di Stefano Mancini
Torna di prepotente attualità l’analisidell’ l’evoluzione del nostro sistema di sicurezze sociali, il welfare,globalmente inteso.
E torna di urgente necessità ladiscussione ed ancor più la decisione sulle modalità di finanziarlo e diassegnarlo.
E’ sotto gli occhi di tutti noi quantole spinte della modernità e della necessità stiano modificando i regolamenti ei servizi che, anche se datati, ci mettevano a disposizione una comoda rete diprotezione ed una buona dose di tranquillità.
Cresce l’ansietà perché crescono ipericoli, ma crescono anche le possibilità.
Un mio caro amico mi ha ricordato moltorecentemente e molto opportunamente, è persona di eccezionale valore umano eprofessionale, che Churchill soleva affermare che la persona ottimista vedeopportunità in ogni pericolo, mentre il pessimista vede pericoli in ogniopportunità.
Ci iscriviamo, questo amico ed io,d’ufficio fra gli amici di Churchill ed alla categoria degli ottimistiraziocinanti.
Le innovazioni normative chenell’ultimo periodo sono state introdotte nel nostro Paese sono molteplici, di estremo interesse, alcunedecisamente coraggiose, ma tutte di sicuro impatto sulle nostre vite.
Basti pensare al Jobs Act, allamodifica degli ammortizzatori sociali, alla rivisitazione dei livelliessenziali di assistenza, vale a dire delle prestazioni sanitarie che lo statodeve garantire ai propri cittadini.
Alla base di tutte queste scelte di politicasociale c’è la necessità di tenere in equilibrio il conto economico del nostroStato. Pena il default. Meglio evitare.
Il tentativo di chi ci governa è quellodi offrire il massimo dei servizi, che hanno costi crescenti per il benedetto edauspicabile allungamento della vita media e per il ricorso a sempre più nuove ecostose tecnologie, avendo a disposizione risorse finanziarie limitate damolteplici fattori, congiunturali e strutturali.
Il problema è complesso, coinvolge schemie modelli culturali politici ed economici; ha a che fare con la giustiziasociale, con la produzione e la ridistribuzione della ricchezza e dellerisorse, col modello di società evoluta che vogliamo proporre per i prossimiventi anni, con il coraggio e la pavidità dell’uomo.
E’altresì ovvio, ma giova ripeterlo, chese risorse e ricchezze non vengono prodotte, non possono neppure venir ridistribuite;ci si può quindi risparmiare la fatica e la noia di trovare la logica politicasul come ed a chi distribuire ciò che, di fatto, non si possiede. Grecia docet.
“Extend and pretend”, nel mondofinanziario significa che il creditore accetta di allungare i tempi di restituzione di unprestito e assume che il debitore abbia ancora la capacità di onorare l’impegnoa rendere quanto ottenuto alle condizioni pattuite. Qualora però questa capacitàe/o volontà da parte del debitore invece non ci fosse, si tratterebbe solo diun escamotage per guadagnare tempo e rinviare, assegnare a qualcun altrodecisioni dolorose e impopolari ma necessarie ed ineluttabili e giuste.
Extend and pretend è un concetto che èstato colpevolmente applicato anche alle relazioni sociali, col risultato diaver solo rinviato la presa di coscienza dell’esistenza di un problema e diaverne complicato e resa assai più difficile la inevitabile soluzione.
E’ richiesta a tutti sobrietà, onestà,ciglio asciutto, visione strategica sul lungo periodo.
Ha ragione Holman Jenkins, membro delboard del newyorchese Wall Street Journal, quando sostiene che un elevatolivello di coesione sociale è ciò che ha permesso l’esistenza di un diffusosistema di welfare in Europa, come quello che tutti noi abbiamo conosciuto finoad oggi.
I cittadini accettano di pagare inimposte più del 50% del loro reddito perché attribuiscono pari valore aiservizi, al welfare, che ricevono in cambio dagli Stati cui versano le imposte.E inoltre, come annota argutamente M.V.Lo Prete sul Foglio, lo fanno perché credono che anche gli altri cittadini paghino,proporzionalmente, per ottenere la quota di servizi di loro spettanza; senzaraggiri o sotterfugi.
Questo gentleman agreement è il postulato sucui si basa ogni ipotesi di statosociale. Se questo postulato vacilla, diventa periclitante anche lo statosociale che ad esso fa riferimento.
E qui si innesta un altro elemento divibrante attualità, vale a dire il tema dell’immigrazione e dell’inclusione.
L’immigrazione, se nonaccortamente governata e distribuita neltempo, può ingenerare conflitti, contrasti e sfiducia anche all’interno disocietà inclusive, compassionevoli, evolute ed efficienti.
Uno scienziato italiano con cattedra adHarward, A. Alesina, alcuni anni fa dimostrò, con uno studio rigoroso, che gliStati Uniti non hanno potuto adottare un sistema di welfare universalisticocome il nostro a causa della “animosità” e della scarsa coesione esistente frale etnie che li compongono in un melting pot multirazziale e multiculturale.
La direzione cui anche l’Europa interasta andando è quella di un melting pot multirazziale come quello che gli StatiUniti hanno già conosciuto.
Appare pertanto ragionevole pensareche, siccome si troverà a dover fronteggiare problematiche analoghe, l’Europapossa trarre insegnamentodall’esperienza americana filtrandola, ovviamente, attraverso la propriadiversa sensibilità e millenaria cultura.
Di certo il welfare va ripensato,riadattato al multiculturalismo in essere, forse un po’ più focalizzato ad ambiti fondamentali e non delegabili ad altriattori, ma in questi reso ancora più efficace ed efficiente.
Essendo impossibile “dare tutto atutti”, va fatto il nobile tentativo di eliminare e governare le rendite diposizione, gli sprechi e le anchilosi divaria natura.
Si potrà contare sempre meno sullafiducia incondizionata e aprioristica dei cittadini e sempre più sarànecessario conquistarla col consenso che genera un sistema pronto ed efficace,con regole certe ed economicamentesostenibile.
L’alternativa, da evitare con ognimezzo, sarebbe l’insorgenza di conflitti sociali non governabili.
Per concludere e per aprire però la strada a futuri approfondimenti econtributi, cerchiamo di prendere confidenza con i termini:
Finanziamento. Ottimizzazione.Compartecipazione.
Credo che siano in grado dirappresentare i punti cruciali con i quali confrontarsi per gestire il nostrosistema di welfare alle prese coi baby boomers, i millennial e le ondatemigratorie.