ha dato gran mostra di sé. Fra altre ne sono prova “le aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio… Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi…Questa è l’Italia di oggi…la cui società civile è immersa nella modernità di facciata dei suoi 161 telefoni cellulari ogni cento abitanti, ma che naturalmente non legge un libro neppure a spararle (neanche un italiano su due ne legge uno all’anno), e detiene il record europeo delle ore passate ogni giorno davanti alla televisione…” “Abbiamo dunque bisogno di una classe dirigente che si compenetri della necessità di un nuovo inizio. Ripensi un ruolo per questo Paese fissando obiettivi, stabilendo priorità e regole nuove: diverse, assai diverse dal passato. Mai come oggi abbiamo bisogno di segni coraggiosi di discontinuità, di scommesse audaci sul cambiamento, di gesti di mutamento radicale…proprio di quei segni e di quelle scommesse che dai governi delle <larghe intese> non siamo riusciti ad avere.” In altri paesi queste simili condizioni di intesa hanno sortito ed avrebbero sortito benefiche soluzioni. Da noi, no. “Con le larghe intese, sfortunatamente, non si diminuisce il debito, non si raddoppia la Salerno-Reggio Calabria, non si diminuiscono né le tasse né la spesa pubblica, non si elimina la camorra dal traffico dei rifiuti, non si fanno pagare le tasse universitarie ai figli dei ricchi, non si fa ripartire l’economia, non si separano le carriere dei magistrati, non si costruiscono le carceri, non si aboliscono le Province, non si introduce la meritocrazia nei mille luoghi dove è necessario, non si disbosca la foresta delle leggi, non si cancellano le incrostazioni oligarchiche in tutto l’apparato statale e parastatale; e.. chissà quando si riuscirà a varare una nuova legge elettorale…a forza di tirare a campare alla fine si può anche morire.” Spietatamente così, Ernesto Galli della Loggia, nel suo fondo del Corriere della Sera (20-10-2013) “Il potere vuoto di un paese fermo. Il fallimento di una classe dirigente.” Troppo spietato? La drammaticità sta nel fatto che è crudo realismo. Come evitare di essere travolti da una tale valanga di pessimismo? Dove, come, trovare l’appiglio, la ragione, la motivazione, la speranza, che una reazione sia possibile e ci possa essere? Qualcosa s’ha da trovare. Altrimenti non resterebbe che “spararsi”. Finirà che arriveremo ad auto insultarci per questa nostra ottusa pervicace convinzione ed insistenza che si può reagire e che si deve reagire? Non solo continuiamo a sperarlo. Continuiamo anche ad impegnarci. Non mancano le idee e le energie. Lo si vede anche qui, nelle pagine successive, nella possibilità di “Rimettere in moto l’Italia”. Nella possibilità di mettere in moto un nuovo sentire, intorno ad una rinnovata idea del nostro futuro. Che possa sostenersi di una condivisione maggiore, a prescindere dalle preferenze politiche, di quelle figure positive della politica, delle imprese, delle professioni, che ci sono. C’è una borghesia che non è marcia di egoismo. Che deve sentire la responsabilità del suo ruolo di classe dirigente. Deve avere il sussulto che la dismetta dall’essere pavida. Non c’è solo l’alternativa fra questa pochezza di classe dirigente e l’ancor maggiore pochezza di chi la vuole sostituire con un coro di “vaffa”. È tempo di partecipazione, di mostrarsi, di mettersi in gioco. Quel che conta è per fare cosa. Dove e con chi meglio lo si ritiene di fare è problema di ognuno. È questa partecipazione attiva rispetto a precisi obiettivi, per battaglie concrete, che continuiamo a sollecitare. E a volerne essere uno strumento e un mezzo. Se questa politica non sarà rinnovata, quel cupo pessimismo ci sommergerà e sprofonderà.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 10:32 pm
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