La discussione sulla sanità è sempre più spesso alimentata dall’emergenza contingente. Un contingente in cui inevitabilmente risaltano i cattivi funzionamenti del sistema di cura e gli episodi di “malasanità”, veri e presunti tali, sui pur evidenti esempi di efficienza e qualità che caratterizzano gran parte del servizio sanitario.
Da troppo tempo dobbiamo costatare la nostra incapacità a gestire, nella serenità e nella obiettività, un dibattito che, al pari di altri fondamentali settori della funzione pubblica, dovrebbe essere rivolto al futuro.
Che la sanità sia un sistema caratterizzato da un alto valore aggiunto, e che sia un settore da cui dipende buona parte della ricchezza e della prosperità delle persone e delle collettività, sono in pochi ad avere dubbi.
Indubbiamente, per la società, salute e benessere sono un fattore di dinamismo e di progresso. Ci si attenderebbe che somme ed energie che la collettività destina al loro raggiungimento fossero considerate non solo come una spesa, ma anche come un investimento.
È altrettanto vero che per ottenere i frutti attesi, devono i frutti essere orientate verso le soluzioni migliori e devono essere gestite nel modo più efficiente.
Ma nella realtà non è così.
Da diverso tempo i servizi sanitari sono sottoposti all’azione contrastante esercitata da un lato dall’evoluzione dei bisogni e delle attese della popolazione e, dall’altro, dalla limitatezza crescente delle risorse disponibili.
È un fatto che il sistema presenta crescenti difficoltà a soddisfare gli obiettivi finanziari. L’allarme ricorrente sugli squilibri economico finanziari della sanità è il sintomo di un’incapacità di pensare a lungo termine.
La solidarietà è sia un imperativo etico, sia un obiettivo politico. Per questo bisognerebbe cercare di evitare di ricorrere costantemente all’enunciazione di principi dall’applicazione illusoria. La realtà è che il mondo della salute è un mondo che ha che fare con le disuguaglianze. Un mondo dove tutto spinge alle diseguaglianze e dove l’asimmetria informativa è la regola. L’equità di accesso per ogni cittadino significa poter accedere, senza distinzione economica e culturale, al livello più avanzato di pratica sanitaria. In questo contesto, la solidarietà riposa sull’accettazione universale di uno sforzo crescente, collettivo e individuale, determinato dall’evoluzione delle tecniche e dall’evoluzione delle aspirazioni delle persone ad una salute sempre migliore.
Oggettivamente il sistema deve fare i conti con un aumento tendenziale dei costi inevitabile, anche nell’ipotesi di un massimo grado di efficienza nell’uso delle risorse. Il che equivale a dire che la medicina amara del momento, come può essere un piano di rientro, non può risolvere il problema.
I fattori strutturali di aumento della spesa sanitaria, prevedibili per almeno il prossimo decennio, determineranno con ogni probabilità un aumento superiore a quello della ricchezza prodotta, quale che sia il livello di funzionamento del modello organizzativo e di finanziamento che si dovesse scegliere. Di conseguenza, se non si vuole o non si possono aumentare le risorse pubbliche da destinare alla sanità, occorrerà chiarire alla popolazione che la spesa sanitaria da sostenere direttamente è destinata a crescere, direttamente o per il tramite di una copertura assicurativa integrativa di quella garantita dal servizio nazionale.
Questa difficoltà non è solo nazionale e internazionale. È presente anche nella nostra Regione, ancorché in misura molto più contenuta rispetto a quella nazionale. È anche Locale, come dimostrano i problemi di bilancio di alcune aziende della Romagna portate all’attenzione dalla stampa.
Nella Romagna si spendono per servizi sanitari oltre due miliardi di euro, si contano oltre quattordicimila dipendenti pubblici che salgono a oltre sedicimila, se integrati dal personale con altri rapporti di lavoro. A ciò si aggiunga il contesto economico della sanità privata e dell’indotto. A fronte di ciò i cittadini Romagnoli, al pari di quelli di altre realtà della Regione, beneficiano di una dotazione di servizi e di uno stato di salute di qualità superiore a quello della media nazionale.
È un fatto, tuttavia, che due aziende sanitarie della Romagna su quattro, presentano un importante disequilibrio finanziario. Una di queste ha appena raggiunto l’equilibrio e solo un’altra presenta un equilibrio di lunga durata. È parimenti un fatto che tre aziende ( Forlì, Cesena, Ravenna) su quattro presentano costi pro capite superiori a quello medio regionale e che altre tre ( Forlì, Cesena, Rimini), hanno un ritmo di crescita superiore a quello medio regionale, come dimostrato dai bilanci di missione della aziende.
Una riflessione s’impone, non solo per ragioni politiche contingenti ma per verificare quanto i nostri servizi siano adeguati rispetto al presente ma, soprattutto, quanto siano adeguati rispetto alle sfide del medio e del lungo periodo.
Occorre il coraggio di aprire un dibattito reale su una questione di primaria importanza che non ha soluzioni facili, a maggior ragione in un contesto come il nostro dove da tempo non si discute seriamente e diffusamente sulle questioni di fondo che devono essere affrontate per sostenere al meglio le molteplici sfide cui gli individui e la collettività sono chiamate nel presente, ma soprattutto per il futuro.
Le scelte sui servizi sanitari di una collettività sono fondamentali e le relative revisioni, più o meno periodiche, non possono esaurirsi in dibattiti tra pochi o, essere somministrate attraverso un governo contabile. E, soprattutto, non possono fondarsi su pregiudizi e luoghi comuni troppo spesso lontani dalla realtà dei fatti e quasi sempre enfatizzati per fini che ben poco hanno a che vedere con la dichiarata volontà di migliorare la qualità, la trasparenza e la efficienza dei servizi pubblici.
Solo attraverso un dibattito reale sarà possibile trovare un minimo comune denominatore su cui innestare la condivisione di scelte fondamentali che riguardano servizi pubblici determinanti per la salute e il benessere della popolazione. Un dibattito che parta dalla chiarezza sullo stato delle cose, che consenta di individuare i problemi e le possibili soluzioni.
Sarebbe singolare che per ragioni economiche si mettesse mano ad una razionalizzazione dei servizi alla persona, prima di aver fatto ogni sforzo per ridurre i costi evitabili tuttora esistenti. Sarebbe questo il caso dei costi di amministrazione generale, di supporto amministrativo o logistico o dei costi dovuti a servizi inutilmente sovradimensionati o duplicati.
È quindi necessario partire da una condivisa conoscenza della situazione e diffonderne la consapevolezza.
Le fonti certo non mancano. La nostra Regione e le sue aziende sanitarie dispongono di dati affidabili relativi allo stato di salute e al funzionamento dei servizi. Molti di questi sono pubblici e gli eletti negli organi istituzionali dispongono della possibilità di approfondimenti.
Occorre attivare un pubblico confronto che sottragga la discussione sui servizi sanitari al semplice fatto contingente, il più delle volte usato per finalità squisitamente opportunistiche.
Così facendo, forse, si potrà evitare di perdersi in dibattiti che prescindano dalla conoscenza dei problemi che pretendono di risolvere o di attivare interventi di razionalizzazione dei servizi viziati da miopia prospettica.