di Stefano Mancini
Vent’anni di Energie Nuove. Questo compleanno non ha alcunché di malinconico o di antico. Non è quindi epoca di bilanci ma di slanci coraggiosi in un contesto pensante e non mugugnante. Una sorta di lobbismo buono di derivazione WASP. Tutt’altro rispetto alla microscopica politica. Specie in tempi di ristrutturazione culturale, di drammatici risvolti sociali ed in una “economia di guerra”, è utile comunicare, agire, esercitare leadership, coraggiosa e sobria. Le idee camminano sulle gambe di coloro che le esprimono. Le cose e le intraprese assomigliano alle persone che le animano. Energie Nuove rappresenta il Contenitore e l’Incubatore di Pensiero (il nostro Think Tank), libero, autorevole, dotto, solido, adogmatico ed affidabile. Gli anglofoni, asciutti, definirebbero il tutto col termine” accountability”. Ugolini, che è fondatore, ideatore, di Energie Nuove, ne rappresenta il valore reputazionale e ne accresce il” fair value” al mercato delle idee. Auguri a Energie Nuove e grazie a Denis Ugolini. E veniamo al tema oggetto si questa riflessione. Al punto in cui siamo arrivati, o ripensiamo il welfare oppure sarà il welfare, e precisamente la sua implosione, a cambiare noi e gli stili di vita che conosciamo. Lo Stato interviene in una economia di mercato, regolando la distribuzione dei redditi, per garantire ai cittadini un tenore di vita dignitoso. Lo fa per fornire loro alcuni servizi fondamentali quali Istruzione e Sanità.; per dare loro sicurezza a fronte di eventi sfavorevoli di vario genere. Il concetto di welfare è stato pensato, elaborato ed introdotto nella dialettica politica e nella vita dei cittadini, nell’Inghilterra del secondo dopoguerra. Auspice il solito Winston Churchill. Ripensare il Welfare significa non temere di alterare posizioni consolidate o rimettere in discussione concetti che si riteneva avessero il valore dell’assoluto. Significa abbandonare convinzioni ideologiche e dogmatiche. Significa accettare che le cose si presentano nella loro invincibile realtà e con la loro dirompente forza di rottura. Significa cercare di ridurre le diseguaglianze fornendo a tutti le stesse basi di partenza. Significa cercare di coniugare coesione sociale ed innovazione economica; protezione dei deboli e competitività; inclusione e crescita. Il classico welfare-state del ventesimo secolo ha portato ad accordi che sono insostenibili nella loro forma attuale. Inoltre le persone al giorno d’oggi vogliono fare le loro scelte, organizzarsi la loro vita e prendersi cura le une delle altre. In sostanza si apre ufficialmente una fase in cui saranno i cittadini a dover investire direttamente per costruire reti di assistenza sociale, mentre il governo limiterà il proprio aiuto a interventi mirati. Si tratta di un concetto che ho mutuato, e fatto mio, dall’Olanda, patria di commercianti, banchieri, artisti e pensatori. I vincoli europei e le leggi di stabilità impongono al nostro paese di contenere il deficit sul pil al di sotto del 3% e di fare ricorso a risorse economico-finanziarie reali e ben identificate. Lo stato sociale, nella sua interezza, deve essere economicamente sostenibile e quindi anche la nostra spesa sanitaria deve trovare un suo equilibrio. Essa però, nonostante rappresenti un imponente costo a carico del bilancio dello Stato attraverso le Regioni, (spesa sanitaria totale anno 2012: 137,9 Miliardi di Euro; 8.9% del PIL; spesa sanitaria pubblica: 111,000 Miliardi; 7,1% PIL 80,50% del totale; spesa sanitaria famiglie: 26,9 Miliardi; 1,7% PIL 19.50% del totale) può costituire, se ben interpretata, un importante fattore di sviluppo sociale ed economico del paese. Dobbiamo probabilmente cominciare ad immaginare forme nuove di cofinanziamento del sistema, coinvolgendo amministrazioni pubbliche e private, assicurazioni e banche. Il termine “franchigia” deve diventarci familiare e armonico. Dobbiamo imparare a differenziare le lungodegenze e le disabilità, dai trattamenti medici di elezione, tra cui il medico di base, le chirurgie ambulatoriali, le day surgery e le ospedalizzazioni programmate. Sono concetti neutri e trasversali, non distonici rispetto ai retroterra culturali delle più diffuse rappresentanze politiche occidentali, Liberali, Conservatori, Repubblicani ( Great Old Party americano), New Labour inglese, New Democrats americani. Anche le nostre radici cristiane (Dottrina Sociale della Chiesa), trovano certamente il riconoscimento e l’onore che meritano in questa impostazione, che richiede meno delega e più responsabilità personale, ma è sostenibile, egualitaria e rispettosa della dignità dell’uomo. L’integrazione europea, snodo cruciale per un futuro di crescita e di efficace connessione col resto del mondo, si sta articolando attraverso molti passaggi obbligati. Alcuni sono stati realizzati, altri lo saranno. Cito in maniera, certamente incompleta, solo alcuni di questi passaggi. Assenza di barriere doganali. Una legislazione europea omogenea. Una governance unica. Una moneta unica, l’Euro, che pare abbia definitivamente superato i rischi di ridenominazione e di dissolvenza. Una fiscalità unica, che limitando le diseguaglianze dei regimi fiscali, renda il mercato dei capitali più omogeneo e sereno. Una unione bancaria, con il meccanismo unico di supervisione, controllo e garanzia delle banche europee. Un unico sistema giudiziario, civile penale e amministrativo, armonizzato( Eurojust) . Un unico mercato del lavoro che ne uniformi, semplificandola, la normativa in ingresso ed in uscita. Un sistema di welfare unico, e quindi anche un “ unico sistema sanitario europeo” con servizi in grado di parlarsi, integrarsi e servire i cittadini europei, ovunque, con la stessa efficacia ed universalità; e con costi standardizzati. Una piena integrazione europea prevede per noi italiani rigore, coerenza, dignità e, di nuovo, responsabilità. Dall’altro contempla però la necessità tutta politica, di limitare la tracotanza e lo strapotere debordante ed autoreferenziale della Germania. Altro e ben oltre la USL unica romagnola di fresco conio. Ma la direzione credo sia quella giusta. D’altra parte Ugolini ci ha abituati a pensare in grande. Nei prossimi numeri potremo tentare un confronto fra i diversi sistemi per ricondurre le diversità ad unità. Un recente rapporto “SULLE AZIENDE E SUL SISTEMA SANITARIO ITALIANO”- (RAPPORTO OASI 2013) redatto dall’Università Bocconi, da un lato afferma, dati alla mano, la sostenibilità a breve del Sistema, dall’altro, analisi degli investimenti effettuata, ne ribadisce il rischio implosivo. Il SSN Italiano conferma di essere diventato negli ultimi anni, un sistema sanitario sostanzialmente “sobrio”, che spende significativamente meno risorse (spesa pubblica pro capite pari a $ 2.418) rispetto ai paesi con cui possiamo confrontarci, come Francia ($ 3.135), Germania ($ 3.316) o UK ($ 2.747). Di contro, negli ultimi anni c’è stata una importante contrazione degli investimenti in tecnologie ed infrastrutture; come se la spesa per investimenti appartenesse alle voci di spesa contenibili all’infinito. Inoltre sono stati applicati sciagurati tagli lineari indiscriminati di tante voci di spesa; a prescindere da appropriatezza, efficacia ed economicità. Questo lascia presagire, se non modificato in fretta, un decadimento della quantità ma soprattutto della qualità dei servizi che verranno erogati. E tale scenario mi pare francamente non auspicabile. Il contesto economico, tecnologico ed epidemiologico (prevalenza di anziani e cronici non autosufficienti) mette in luce, come ebbi modo di scrivere già dal 2008, da un lato la drammatica carenza di strutture sanitarie intermedie, dall’altro la pletorica, inutile ridondanza di servizi ospedalieri caratterizzati da contiguità spaziale ed uniformità di offerta. A distanza di cinque anni, i recenti Stati Generali della Sanità in Emilia Romagna hanno fatto propri, rilanciandoli, questi concetti (Case della Salute, accorpamenti di reparti, e così via). Ne siamo orgogliosamente soddisfatti. Intanto però in questi cinque anni il contesto socio-economico di riferimento è totalmente mutato. Il nostro SSN rimanda al concetto di “universalismo selettivo”. Di quali realistici, compassionevoli, civili, sostenibili criteri di selezione stiamo, di fatto, ragionevolmente parlando? Dei seguenti criteri: 1) Reddit Partecipazione alla spesa, diretta (out of pocket) oppure indiretta (copayment tramite mutualità o franchigie) correlata alle reali possibilità del singolo 2) Patologia: Grandi Ospedali per i grandi interventi chirurgici, traumatologia, neurochirurgia, oncologia, lungodegenze ed altro ancora. Case di Cura superspecializzate: per interventi di alto contenuto tecnologico con degenze medio-brevi 3) Territorialità: Day Surgery e grandi Poliambulatori (per lo più privati oppure misti, pubblico – privati ma gestiti dal privato) con diffusa presenza sul territorio per la cura della patologie trattabili in questo tipo di regime; per l’esecuzione della diagnostica strumentale e clinica in stretta connessione con le Unità Territoriali dei Medici di Base; per dare risposta ai bisogni di assistenza più immediati e per fungere da “filtro” nei confronti del Pronto Soccorso e della Struttura Ospedaliera. Appare dunque ragionevole spostare risorse finanziarie dall’ambito del ricovero ospedaliero a quello ambulatoriale, alle cure intermedie e alle cure primarie (c.d. «sanità leggera»). In altri termini quanto più ci si sposta verso le cure intermedie e primarie, tanto più “la produzione” dovrà essere esternalizzata ed affidata ad altri attori, leggeri e responsabili, diversi dallo Stato. Il SSN conferma di essere uno dei settori pubblici centrali per lo sviluppo economico del Paese, dal momento che, se si esclude il 32% della spesa corrente destinata al pagamento del personale, tutto il restante è utilizzato per l’acquisto di servizi da soggetti economici, per lo più privati. Si tratta di imprese produttrici di articoli medicali, di farmaci e di servizi vari, di strutture sanitarie private accreditate, di singoli professionisti sanitari convenzionati. Si mostra in tutta la sua evidenza come il Servizio Sanitario rappresenti uno snodo cruciale, sociale, economico, politico per il ripensamento di un nuovo, sostenibile, efficace sistema di welfare. Un capitolo a parte meriterebbe l’analisi delle ineludibili prospettive di compartecipazione alla spesa da parte degli utenti. Si pensi soltanto che dovranno essere coinvolte le rappresentanze sindacali più illuminate, le aziende pubbliche e private, le assicurazioni ed il sistema bancario. Il copayment, da cui dipenderà in larga misura la sussistenza futura dello stato sociale, rappresenterà una sfida impegnativa ma entusiasmante anche per gli Istituti di Credito. Va impostata infatti la realizzazione dei meccanismi finanziari che consentano la effettiva, sostenibile, compartecipazione dei singoli alla spesa per il welfare. Sono convinto che questo progetto possieda le caratteristiche per diventare uno dei più importanti servizi da erogare alle famiglie nel prossimo futuro. La sua fattibilità trova forza in sé stessa, nella coincidenza degli interessi di tutte le parti coinvolte, istituti di credito, famiglie e società tutta. In conclusione vorremmo evitare ciò che sta capitando nel sistema industriale del nostro paese, ovvero la delocalizzazione ed il rischio di deindustrializzazione. L’assenza di una politica sanitaria efficace ma soprattutto realista e coraggiosa potrebbe portare alla riduzione quantitativa dei servizi alla persona (undertreatment) ed alla loro “delocalizzazione”. Il rischio che ne consegue è quello di prestazioni non conformi agli standard più elevati, non controllate, sottocosto, quindi inadeguate. E’ compito di una società civile, degna di tale nome, creare le condizioni culturali ed economiche affinché questo scenario non abbia a realizzarsi.