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Sergio Vacchi e il suono della sua voce

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Janus

È impossibile dimenticare Sergio Vacchi e il suono della sua voce, quella sua dizione precisa e forte che incide sulla parola come se fosse di bronzo. È una voce simbolo che penetra dentro la sua opera così piena di simboli, dentro il suo colore, dentro i suoi segni. I suoi quadri ci parlano della sua esuberanza creativa, della sua impetuosità, del suo carattere anticonformista, delle sue visioni e dei suoi sogni. La sua voce è inconfondibile e ci parla della sua anima. È stato uno degli artisti più completi del Ventesimo Secolo. Ha percorso innumerevoli strade, ha scandagliato la storia ed il mito e se de Chirico è stato un protagonista della prima metà del Secolo Ventesimo, Sergio Vacchi è stato un protagonista della seconda metà, ma ancora molti non lo sanno, non vedono ancora il pittore geniale. Vacchi è stato sicuramente un pittore estroso, un pittore che trasformava le sue visioni in racconti epici, in narrazioni favolose. Personaggi della storia o del cinema o dell’arte attraverso i suoi quadri riaffiorano nell’attualità dei nostri giorni, come se appartenessero alla nostra epoca, come se fossero nostri contemporanei, ma trasfigurati da una specie di visione onirica. Vacchi li ha coinvolti nelle sue passioni personali. Ha gettato nella sua arte tutta la sua mente, lasciando brandelli della sua anima su tutto quello che creava ed è ancora possibile vederla sulla superficie dei suoi quadri, come se avesse disseminato i suoi dipinti dell’impronta della sua vita più intima, poiché in Vacchi non c’eraseparazione tra l’uomo e il pittore, l’uomo nutriva il pittore con tutta la suaimmaginazione ed il pittore dava all’uomo un’impronta autobiografica esoprattutto la sua fede. Attraverso tutte le storie che inseriva di volta involta nei suoi dipinti, passando da un’epoca all’altra, Vacchi ha raccontato lasua vita personale. Era il principale protagonista delle sue storie anchequando prendevano il volto di un altro, Vacchi diventava Greta Garbo, madiventava anche Federico II di Hohenstaufen, diventava Leonardo da Vinci oGalileo Galilei o i molti altri personaggi che apparivano nei suoi ciclipittorici. Ha fatto una pittura storica, una pittura che appartiene allastoria, rivisitata nei suoi innumerevoli episodi pittorici, ma aveva anchetendenze esoteriche che espresse nei quadri dedicati al famoso Quadrato Magico.Naturalmente dipinse anche se stesso, ma non come ritratto, piuttosto comepersonaggio di una fiaba. Sembrava uno di quei personaggi fantasiosi usciti daipoemi dell’Ariosto e del Boiardo. Aveva coraggio, era come un paladinorivestito di un’armatura lucente, combatteva contro i draghi dalle cento teste,e questi draghi erano i mille miti che sorgevano intorno a lui, come se sitrovasse davanti ad una Sibilla, e dovesse interpretare il mondo, ma la veraSibilla della sua pittura era lo stesso Sergio Vacchi che possedeva un occhiovaticinante ed infallibile. Si ribellava contro l’ignoranza di chi non capivala novità e l’originalità della sua pittura con la spietata lucentezza dellasua arte. Nasceva e moriva dentro i suoi dipinti. I suoi quadri balzano fuoritutti armati da un’immaginazione sfrenata, da una lontana memoria ancestraleche era nascosta dentro la sua memoria. Era fatto di passione e non sapeva checos’era il riposo e che cos’era l’indifferenza. Si spingeva sempre oltre ognilimite. Sapeva osare ed era questa una qualità che oggi gli artisti non sannopiù esercitare.
Perfinola sua voce aveva una forte personalità. Dipingeva con la sua voce, con gliocchi, con le sue mani infaticabili, con i suoi sensi, con il suo suono magico,come un attore che non abbandona mai il palcoscenico nemmeno dopo larecitazione. La sua era un’arte teatrale, scenografica, ha dipinto lemolteplici scene della vita. Era un attore eclettico, poteva recitare qualsiasiruolo, la sua voce conteneva tutti i suoi pensieri, ascoltarlo era un piacereraro, potrei dire che la sua voce era cromatica, poiché conteneva già tuttoquello che dipingeva. Faceva un uso sapiente della parola e la sua vocescorreva sulla superficie dei suoi quadri e modellava tutte le sue figure. Lasua voce è un’altra caratteristica della sua arte. Parlava dipingendo, perchéla sua pittura era un dialogo incessante con i suoi innumerevoli fantasmi. Risentoquel suono come se uscisse fuori da una foresta, la sento con la mia memoria orileggendo le sue lettere. Ha sempre il suono di un oracolo.
Haavuto numerose esposizioni, ma a me pare che gli fosse particolarmente caraquella che ho curato a Cesena per la Galleria Comunale d’Arte, Palazzo delRidotto, dal 13 dicembre 2003 al 22 febbraio 2004, che aveva per titolo “GretaGarbo e Sergio Vacchi nel Palazzo del Ridotto di Cesena”. Ha riempito tutto lospazio espositivo dei suoi quadri, come se volesse ripercorrere tutti i suoipiù felici anni pittorici, come se quella sede fosse un anfiteatro.L’esposizione conteneva le sue opere dal1948 al 2003, il periodo bolognese dal 1948 al 1959, gli anni romani dal 1959al 1997, gli anni di Grotti dal 1997 al 2003. È stata un’ampia esposizioneantologica, ed è stato un altro dialogo con il mondo, perché voleva che tuttisapessero quando era felice e quando era infelice, quando era malinconico equando era allegro, quando sognava e quando era sveglio, quando pensava a tuttimentre era davanti al cavalletto. Era un pittore solitario che amava essere inmezzo alla folla. In quei giorni era pervaso da un entusiasmo giovanile edirrefrenabile, come se quella mostra ricchissima di opere fosse per Vacchi ilriassunto di tutta la sua vita, ed il ricco catalogo che venne pubblicato inquell’occasione dalla Fondazione Vacchi lo dimostra. È stata un’esposizionenata da una specie di esaltazione o di estasi, da un desiderio di stupire,dalla volontà di affermare ancora tutte le ragioni della sua vita, come sefosse un’occasione inconfondibile, una sfida contro il passare del tempo, ladimostrazione di una irripetibilità, di una fatalità: dipingere non era solouna vocazione, ma era una parte del suo destino. Ricordo che Vacchi durantel’inaugurazione, affollatissima, si aggirava inquieto per le sale del Palazzo del Ridotto, come seavesse dipinto tutti quei quadri, che erano appesi alle pareti, proprio in quelmomento. In quell’occasione c’era in Vacchi perfino una certa meraviglia, sidomandava: “Ma sono io che ho fatto tutte queste opere?”. Era accanto allamoglie Marilena, che l’ha sorretto con la sua ispirazione e con la sua fiducia,ed alla figlia Ursula, che era trepidante, accanto agli amici che erano venutida lontano per salutarlo, accanto agli abitanti di Cesena, che erano venuti inmolti a vedere l’esposizione che potremmo ora chiamare la “Camera delleMeraviglie”. C’era un’atmosfera che non ho mai trovato in altre esposizioni. Èstato un incontro di grande lirismo, una specie di canto ariostesco. Possiamodefinirlo un momento storico poiché non era una mostra come tutte le altre.Vacchi aveva messo a nudo tutta la sua anima, come se quella fosse la primamostra della sua vita.
Ricordiamoancora che Sergio Vacchi è nato a Castenaso di Bologna il 1 aprile 1925 ed èmorto nell’ospedale di Siena il 15 gennaio 2016. È stato sepolto nel parco diGrotti, a Monteroni d’Arbia, che gli era particolarmente caro e dove hapassato, come se fosse il mago Atlante, gli ultimi anni della sua vita.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 12:51 pm
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