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Scarpe rotte e pur bisogna andar

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Enzo Lattuca

La sinistra è oggi molto più smarrita per la fallimentare vittoria alle ultime elezioni, di quanto non fosse accaduto dopo le tante vittoriose scon-fitte nella storia repubblicana. La sinistra paga il prezzo di chi ha cercato di aggrapparsi alla Politica, quella che gli anglosassoni chiamo politics, senza accorgersi che il divorzio di questa dalle politiche, policies, ha frustrato a tal punto la democrazia europea da riportare in auge il binomio populismo-tecnocrazia che, come è noto, contro la Politica insieme si tengono per mano.

Per ritrovarsi non può allora che tornare a percorrere allo stesso tempo le due strade della politica, quella dell’arte, della forma, dell’identità e della strategia insieme a quella delle decisioni, della sostanza, dei provvedimenti, delle scelte. La traversata è epica come quella di un funambolo dimezzato, l’esito incerto, il contesto sfavorevole. Di fron-te al Governo gui-dato con autorevo-lezza e padronanza della cassetta degli attrezzi da Enrico Letta, il sentimento della sinistra e del suo popolo è duplice, conflittuale e persino un po’ contradditto-rio. Quello non è il loro governo, quello da sempre sognato, quello in cui hanno creduto o sperato e non è nemmeno quell’ipotetico Governo di cambiamento che Bersani ha pensato potesse nascere dopo il 25 febbraio. Non è nulla di tutto ciò. Eppure è larga la consapevolezza che non esiste una vera alternativa a un sostegno leale che indirizzi il governo senza ricattarlo e che, di fronte alla macerie di un Paese e di una comunità, la responsabilità è la propria croce. Una croce pesante perché in pochi la portano e in tanti inveiscono, una croce sotto cui il peso si rischia di soccombere soprattutto se si è così deboli. Nonostante ciò ha ragione Michele Prospero quando scrive “Ci sono idee che non possono tramontare, quale sia il governo in carica”.

Ricostruire la Politica e riappropriarsi dell’elaborazione e della determinazione delle politiche sono le due strade strette da percorrere.

La prima pone di fronte ostacoli e domande epocali. Sono ancora i partiti gli strumenti giusti per organizzare la democrazia? (la fine impietosa di chi ci ha provato a costruire un partito vero regala una risposta troppo facile e un po’ pericolosa a questa domanda). Può esistere una comunità politica in grado di tenersi insieme finite le grandi ideologie che non abbia come unico collante l’infatuazione verso un principe carismatico, magari eletto dalle primarie, ma sempre principe? Può esistere un soggetto politico collettivo pensante (“intellettuale collettivo” avrebbe detto Gramsci) che non sia solo una comunità di follower? Può esistere senza un’identità e senza nemmeno una discussione sull’identità, secondo la formula di Wittgenstein “ciò di cui non si può parlare si deve tacere”?

È ricostruibile il concetto di rappresentanza democratica in tutti gli ambiti della società o la soluzione è quella neo plebiscitaria che alcuni raccontano come democrazia diretta?

E, infine, può resistere una Politica prigioniera della di-mensione nazionale quando le decisioni si sono spostate in parte in Europa e in parte fuori da istituzioni propriamente democratiche?

Queste domande ovviamente riguardano tutti e dalle risposte dipende il futuro di una repubblica e non di una sola parte. Ma l’impressione è che per la sinistra italiana e solo per essa, il tentativo di dare risposte a queste domande sia ormai un passaggio obbligato e imprescindibile.

La seconda via da percorrere riguarda le scelte. Negli ultimi decenni la sinistra ha scontato un deficit enorme in termini di chiarezza e nettezza delle proprie posizioni politiche. Invece di coniugare realismo e imma-ginazione, come per vocazione dovrebbe fare, si è schiacciata sul primo dei due poli arrivando alle finali sempre con il fiato corto. Da abbandonare il massimalismo di una certa sinistra così come il moderatismo di chi non decide mai da che parte stare, non resta che ripro-vare lo stretto passag-gio del riformismo. La realtà è amara e complessa e chi ragiona prima di rispondere perde già terreno competitivo.

Il Paese è quello di sempre, tendenzialmente restio ad un cambiamento che non sia apparente e gattopardesco, per via di quell’attrazione fatale tra il potere dei detentori di interessi economicamente forti e l’assenza di senso civico delle masse. Solo con la radicalità della proposta di cambiamento si può rompere questo blocco. Servono immaginazione e coraggio. Non si difenda l’esistente ma nemmeno le logiche surrettizie ai rapporti di forza di sempre.

Davanti agli occhi si aprono delle praterie, dai diritti sociali e civili, alla costruzione di un’altra Europa, dalle prospettive da offrire alle nuove generazioni al welfare da garantire a quelle che passano, dalla competitività del sistema produttivo alla rivalutazione del lavoro.

Ma la prima scelta riguarda inesorabilmente la via d’uscita da questa crisi.

Le politiche d’austerità imposte dalle destre europee hanno miseramente fallito. La prima nuova occasione per la sinistra potrebbe non essere poi così lontana. Scarpe rotte e pur bisogna andar.

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 10:26 pm
  •   In The Categories Of : Opinioni

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