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PMI e se sperimentassero un laboratorio locale?

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Maddalena Forlivesi

Negli ultimi anni, ed ancor più oggi in tempo di crisi, in ambito politico-istituzionale si fa un gran parlare del ritardo nel processo di internazionalizzazione delle nostre PMI(piccole e medie imprese): ed è vero. Si indica l’attivazione di tali percorsi come imprescindibile per la sopravvivenza stessa di larga parte di quelle. Si dichiara indispensabile dotare le PMI di strumenti idonei ad affrontare i nuovi mercati internazionali sempre più agguerriti e competitivi: ed è una necessità reale. Si chiede alle PMI di fare rete, di aggregarsi, pena un’ineluttabile impossibilità di riuscire a cogliere le nuove opportunità di un mercato sempre più globalizzato: ed è in larga parte condivisibile. Sani e oggettivi principi, insomma, semplici, persino banali nella loro apparente ovvietà. Peccato che questo – in larga parte – restino: principi enunciati. Da questa premessa vorrei prendere spunto per alcune considerazioni che derivano dalla mia esperienza in materia e – soprattutto – dal “vissuto” quotidiano con le imprese. Credo, infatti, che sia tempo di smettere di parlare per proclami, per slogan, di enunciare vuoti principi sulla scia di filosofie di pensiero, che finiscono sempre e solo con il demandare a terzi la responsabilità delle cose non fatte o che non si riesce a realizzare. Questo è il più classico degli alibi per eludere i problemi, soprattutto da parte di chi i problemi, in concreto, non li conosce e per questo evita di affrontarli. L’internazionalizzazione è una tematica relativamente nuova rispetto ad altri capisaldi ritenuti storici nell’economia del nostro territorio, a volte si ha l’impressione che sia considerata una sorta di “cenerentola” nel dibattito locale. Ritengo che ciò avvenga anche per mancata conoscenza dei vari tasselli che ne compongono il vasto mosaico. Per questo, nell’affrontarla, spesso si ricorre – per l’appunto – a slogan, frasi fatte e luoghi comuni. E poi si decide di non decidere. Mi è capitato recentemente di sentire dire che “il tema dell’internazionalizzazione è talmente vasto e complesso, che non si può pensare di affrontarlo localmente, per le implicazioni di carattere nazionale e internazionale che lo connotano”, il che, tradotto in parole povere, significa “non sappiamo che pesci pigliare e quindi lasciamo che le cose vadano come vanno, non dipende da noi”. Ammesso e non concesso che interpretazioni di questo tipo abbiano mai avuto un senso, oggi non è assolutamente possibile ragionare in questi termini. La nostra è storicamente una delle province con minor propensione all’export nel panorama regionale, avendo per di più come mercati di riferimento prioritari quelli dell’Unione Europea ante allargamento, soprattutto Francia e Germania, che, ragionevolmente, dovrebbero essere oramai considerati mercati domestici; non a caso, nel corso del 2009 le esportazioni della nostra provincia sono diminuite del 30%, quindi al di sopra della media sia regionale che nazionale. In un’epoca di globalizzazione dei mercati, e per di più di crisi, occorre fornire un concreto supporto alla presenza e valorizzazione delle P.M.I. sui mercati esteri, supporto che – a livello nazionale – è sempre mancato. I soggetti che istituzionalmente avrebbero dovuto occuparsi di fornire idonei strumenti ai processi di internazionalizzazione delle imprese (Ice, Sace, Simest, Uniocamere, gli stessi Uffici Commerciali delle Ambasciate Italiane all’Estero, etc ….) non sono mai stati in grado di fornire un concreto apporto e – cosa ancor più grave – si sono sempre mossi in modo assolutamente autoreferenziale, senza partire da una conoscenza vera delle esigenze delle imprese e – ancor peggio – in modo scoordinato e senza univocità di intenti. E’ pertanto fondamentale mettere a regime il coordinamento dei soggetti che istituzionalmente si occupano di internazionalizzazione, affinchè vi sia un unitarietà di obiettivi sia strategici che operativi ed un conseguente coordinamento delle iniziative, per evitare perdite di tempo, dispersioni di risorse e per prevenire quell’evidente frammentazione che connota le iniziative promozionali poste in atto dal nostro Paese sui mercati internazionali e che da sempre gli operatori esteri evidenziano e stigmatizzano. Personalismi e protagonismi fine a se stessi, che nulla portano di concreto e positivo per il sistema delle imprese. E’ invece fondamentale l’integrazione delle varie iniziative e soprattutto la continuità delle attività che si pongono in essere, ma se attendiamo che tutto ciò venga calato dall’alto o che nel breve periodo qualcosa possa cambiare nelle politiche minimaliste che da sempre vengono rivolte alle PMI, soprattutto in questo campo, scordiamocelo: proviamo quindi a partire dalla base, a sperimentare, noi per primi sul territorio, un nuovo modello di approccio al tema. E allora mettiamo intorno a un tavolo i soggetti che operano nel campo della internazionalizzazione, che hanno competenze, conoscenze, idee, capacità progettuale e diamo vita ad un “laboratorio” che operi concretamente per sostenere il processo di internazionalizzazione delle imprese e dell’intero territorio, che finalmente non sia un mero tavolo politico/istituzionale dove tutti devono sedere per “dovere d’ufficio”, ma un soggetto attivo, che abbia come obiettivo unico e concreto dare sostegno ai processi di internazionalizzazione delle imprese, partire dalle loro esigenze e necessità, fare sintesi a 360° delle priorità del territorio, per elaborarle e tramutarle in opportunità. In questo ambito occorre altresì istituire un coordinamento per la gestione dei fondi destinati all’internazionalizzazione e al marketing del territorio: assurdo disperdere le già poche risorse disponibili in mille rivoli: che senso ha – solo per limitarci al nostro territorio provinciale – che un Comune riceva una delegazione, un’altro voli all’estero per firmare un gemellaggio con qualche sperduta cittadina di cui poi non si saprà più nulla, un altro ancora si cimenti in un progetto di cooperazione internazionale, la Provincia organizzi missioni di promozione turistica, la Camera di Commercio segua un suo programma promozionale autonomo, le Associazioni di Categoria i propri, i due Enti Fieristici altri ancora, tutti in assoluto ordine sparso e senza alcun criterio o strategia alle spalle? Occorre dar vita ad un coordinamento unico locale , sia per le iniziative che per la gestione delle risorse. E’ vero che anche le imprese, da parte loro, devono acquisire maggiore consapevolezza del fatto che “internazionalizzarsi” non significa più banalmente “vendere all’estero”, bensì “radicarsi” sui mercati, così come devono imparare a fare rete fra loro, a confrontarsi, quanto meno a compiere pezzi di strada insieme; ma per poter raggiungere questo obiettivo, occorre poter contare su progettualità, competenze, risorse economiche, coordinamento e supporto istituzionale: in una parola occorre “fare sistema”. Visto che con sempre maggiore insistenza lo si chiede alle imprese, sarebbe cosa buona e giusta che la politica e le istituzioni per prime dessero l’esempio. Oggi le imprese sono chiamate ad affrontare con ancor maggiore efficacia l’inasprirsi della concorrenza in conseguenza della internazionalizzazione dei mercati e tuttavia si va delineando con forza quello che potrebbe apparire un paradosso, ossia le radici locali della globalizzazione: l’imperativo non più eludibile, è garantire tenuta, crescita e competitività al sistema produttivo locale ed è un dato di fatto che le imprese sono tanto più forti, quanto più riescono a ricavare valore aggiunto dal rapporto col proprio territorio, in termini di vivibilità, di risorse umane, di saper fare, di servizi, di coesione sociale, di collaborazione con il mondo politico-istituzionale. Gli effetti deleteri della delocalizzazione selvaggia attuata negli anni passati da una parte del sistema imprenditoriale ha chiaramente mostrato i suoi limiti ed i pesanti effetti negativi li stiamo oggi vedendo: un fatto – positivo – è creare unità produttive all’estero, laddove questo rappresenti un’opportunità per penetrare nuovi mercati o per realizzare talune fasi di lavorazione, mantenendo le funzioni strategiche nel proprio territorio; ben diverso è, invece, sradicarsi completamente dal proprio contesto locale, tagliando ogni legame e nulla lasciando in termini di competenze e know-how. In questo senso, il vincolo che tradizionalmente lega le nostre aziende al proprio territorio può rappresentare una chance importante, a condizione che l’ambiente sociale e istituzionale sia in grado di esprimere efficienza e di sostenere l’iniziativa delle imprese inserite nel mercato internazionale. E in un mercato globalizzato e selettivo a concorrere non sono soltanto le imprese singole e isolate, ma i sistemi, nazionali e locali. Di conseguenza non esistono “pezzi” del sistema che possano sottrarsi alla competizione e che non contribuiscano a determinare la qualità del sistema stesso. Infatti, il tema vero, oggi, è che, oltre che di internazionalizzazione d’impresa, si deve parlare di internazionalizzazione degli Enti Locali, delle Pubbliche Amministrazioni, del mondo istituzionale nel suo insieme e la competizione che si sviluppa fra aree territoriali a livello nazionale e internazionale impone alle organizzazioni la sfida dell’innovazione e della qualificazione, assegnando agli Enti Locali ed ai soggetti istituzionali un ruolo di promotori e attori diretti di strategie e di progetti di sviluppo di valenza internazionale. Ciò che inoltre si stenta a comprendere è che anche il nostro territorio può ricavare grandi vantaggi dai processi di internazionalizzazione delle proprie imprese e che il rapporto simbiotico che si può avviare, è in grado di innescare meccanismi virtuosi che possono portare risultati insospettabili. Altro tema ricorrente, infatti, è quello del marketing del territorio, identificato però – erroneamente – come un’azione di promozione unicamente finalizzata all’insediamento di nuove imprese in loco: in realtà azioni di marketing del territorio possono essere indirizzate in entrambe le direzioni, sia in “uscita” che in “entrata”, e rappresentano evidentemente le due facce di una stessa medaglia: fare sviluppo, per il territorio e per le imprese. Un’azione interessante da intraprendere – che potrebbe coniugare entrambi gli interessi del territorio – è la individuazione di aree, regioni, distretti industriali sinergici, con cui avviare progetti di collaborazione di valenza territoriale, che interessino tutti i settori e gli ambiti, nonchè l’adozione di politiche di filiera o di rete, che agevolino e facilitino l’instaurarsi di solide collaborazioni commerciali, produttive e istituzionali. Tutto ciò però necessita di un piano di lavoro continuativo e strutturato che, come si diceva precedentemente, coinvolga tutti gli attori locali e adeguate professionalità: anche il mondo istituzionale deve imparare a coordinarsi di più per evitare duplicazioni e dispersione di risorse. Per questo, è necessario porre la massima attenzione ad azioni di promozione locale, che vedano il coinvolgimento delle imprese, in un’azione sinergica finalizzata a costruire una rete di collaborazioni con tutti i soggetti interpreti delle competenze e delle vocazioni del territorio; ciò al fine di sostenere e qualificare le relazioni internazionali locali e sviluppare coerenti attività di promozione del territorio. L’approccio tradizionale che un tempo ci assicurava risultati positivi, oggi non è più sufficiente, perché le regole che valevano allora, oggi non valgono più. E allora siamo chiamati ad agire, con tempestività. Se questa crisi ci ha costretti a fermarci, trasformiamola in un’occasione per riflettere, per reagire, per intraprendere nuove modalità di approccio ai problemi. Le piccole e medie imprese di Forlì-Cesena oggi stanno cercando di trovare il giusto equilibrio tra tradizione e rinnovamento, tra l’applicazione dei principi che finora hanno assicurato la crescita e la sperimentazione di nuovi strumenti che le esigenze di un mutato scenario stanno rendendo necessaria. Perché, se è la realtà del mercato, dell’economia, della finanza che è cambiata, allora è indispensabile che cambi anche l’approccio con il quale tutti noi affrontiamo questi scenari mutati. Sappiamo bene che non sarà sufficiente la fine della crisi di per se stessa, per tornare ad essere competitivi e vincenti. La fine della crisi rappresenterà solo una nuova linea di partenza da cui ricominciare a costruire un futuro che ci veda protagonisti. Però la crisi economica non può e non deve costringere solo le imprese ad un cambiamento radicale: da tutti ci si deve attendere il cambiamento, sia a livello nazionale che a livello locale. Questo perché, per poterne uscire bene, dobbiamo uscirne tutti insieme, uniti e coesi, pur nelle nostre diversità. Certo è che non è più tempo di un po’ di risorse a tutti, né di un po’ dappertutto: occorre concentrare le risorse verso le priorità individuate, abbandonando completamente la logica di interventi personalistici, ma agendo sull’intero sistema. Non abbiamo più tempo.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 11:19 am
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