di Giampiero Teodorani
Pubblichiamo l’intervento di Giampiero Teodorani al convegno in ricordo di Dario Sacchetti, tenutosi a Cesena il 13 maggio scorso.
Dario Sacchetti è stato amministratore del Comune di Cesena e capo ufficio studi della Camera di Commercio.
So che ascoltare una persona che legge o usa appunti non è piacevole, ma io non voglio e non posso, nel caso di Dario, essere impreciso: alla fine sarò anche più breve, perché sintetico.
Il mio incontro con Dario avviene nel giugno del 1970, quando io ho 21 anni, all’insediamento del Consiglio Comunale di Cesena dopo le elezioni, in cui il centro-sinistra perde il Governo della Città. Per sette schede (proprio così) la DC perde un consigliere; democristiani e repubblicani sono 19 e con il passaggio del PSI nello schieramento del PCI si forma a Cesena la prima Giunta social-comunista presieduta dal Sindaco Leopoldo Lucchi.
Il clima è tesissimo, la contrapposizione totale e la demagogia la fa da padrona. Si arriva a fare interpellanze su tutto, perfino sulla sparizione di alcuni polli dalle cucine della casa di risposo del ROIR, forse a cura del cuoco (?).
La qualità dei Consiglieri è molto alta ma non riesce ad esprimersi.
Il trauma della “perdita” del Comune dura diversi mesi e l’inconciliabilità dei due schieramenti si alimenta quotidianamente di tutto. Si forzano i bilanci e le piante organiche, la spesa pubblica impazzisce. Per chi è nuovo di nomina, in questo quadro, è difficile portare contributi; per fortuna nascono amicizie vere e belle, nello specifico, per quanto mi riguarda, quella con Dario, importante e destinata a durare per sempre.
Per la verità l’avevo incontrato, un paio di anni prima, andando all’Ufficio Studi del Comune, per raccogliere dati sulla demografia e sul sistema dei servizi dei comuni del cesenate, per un esame da sostenere presso lo IUAV di Venezia, sulla analisi dei sistemi territoriali. Un esame del 2° anno.
Mi recavo spesso dal Dott. Angelo Sirotti, figura preziosa e indimenticata, per chi in quegli anni voleva studiare i problemi della Città.
Un carattere chiuso, un “brontolone” buono, con enormi positività spesso non riconosciute. In alcuni incontri, e scambi di opinioni con l’Assessore Sacchetti capii subito che nell’Amministratore era uno studioso, competente, curioso di capire tutte le componenti che davano vita alla visione territoriale e urbanistica della Città.
Per certi aspetti mi aiutò anche con l’orientare il mio percorso di studi, anche se la sua formazione era prevalentemente economica. Solo più tardi, con la frequentazione continua in Consiglio Comunale, mi resi conto che Dario, fin dalla metà degli anni ’60, aveva capito l’inadeguatezza della macchina comunale ad affrontare i problemi e i temi che stavano maturando in quegli anni nella società. Ci sono due parole chiave nel suo pensiero, che vanno sottolineate con forza e che caratterizzano la sua attività: PARTECIPAZIONE e PROGRAMMAZIONE.
Dario, fra i primi, aveva capito che la dimensione comunale era inadeguata, come ambito dimensionale-territoriale. Da una parte occorreva istituire organismi (i Quartieri) che favorissero la partecipazione dei cittadini alle scelte delle P. A. in un ambito conosciuto, vissuto e frequentato dalla gente del posto; dall’altra, che i confini comunali erano troppo ristretti per affrontare e risolvere i problemi che si affacciavano prepotentemente sulla scena politica.
I trasporti, l’ambiente, i servizi, la casa, lo sviluppo socio-economico. L’ambito territoriale comprensoriale emerge con forza. Per creare la dimensione ottimale di programmazione, che nel singolo Comune non avrebbe molto senso. I confini provinciali sappiamo come si definirono nell’Italia post-unitaria.
Questa visione di Dario emerge in alcuni interventi in occasione del PRG del 1969 , della sua formazione e del dibattito ad esso collegato:
L’organizzazione territoriale, l’armatura urbana dei servizi. La classificazione dei servizi delle frazioni. La gerarchia delle infrastrutture.
Il riferimento territoriale al PIC.( Piano Intercomunale) in base alla legge urbanistica del 1942.La redazione che il Ministero dei Lavori Pubblici autorizza nel 1967, con la richiesta di inglobare nel progetto anche il Comune di Cervia, soprattutto per quanto riguarda i servizi scolastici, sanitari e il turismo.
L’esperienza maturata come Capo Ufficio Studi della Camera di Commercio di Forlì, con l’Arch. Osvaldo Piacentini negli anni ‘65/’67, con il progetto per la creazione dei poli di sviluppo industriale del Forlivese e del Cesenate, sicuramente gli consolida la visione dell’insieme dello sviluppo, in rapporto agli insediamenti umani e ai tempi di percorrenza delle infrastrutture viarie. Lo studio delle isocrone di percorrenza, con la viabilità esistente e quella di progetto. Un disegno fatto di idee progettuali, di convinzioni e non sulle mappe catastali delle proprietà dei terreni interessati alla edificabilità, come purtroppo vediamo fare oggi.
Chi lo ha conosciuto, non può non ricordare che Dario, forse per sua timidezza innata, esternava meno del 50 % di quel che sapeva. Direi che pur essendo un tecnico, aveva una cultura generale e umanistica molto vasta ed era un fine intellettuale.
L’idea di una società più giusta passava anche dalla conoscenza (allora poco di moda) della politica dei redditi, della programmazione, della sana finanza pubblica. Conosceva Comunità e Adriano Olivetti, gli scritti di Carlo Cattaneo, le opere dei geografi come Calogero Muscarà, di Francesco Compagna e degli altri meridionalisti. Quante belle discussioni !.
Se alla fine del biennio imboccai decisamente per il triennio il percorso di studi con taglio territoriale-urbanistico, lo devo a lui.
Metteva nei suoi ragionamenti una convinzione che raramente ho conosciuto.
Per fortuna verso la fine della legislatura il clima politico cambiò, vi fu spazio maggiore per le idee, questo ovviamente per merito di tutti.
I temi che piacevano a Dario cominciarono a farsi strada e gli argomenti come ad esempio l’importanza dei programmi e dei contenuti rispetto agli schieramenti. L’impegno sui Comitati Comprensoriali che stavano per nascere, le Comunità Montane (che da noi erano una cosa seria!), i temi della pianificazione territoriale, sottratti alla polemica politica “spicciola”.
Altri argomenti:
La prima Comunità Montana presieduta da Lorenzo Cappelli, con un accordo fra tutte le forze politiche, per una gestione unitaria, con l’Ufficio di Piano del Comprensorio, che elabora il piano di sviluppo della montagna e il piano zonale agricolo.
L’importanza di Cesena nella Comunità Montana per il riequilibrio.Una presenza non formale ma sostanziale.
Sono questi,alcuni degli elementi anticipatori, di un clima politico che stava cambiando.
Anche le politiche della Regione davano più respiro alla azione di governo locale. Gli uomini che avevano dato origine al CRPE, al CRPO, che conoscevano cosa fosse il “Progetto 80”, che credevano nella Regione-Programmazione svilupparono politiche originali (e oggi purtroppo lontanissime): Ermanno Gorrieri, Libero Gualtieri, Guido Fanti, Germano Bulgarelli, Leonardo Melandri e tanti altri.
Purtroppo dopo, a cominciare dagli anni ‘79/’80, ha preso corpo l’idea di Regione-Governo, o meglio di un grande ente locale di amministrazione diretta,di gestione del potere.
Oggi i presidenti li chiamano governatori, una specie di parodia, mutuata dagli Stati Uniti, dai quali spesso copiamo, senza molto capire.
Nel gennaio del 1975, il Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna vara la legge n. 12 e ufficializza (credo alla unanimità) la nascita dei comprensori e da un segnale forte anche al dibattito nazionale sulla riforma degli enti locali (vorrei ricordare la lettera di Enrico Berlinguer all’On. Biasini, in quel momento segretario del PRI, di adesione alla linea repubblicana di abolizione delle province).
Vi furono, anche in altre forze politiche, decise prese di posizione per il superamento della provincia di napoleonica memoria.
Si ufficializza,anche in questo modo, quello che noi cesenati invocavamo da anni, il superamento dei confini provinciali.
Ma soprattutto si assiste all’affermarsi di un metodo: la programmazione territoriale e la pianificazione dello sviluppo socio-economico.
Non è il caso qui, ovviamente, di ripercorrere quegli anni che portarono, anche brutalmente, alla sconfitta di chi credeva nella politica comprensoriale e il “ritorno all’ordine!”. E poi mi rendo conto che non sarei la persona più adatta a farne la storia. Sono nervi, per molti aspetti ancora scoperti e doloranti.
Dei punti fermi vanno però fissati e credo che queste parole che Dario pronunciò in un convegno, a Cesena nel settembre 1981, siano la sintesi e il punto di partenza per chi vorrà ancora affrontare il problema.
Queste parole entrarono a fare parte dell’ordine del giorno, approvato alla unanimità, dalle forze politiche della assemblea dei comuni del cesenate:…
“La realtà del Comprensorio Cesenate, determinata da profonde ragioni storiche,culturali,sociali ed economiche; oltreché da fattori geografico-naturali e gravitazionali, cui nell’ultimo decennio si sono aggiunte e consolidate numerose e importanti sovrastrutture di carattere sindacale, di Associazioni di categoria e istituzionali (USL,ecc.) dimensionate a livello comprensoriale costituisce da tempo un dato di fatto, dal quale nessuna seria programmazione regionale può prescindere. Le forze politiche locali sono doverosamente impegnate di fronte alle popolazioni della Valle del Savio e del Rubicone a difendere questa realtà, rivendicandone ad ogni livello il pieno riconoscimento istituzionale e politico della stessa;….” E ancora:.. “in attesa della definizione ed esatta configurazione istituzionale del futuro ente intermedio,sia esso denominato Comprensorio o Provincia (di tipo nuovo) o Circondario, il mantenimento dell’attuale istituzione comprensoriale costituisce una richiesta necessaria e sul piano politico una condizione di garanzia irrinunciabile finalizzata alla certezza di un definitivo riconoscimento nell’ambito del futuro assetto istituzionale della realtà Cesenate accanto a quella Forlivese e Riminese.”
Ma su un punto vorrei insistere, visto che dal 1977 al 1979 ebbi la massima responsabilità nel Comitato Comprensoriale e l’onore di avere Dario come vicepresidente (di minoranza). Sì perché la legge era fatta così (anche la minoranza era nell’esecutivo)e devo dire che non vi fu mai minoranza più costruttiva di quella di Dario.
L’altro vicepresidente di maggioranza era Gabrio Casadei Lucchi, altra figura di rilievo per affermare queste politiche.
Devo dire che troppo presto fu mandato a fare il senatore e che la Città avrebbe avuto bisogno di lui per almeno altri 10 anni. Ma sappiamo che la storia non si fa con i se e con i ma. Gli anni ’90 erano in arrivo e per molti aspetti “abbiamo gettato via l’acqua con il bambino”. Le forze politiche si sono occupate d’altro.
E il discorso si deve necessariamente fermare qui!
Dicevo, su un punto vorrei insistere: perché è il punto che ci dice quanto le idee, il pensiero e lo studio di Dario siano di grande importanza (e per tanti di noi di attualità). Sono due parole:
– La partecipazione
– La programmazione
Due parole che congiunte, se ci pensate bene, diventano una” linea politica”.
Parole che non appartengono più al linguaggio politico contemporaneo, sostituite dalle voci sondaggio e decisione politica, che quasi non comportano la presenza dell’uomo; ma solo il governo delle sensazioni e delle paure. Quindi dei fantasmi.
Mi piace infine ricordare che la famiglia distribuì ai funerali, che si svolsero nella chiesa parrocchiale di San Pietro, un ricordo con le citazioni di Dario, proprio sulla partecipazione e la programmazione.
La Partecipazione
“Lo Stato, nella visione cristiana, ha la funzione fondamentale di promuovere le condizioni esterne che favoriscano, per ogni persona, il realizzarsi del dare e del ricevere nella società, in corrispondenza alle attitudini ed esigenze singolari e irripetibili di ciascuno”.
La Programmazione
“La programmazione è scelta globale dei fini – secondo una rigorosa gerarchia di valori – e dei mezzi di una comunità e la loro razionale coordinazione…”