di Franco Pedrelli
Con l’inizio del 2014 prenderà l’avvio l’Azienda Sanitaria Locale unica per la Romagna, su come si dovrà effettivamente strutturare è tutto un parlare, nel migliore dei casi, nei corridoi, meglio nelle corsie, ma poco o nulla traspare all’opinione pubblica, che rappresenta l’insieme dei suoi clienti e contribuenti nello stesso tempo.
Alla mancanza di un minimo di trasparenza preventiva l’opinione pubblica è abituata, si accontenta di quanto riporta la stampa. Nulla deve trasparire di quel che accade dietro alle quinte, della lotta al coltello, che se fosse resa trasparente molto probabilmente metterebbe in luce quanta poca “sanità” e “welfare” contiene la contesa, tutta presa al mantenimento di posizioni di potere e carriera.
Non si può allora essere trasparenti, l’opinione pubblica non può essere distratta ed impaurita, deve rimanere convinta che l’attuale welfare è il meglio che possa avere, anche perché oggi modello di riferimento a livello nazionale, domani lo sarà ancor più. Inutile renderla consapevole di come i servizi sanitari le siano sfilati poco alla volta. Oggi qualche dubbio esiste, ma sinché rimane nella testa di pochi il gioco della politica può continuare indisturbato.
Accade allora che stamani mi reco al CUP per prenotare un esame strumentale, l’addetta col sorriso tirato mi annuncia che la prima data utile è il 15 gennaio 2014 presso la struttura di San Piero in Bagno, in quanto le prestazioni con le aziende convenzionate di Cesena sono tutte esaurite e la prima data utile per l’Ospedale Bufalini di Cesena è a settembre 2014.
Alla usuale richiesta se per caso a pagamento vi fosse la possibilità di effettuare già l’indomani la visita presso il Bufalini mi si risponde con “ovvio!”. Sorrido a mia volta, amaro, affermando che questa risulta essere una sanità negata. L’addetta risponde con altrettanto sorriso, questa volta più amaro del mio, perché di queste situazioni ne deve gestirne diverse, sempre più, ogni giorno. Purtroppo la sanità non è fatta di soli sorrisi.
Morale, fare oltre 100 chilometri per giungere alla struttura di San Piero in Bagno costa tempo e denaro, i più fortunati lo potranno fare in auto, altri coi servizi pubblici. Uno spreco di risorse che non incidono però sull’economia della ASL, ma su quella del cittadino. Non ho voluto verificare quanto costasse accedere al servizio a pagamento, molto probabilmente meno della somma degli altri costi.
L’obiettivo è chiaro, ridurre i costi della sanità semplicemente negando il servizio, allungando i tempi di erogazioni dello stesso e quindi il numero delle prestazioni nel periodo, contingentando le prestazioni. Il tutto secondo una sapiente pianificazione calibrata, tra pubblico e privato, che non deve scontentare nessuno, né le strutture pubbliche secondarie a rischio di declassamento, né di quelle private, che intercettano una parte sempre più significativa dei servizi.
Questo andrebbe bene se la ASL fosse una normale azienda privata che sta sul mercato, non una società pubblica, che opera in un regime di monopolio di fatto, sovvenzionata dalla collettività per fornire a sé stessa i servizi, quella collettività che la medesima ASL cerca ora di dissuadere dal richiederle i servizi per la quale è stata costituita. Constatato l’atteggiamento, la ASL dichiara nei fatti che è più conveniente per essa cedere il servizio all’esterno che erogarlo direttamente, ma allora non c’è più necessità di una struttura pesante di ASL come l’abbiamo conosciuta sinora, se deve fare da semplice passacarte verso altri istituti erogatori, allora i soldi della collettività andrebbero gestiti e canalizzati in modo diverso. ASL più come ente controllore e normatore, che erogatore.
Altrimenti risulta assurdo che un cittadino debba prima pagare la sanità pubblica, quando poi per poter avere i servizi debba andare a pagamento, magari per gli stessi servizi erogati dentro la medesima struttura pubblica con infrastrutture pure pubbliche.
Questi sono gli aspetti che non appaiono per nulla nel disegno poco pubblico della futura ASL della Romagna, che invece andrebbero analizzati pubblicamente, nel dettaglio delle code di attesa, dei servizi erogati di periodo. Quando dico analizzati non mi riferisco ai dati anestetizzanti sin qui forniti, ma quelli che per ogni prestazione erogata riporta, per esempio, il domicilio del richiedente, la sua età anagrafica, il suo sesso, la struttura CUP utilizzata, il tempo di attesa, la struttura erogatrice del servizio, il costo della prestazione a carico della ASL e la quota a carico del richiedente. Nell’era del Big Data cosa ci stanno a fare altrimenti tutte le informazioni immagazzinate dal cervellone dell’ASL?