Più di un milione e duecentomila cittadini hanno firmato per il referendum che chiede l’abrogazione dell’attuale legge elettorale (il porcellum). Ne bastavano cinquecentomila. È una delle espressioni del malcontento, acuto e diffuso, che cresce sempre più nel popolo italiano. Chissà se la Corte Costituzionale lo ammetterà. L’effetto migliore che questo ingente numero di firme può determinare è che il Parlamento comprenda che occorre mettere mano ad una nuova legge elettorale e non passare semplicemente dalla attuale a quella precedente (il mattarellum), come è, invece, nelle intenzioni dei promotori del referendum. È vero che questa legge è una porcata dato il premio di maggioranza che prevede e le liste bloccate che impone. Ma il mattarellum da solo (esperienza che si è già fatta) non risolve i problemi veri nei quali da troppi anni ci si dibatte che non è solo quello di riappropriarci come elettori di una qualche possibilità (o solo dell’impressione?) di scegliere i propri candidati. Per usare un termine molto in voga anni fa, nelle prima repubblica, l’ingerenza partitocra-tica delle segreterie di partito – oggi possiamo parlare esplicitamente di capi e capetti – continua ad esprimersi al mas-simo livello. Con il porcellum decidevano loro come comporre le liste e in che ordine elencare i candidati così decidevano loro gli eletti. Costringendo questi a rendicontare a chi li ha nominati non certo agli elettori che non li hanno potuti scegliere. Non tanto dissimile però è il mattarellum. I candidati nei collegi uninominali (il 75% degli eletti) venivano decisi in egual maniera (catapultati) dai capi partito. Anche questa non è zuppa, è solo pan bagnato. Quindi anche per ripristinare un effettivo buon rapporto fra eletti ed elettori occorrerebbe andare oltre sia al porcellum, sia al mattarellum. Una nuova legge elettorale. Il moto popolare che si espresse agli inizi degli anni novanta (del secolo scorso) che voleva indurre al passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario si proponeva quali massimi obiettivi quello di dare stabilità ai governi e quello di semplificare il sistema politico dei partiti. A giudicare dai risultati il fallimento delle aspettative se non è totale è sicuramente notevole. Non ci sono stati tanti gruppi politici e partiti e partitini come sotto il sistema maggioritario uninominale denominato mattarellum. Non solo. In quanto a stabilità basterebbe ricordare il ribaltone che sbaragliò, dopo pochi mesi, il primo governo Berlusconi che pure aveva ampiamente trionfato nelle elezioni del 94; le elezioni anticipate del 96; i governi di centrosinistra Prodi e D’Alema che si succedettero. Poi ancora Berlusconi e poi ancora Prodi e ancora Berlusconi. E sempre con maggioranze che avevano divisioni al loro interno fino a rendere pressochè impossibile il governo. Le rotture nel centrodestra (Berlusconi e Fini da una parte, Casini dall’altra); quelle nel centrosinistra ( Bertinotti avverso a Prodi e poi contro Prodi una apoteosi di differenze fra le varie forze della sinistra e le varie correnti interne ai Ds e oggi al PD). Con il porcellum si è votato per questa legislatura ancora in corso. Il PDL ha ottenuto (grazie al premio) una grossa maggioranza. Poi si è diviso lo stess Fini da una parte e Berlusconi dall’altra che ha dovuto rimpinguare la maggioranza con la campagna acquisti dei vari cosiddetti “responsabili” che hanno costituito un nuovo gruppo parlamentare. E poi siamo alla cond-izione di oggi con le dif-ficoltà a governare e a mettere in fila prov-vedimenti seri per fron-teggiare una crisi gravis-sima finanziaria, econo-mica e sociale. Il panorama degli schie-ramenti? L’abito di A-rlecchino sembra quasi una tinta unita. Divisioni e tensioni a destra come a sinistra. Se il problema fosse solo quello della legge elettorale, è ben ovvio che non basta cin-cischiarsi fra porcellum e mattarellum. Occorre roba nuova. Ed è qui, ed anche a questo proposito, che non si vedono le soluzioni di cui il Paese avrebbe invece assoluto bisogno. Occorrerebbe un ingrediente che in questo momento non pare essere neppure al mercato ner molta responsabilità nazionale, istituzionale e politica. Berlusconi sta difendendo con i denti la propria maggioranza e la sopravvivenza del suo governo. A suon di voti di fiducia di tutti i tipi. L’opposizione e la sinistra sembrano un caravanserraglio. Incapaci di offrire la sostanza e la facciata di una alternativa. Leit motiv: Berlusconi se ne deve andare. E giù perfino a chiedere che il Presidente della Repubblica intervenga a fare quel che non può, pur non mancando anche di eccedere oltre il proprio seminato costituzionale. Come venirne fuori? Basta una nuova legge elettorale? Quale? Come? Tralasciamo di discorrere delle vicende giudiziarie che sono in piedi da tutte le parti e che riguardano tutte le parti. Senza perderle di vista perché esse sono tutt’altro che ininfluenti ai fini della possibilità di individuare una qualche via d’uscita alla situazione incartata in cui si trova la politica ed il Parlamento. Sappiamo ciò che ci vorrebbe e non è soltanto un richiamo generico a serietà e responsabilità. Ci vorrebbe una classe politica decisamente nuova e rinnovata, consapevole (pur prescindendo dalle legittime e doverose differenze politiche) che occorre superare il tabù della intangibilità della Costituzione. Occorre una riforma costituzionale che definisca una nuova forma di governo, una nuova architettura istituzionale. Una qualsiasi riforma elettorale da sola non basta, se non è coerente con l’architettura istituzionale alla quale deve fare riferimento. I sistemi elettorali maggioritari provati fino ad oggi hanno contrastato e conflitto con il sistema parlamentare costituzionale attuale con il quale era e sarebbe coerente il sistema proporzionale che c’era. Se si vuole eleggere direttamente la maggioranza che deve governare, il premier che la deve guidare; se si vuole impedire il riproporsi dei vari ribaltoni possibili; se si vuole stabilità e speditezza delle decisioni di governo, occorre ridefinire la forma-governo, i compiti e i poteri del premier, quelli del Capo dello Stato, i regolamenti parlamentari. Ci sta dentro e ci si deve mettere dentro la riforma del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari. Questi dovrebbero essere gli obiettivi di una riforma costituzionale e quelli di un sistema elettorale coerente che a questo punto non si può non mutuare dagli esempi o francese o tedesco. Se il sistema fosse anche fondato sui collegi uninominali a doppio turno occorrerebbe comunque una legge dello Stato che renda possibile ed obbligatorie delle serie e preventive primarie per l’individuazione e la scelta dei candidati. Nell’altro caso una quota di sbarramento sotto la quale non vi è la possibilità di accedere ai seggi parlamentari. Occorre una simile consapevolezza unita al senso di responsabilità che richiede la definizione e condivisione delle regole fondamentali del gioco. Non le partigianerie politiche contrapposte. Non stiamo assistendo nel nostro paese ad una seppur accentuata dialettica politica fra avversari, ma assistiamo ad una lotta fra bande nemiche. È il segno del profondo degrado della cultura politica. Una responsabilità diffusa, non solo dei politici, in quanto quella classe politica altro non è che lo specchio esatto del popolo e del paese che peraltro l’ha eletta. Speranze non mancano. Non si fa di ogni erba un fascio. Nella politica non tutti sono uguali; così pure nella società, i cittadini. Ci sono anche energie e c’è cultura come si deve. Purtroppo più in ruoli ed ambiti marginali che nel centro dell’agone. Purtroppo minoritari invece che maggioritari. Certo che se l’indignazione non colpisse nel mucchio ma sapesse discernere e premiare chi e quanti lo meritano, sicuramente più di altri, già sarebbe gran cosa. Peraltro un rinnovato specchio. Un vantaggio a tutto tondo. Dove sono queste energie? Dove possono risiedere queste speranze? Dove a farla da padrone non sono gli elettoralismi più infingardi e beceri, dove non è solo brama di potere da gestire. Dove c’è coraggio di idee, dove c’è senso dell’interesse generale, dove si premiano i meriti e non lo sruffianamento dell’appar-tenenza. E potremmo dilungarci. Abbiamo presentato un libro, alcuni mesi fa: “Terza Repubblica”, di Davide Giacalone. Abbiamo letto con attenzione il libro “Fuori” di Matteo Renzi. Il primo scrive su Libero e proviene da cultura laica, liberaldemocratica, repubblicana. Il secondo è Sindaco di Firenze e proviene da cultura cattolica. Due riferimenti tanto per fare un esempio che ci piace. Per gran parte i due libri sono sovrapponibili. Affermano cose, proposte comuni. Anche da queste cose abbiamo motivo di ritenere che si può sperare nei mutamenti di cui il paese ha bisogno. Abbiamo motivo di ritenere che con quelle idee ed anche con quelle persone, ed altre che sicuramente vi sono, si può anche impegnarsi. Dando alla speranza, ognuno, il proprio contributo.
Riformare la Costituzione
- Published On : 6 anni ago on Giugno 27, 2017
- Author By : Redazione
- Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:33 am
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