Se è vero che si rendeva necessario per la sostenibilità della sanità romagnola e il mantenimento dei livelli qualitativi dell’assistenza, procedere all’unificazione delle 4 ex aziende usl, a nove mesi dall’avvio dell’unificazione, siamo solo ad un paradosso.
Se da un lato la spinta unificatrice era condivisibile nelle premesse e negli obiettivi, vero è che nessuno dei soggetti istituzionali coinvolti nel processo di unificazione si è premurato di preparare adeguatamente il percorso, di prevedere, al di là degli aspetti formali, un progetto attuabile concretamente, che stabilisse con quali strumenti, risorse e modalità, si sarebbe potuta realizzare una trasformazione organizzativa per così dire epocale per dimensioni e complessità.
Senza un piano, un progetto, una minima condivisione di obiettivi di medio e lungo termine, il progetto è destinato all’insuccesso.
Anziché fare tesoro dell’esperienza positiva già avviata a Pievesestina con la centralizzazione di alcuni importanti servizi delle quattro ex aziende, quali il laboratorio analisi, l’ufficio acquisti, il magazzino farmaceutico ed economale, cercando, secondo le più basilari regole dell’organizzazione, di rendere graduale un così complesso processo di accorpamento, non si è neppure pensato alle cose propedeutiche, basilari: dal far dialogare i sistemi informativi delle quattro realtà, che sono completamente differenti su ogni ambito funzionale, il controllo di gestione e le contabilità analitiche, i sistemi informatizzati per la gestione delle prestazioni specialistiche e per la gestione dei pazienti nei reparti e nelle varie attività assistenziali.
Ha preso piede invece un sistema oligarchico (molto ravennate), che opera scelte che non mancano di sembrare anche clientelari.
Perciò, a cominciare dalla sede, per così dire provvisoria, della neonata Azienda, che secondo il dettato regionale doveva essere decisa dai quattro precedenti direttori generali di comune accordo (!!!) e che invece è stata univocamente scelta dal direttore designato a dispetto dei Santi, per proseguire con la pantomima delle prime delibere di riorganizzazione, che hanno creato inutili e dispendiose nuove poltrone, fino all’inspiegabile ufficio di supporto alla conferenza territoriale sociale e sanitaria, tutto lascia presagire un sistema autoreferenziale e tutt’altro che sostenibile. Ne è un esempio eclatante appunto, la Delibera che ha istituito l’Ufficio di Supporto, una nuova, inedita, struttura complessa, composta di ben 6 figure in organico, di cui due dirigenti, entrambi ravennati, più altri quattro funzionari amministrativi.
Allo stesso modo, con la delibera di riorganizzazione della direzione, si è prefigurato un sistema di scatole cinesi, con incarichi di coordinamento affidati ad un esercito di figure dirigenziali, molte delle quali a contratto libero professionale e la maggior parte delle quali di provenienza ravennate. Dunque non solo si sono mantenuti inalterati tutti gli incarichi dirigenziali degli ex direttori amministrativi, sanitari e generali delle preesistenti aziende usl, ma ne sono stati creati di nuovi. Come mai gli ex direttori sanitari e amministrativi, alla scadenza prevista, anziché rientrare nei propri ranghi, sono stati mantenuti con ruoli e livelli stipendiali identici ai precedenti, inventando degli incarichi di coordinamento con un’alchimia organizzativa certamente poco funzionale all’economicità e all’efficienza organizzativa? Cosa dovrebbero fare “i coordinatori” dei direttori? A cosa serve un coordinatore se ci sono già i direttori dei direttori?
C’è poi un problema, oltre che di merito, di Metodo, che rende ancor più preoccupante il quadro che si sta delineando. La delibera, pur soffermandosi nella descrizione minuziosa di tutte le funzioni e attività per ciascun incarico di coordinamento, non esplicita affatto i criteri sulla base dei quali sono stati individuati i nuovi coordinatori. Il tutto, per arrivare alla creazione di sovrastrutture organizzative che nulla hanno a che vedere con i concetti tanto declamati di sostenibilità, maggiore efficienza organizzativa, risparmi gestionali.
Intanto la direzione e il presidente della Conferenza dei sindaci, prendono ancora tempo rinviando al prossimo atto aziendale (di imminente emanazione a quanto pare) le vere decisioni strategiche, finendo così per mettere tutti a tacere di fronte ad un’aspettativa di breve termine. Uno specchietto per le allodole, che finirà inesorabilmente per deludere tutti, dal momento che chi conosce un minimo il sistema, sa perfettamente che l’atto aziendale non potrà che contenere poco più che enunciazioni di principio, dal momento che le scelte vere, quelle che riguarderanno la programmazione dei distretti, dei posti letto, delle specialità e dei servizi territoriali ai cittadini, potranno essere contenute solo nel cosiddetto PAL (piano attuativo locale dell’Ausl Romagna), il documento di programmazione per eccellenza, discusso ed approvato solo con il parere dei sindaci. E questo non è certo un percorso di breve termine.
C’è un clima stagnante di empasse istituzionale, aggravato dal difficile momento che la nostra regione sta attraversando. Ed ecco il paradosso: rispetto all’obiettivo dato, il vero rischio che si sta correndo, è quello del depauperamento dei servizi, dispersione delle competenze e della professionalità, a scapito della qualità e dell’efficienza tanto acclamate.