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Renato Serra e Cesena

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Oddo Biasini

Diseguito l’articolo che Oddo Biasini scrisse per “Il Popolano”

Dire di Renato Serra nella sua città,mentre un nuovo incontro di alto livello culturale riapre il discorso sulcritico e sul valore della sua opera, è sempre un atto di presunzione.

Difficile , infatti, dire qualcosa di nuovoe di originale su un personaggio che Cesena conobbe e amò fin che visse, e permolti anni dopo, più come il giovane sportivo appassionato della bicicletta,del gioco del pallone  e della praticaatletica che non come il grande critico che apriva una nuova fase della culturaitaliana; più preoccupato, in apparenza, del suo fisico muscoloso, che nondella letteratura, di quella “religione delle lettere” di cui doveva diventareautorevole sacerdote.

Da tempo sono scomparsi nella nostra cittàcoloro che con Renato Serra ebbero consuetudine e pratica di amicizia epotrebbero di lui forse metter in luce qualche anfratto di un carattere cheamava celare entro di sé il meglio di sé, qualche episodio della vita delcesenate Serra.

A chi non ha altro titolo per parlare diquesto illustre personaggio, se non l’ affetto di un cesenate ad un cesenate,non resta che ricercare e sottolineare un aspetto del concittadino: l’attaccamento alla sua terra ed alla sua città, che si manifestò in un legamecostante, strettissimo per tutta la sua esistenza, troppo presto tolta alla suafamiglia, a Cesena, alla cultura; un legame che affiora da tante sue lettere,da squarci delle sue stesse opere di critico: perché anche nell’ impegno delcritico egli sentiva l’ esigenza di legare le “ sue chiacchiere”, così diceva ,“a qualche cosa, nel cielo e nella terra vera”, cioè alla sua terra, tanto daapparirgli inconsistente il discorso di critico e di poeta senza questo legame.

E tanti sono i passi della sua opera in cuil’ analisi del critico si sposa con la sensibilità del poeta; e questa traeaspirazione dalla sua terra, dalla sua Romagna.

“Come beatamente l’ occhio si riposa suquesta dolce terra di Romagna. Ella è ancora intorno a me tuttora bruna e nudain una chiara aria d’ inverno”.

E’ l’ apertura famosa, tanto citata, dalsuo saggio sul Pascoli: saggio che, più di ogni altro, egli sentiva legato allasua terra: ed un altro grande poeta e maestro , ancora lo richiamava a Cesena ealla Romagna: Giosuè Carducci: “Il Carducci è un poco dei nostri,di Romagna ,di Cesena”.

Perché mai un così profondo legame nelletterato che nella sua opera spaziava ben oltre i confini della provincia edell’ Italia, in una ricerca che si muoveva nella ampia latitudine dellacultura europea e mondiale, da Platone a Kant, dai poeti greci alPetrarca,  a Montaigne, a Kipling, aBergson, a Verlaine , Laforgue, Rimbaud? Che nell’ “ Esame di coscienza di unletterato”  interpretava il tormento  ed i quesiti angosciosi che la guerra ponevaalla coscienza letteraria del mondo intero?

Questo “ignoto e finissimo Serra”, cheBenedetto Croce veniva a cercare da Napoli, spinto dal bisogno di “quelconversare agiato nella sua Cesena da uomo a uomo” che andava cercando lungo iportici di Cesena mentre Renato sul Garampo era impegnato in una prova alpallone; o saliva, in bicicletta, verso S. Tommaso nella casa colonica delpadre; o addirittura preferiva, almeno per un po’, le battute piccanti indialetto con qualche sartina, agli impegnativi colloqui con il grande filosofopartenopeo.

Perché tanto amore per una terra che nonera la patria  dei sui avi in questoraffinato letterario che, secondo Cesare Angelini, “potendo essere altrovegrande, volle essere qui, buono; e amò il vivere paesano in una semplicità cheera saggezza? ”

Rispondere a queste domande significaaffrontare il rapporto particolarissimo dell’ uomo con la sua terra: di RenatoSerra con Cesena e la Romagna, il tema che Ezio Raimondi indicava comefondamentale peri i “colloqui” di Cesena del 1965: “ non una commemorazione apiù voci nel gusto di un affresco celebrativo, ma l’idea di un’ immagineplurima intorno ad un letterato…legato come pochi altri alla storia di unaprovincia”.

Che resta allora da fare a noi cesenatisenza autorità nel campo delle lettere?

Un compito modesto: accrescere l’apprezzamento e l’ amore nostri per Cesena e la Romagna, nel ricordo devotodell’ attaccamento “ serriano”, della sua perenne nostalgia per gli aspettidella sua terra, sempre fissi nella sua memoria: il Savio “quasi nastrolasciato cader pigramente da qualcuno”; il Ponte Vecchio che lo vedeva presenteogni anno, almeno alla festa di S. Margherita; la rocca Malatestiana ; il filolungo e stretto della strada polverosa per Cesenatico; la torre Malatestiana diS. Giorgio (ahimè, distrutta dai vandali nazisti) una delle mete delle sueveloci passeggiate in bicicletta.

Quella città e quella campagna egliricordava con profonda malinconia nelle lettere alla mamma da Bologna dove nonriusciva ad adattarsi al freddo, all’ estraneità della città dove si eratrasferito per gli studi universitari, nell’autunno del 1900.

“Non vedo l’ ora di essere a Cesena perpoter andare a fare qualche passeggiata fuori porta,in campagna”.

Ed ora la contrapposizione, quasi dolorosa,tra l’ambiente cordiale e confidenziale del mondo un po’ paesano di Cesena e lafolla anonima della grande città: “ Il passar quasi tutto il tempo in giro quae là… senza trovare spesso nella folla seccante una faccia amica con cui scambiareuna parola”.

Quella sua città, quei suoi quartieri,conosciuti nei minimi particolari, egli ricorda in una lettera alla cugina allavigilia della guerra, scrivendo dalla lontana Latisana:  “ starmene qui seduto.. mi dà l’ impressionelibera e leggera di una passeggiata, come me ne andassi quieto, quieto,abbandonato alla leggerezza della bicicletta e al capriccio dei miei pensieri,per una bella strada di Cesena”.

E sulla scia di questa nostalgia, un sognoad occhi aperti: “ facciamo conto di esser giù per la  stazione, (invece delle 11 del mattino,saranno le 7 verso sera) d’aver visto te e la mamma dalla finestra. Facciopendere un po’ la bicicletta e un butto un braccio all’ inferriata per fermarmi: e facciamo due chiacchiere”.

Per questa Cesena egli rinunciò aprestigiose prospettive che lo avrebbero portato ad incarichi di elevatissimoprestigio: a Roma, a Bologna, a Torino, a Firenze, dove non resistette più diuna estate in un incarico di ricerca per la pubblicazione di un grandedizionario bio-bibliografico.

Egli aveva fatto forza a se stesso nell’accettare l’ impegno: “ed eccomi impegnato, per molti anni, forse per tutta lavita a spogliare metodicamente le biblioteche e gli archivi di Firenze”.

Ma non era un progetto in cui impegnarefino in fondo la ricca umanità creativa del critico-poeta e soprattutto lanostalgia della sua amata città. Ed ecco allora il ritorno a Cesena : lacollaborazione con “La Romagna “  diOrsini e Gasperoni; anche con “La Voce” di Prezzolini e De Robertis, col “Marzocco”, ma senza staccarsi mai daCesena!

Dalla sua città: dove accettava l’incarico,non certo di grande prestigio, per l’insegnamento di italiano nella ScuolaNormale Femminile; dove Ubaldo Comandini, che di Renato Serra aveva colto tuttala sua grandezza di critico e letterato, riusciva finalmente ad affidarglil’attesa direzione della Malatestiana cui Serra aveva, forse inconsapevolmente,sempre guardato per fissare in via definitiva il suo legame con la sua città.

Da questo suo silenzioso tempio, sacro allacultura, lo strappò, come è scritto nella lapide che lo ricorda, unosconvolgimento bellico le cui conseguenze egli cercò di interpretare con lacoscienza del grande letterato, conscio dei dirompenti effetti che la grandeguerra avrebbe avuto anche sul piano della cultura mondiale.

Dunque, un grande figlio di Cesena, ungrande cesenate che a noi dà un insegnamento particolare, accanto a quelli chea tutti offre come letterato e come maestro della “religione delle lettere”,come critico e come poeta: l’ amore per la nostra città e per la nostra terra,per i tesori di vita  e di umanità cheesse conservano.

Quella di Serra è stata un altissimalezione di fedeltà alle ragioni della continuità e semplicità quotidiana.

Nel suo rapporto con la città egli ha fattovalere quel che per ognuno deve essere l’ attaccamento alle proprie radici,alla propria identità, ai propri valori, ai propri luoghi. Insomma, quei legamiche servono a non farsi “massificare”. Oggi non meno di ieri.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 12:13 pm
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