Il modello della sanità emiliano-romagnola, che da sola assorbe circa tre quarti del bilancio della Regione, sta mostrando qualche vistosa falla proprio alla fine del quindicennale dominio incontrastato dell’assessore cesenaticense Giovanni Bissoni.
Le notizie, fino a poche settimane fa confinate nelle cronache locali dei quotidiani, sono balzate a livello nazionale non solo per l’approssimarsi delle elezioni regionali del 27 e 28 marzo, ma per l’entità delle cifre in ballo. Così ‘Libero’ ha avuto gioco facile, a fine gennaio, nello scrivere pagine pesanti come il piombo, quasi che fossimo ancora ai tempi della linotype.
Dell’ospedale di Cona, in provincia di Ferrara, si sente parlare da tempo come di un’opera incompiuta i cui costi si sono moltiplicati col passare degli anni senza che i lavori vedessero mai la fine. Anzi, ci sono stati impianti che hanno dovuto essere rifatti perché resi inutilizzabili dall’inattività. L’avventura inoziò giusto vent’anni fa, e allora si ipotizzava un costo di cento miliardi di lire; ma oggi la cifra di cui si parla è 287 milioni di euro. E ancora l’ospedale non è entrato in funzione.
Ma è in Romagna che le sirene d’allarme risuonano più forte. Proprio dove la Regione ha creato ‘Area Vasta’ per accentrare servizi e procedure delle Aziende sanitarie locali di Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena (dalla centrale operativa del ‘118’ al laboratorio analisi unico) emergono bubboni che minacciano di scoppiare sporcando l’immagine alla quale la Regione tiene tanto. La magistratura ha aperto almeno un paio d’inchieste, ma la corposità dei fascicoli acquisiti fa pensare che per avere qualche risultato sarà necessario aspettare un bel po’ di tempo.
A Forlì da tempo si sussurrava che i conti dell’Ausl non fossero in ordine, ma nessuno si aspettava che il cambio di direttore generale, con Licia Petropulacos che a ottobre 2009 ha preso il posto di Claudio Mazzoni, portasse alla luce una voragine da 60 milioni di euro di deficit nei conti per il biennio 2008-2009. Da cosa sia stato causata questa voragine ancora non si sa, né se ne conoscono i contorni definiti; è evidente, però, che le affermazioni della Regione («il deficit è stato scoperto perché i nostri controlli hanno funzionato») possono suscitare solo un sorriso, mentre il centrodestra chiede le dimissioni di Bissoni.
Quando arriva il temporale, però, di fulmini non ne cade mai uno solo, ed ecco che a metà gennaio i carabinieri prelevano dagli archivi contabili della Regione a Bologna e da quelli delle Ausl di Cesena e Forlì i documenti di a due appalti milionari relativi al Laboratorio unico di Pievesestina, a due passi dal casello di Cesena Nord dell’A 14 e dal raccordo con l’E45. Si tratta della fornitura di strumenti e reagenti diagnostici per un periodo di sei anni, aggiudicata a una cordata capeggiata dalla Roche per quasi 41 milioni di euro (il ribasso offerto sulla base d’asta è stato del 7,96%). Contro l’aggiudicazione, l’altra cordata concorrente, formata da Beckman, Menarini e Biosite, ha presentato ricorso al Tar e al Consiglio di Stato, ma senza ottenere soddisfazione alcuna. Ora indaga la Procura della Repubblica di Forlì, che ha aperto un fascicolo pure per l’appalto del trasporto a Pievesestina dei campioni (si parla di 9-10 milioni di analisi all’anno) dai 93 punti di prelievo disseminati in Romagna, un affare da cinque milioni di euro.
A far discutere c’è anche il canone d’affitto che le quattro Ausl romagnole pagano all’Immobiliare Cesena Nord che ha realizzato il laboratorio: si tratta, complessivamente, di quasi due milioni e mezzo di euro all’anno, circa duecentomila euro al mese. Ma l’immobiliare ha costruito su un terreno comunale (concesso in diritto di superficie per 99 anni) utilizzando lo strumento finanziario del leasing. Che qualcosa non abbia girato per il verso giusto lo indica il fatto che, dopo un solo anno dall’entrata in funzione del Laboratorio Unico, sono sempre più insistenti le voci di un tentativo d’approccio per l’acquisto dell’immobile. La Regione non poteva pensarci prima o, meglio, non avrebbe potuto fare l’operazione senza ricorrere a un privato?
Ciliegina sulla torta, infine, è la vicenda che riguarda Ignazio Marino, medico candidato alle primarie del Pd vinte da Bersani: pare stesse per firmare un contratto per lavorare al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, ma il contratto è sparito; pare ci sia una registrazione in cui un commercialista, intercettato per altra vicenda, afferma che Marino in Emilia non è più gradito essendosi messo contro Bersani. Sarà vero? |