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No alla conservazione che vince contro i nostri figli

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Guido Piraccini

Le più recenti stime effettuate dal Ministero dello Sviluppo parlano di oltre 300 mila posti di lavoro in pericolo nel 2012. Nessuna fonte ha contestato tale stima pertanto dobbiamo ritenerla credibile. Del resto, anche nei tre anni di crisi che abbiamo appena passato l’ordine delle cifre è stato quello. Con una differenza però. Che finora la grande maggioranza dei posti di lavoro perduti è stata costituita da posti con contratti a termine, lavori a progetto, collaborazioni molte volte fasulle con partita IVA e simili. Ora, invece, incominciano a chiudersi periodi di Cassa Integrazione a zero ore attivati per “rinviare”dei licenziamenti di lavoratori stabili, quelli protetti dall’articolo 18 della Legge 300 del 20 Maggio 1970 (Statuto dei lavoratori) e quindi sono licenziamenti più “pesanti” in termini sindacali.

Inoltre quest’anno, dopo la manovra finanziaria, è prevista una pericolosa recessione nel contesto di un tasso di disoccupazione giovanile pauroso che sfiora il 30%.

Di fronte ad una tale paurosa situazione come sta reagendo il Paese, il Governo, le forze sociali; in maniera altrettanto drammatica; ci stiamo adattando alla non crescita aumentando tasse e balzelli sul reddito e sulla ricchezza, piuttosto che affrontare i veri problemi che ci assillano.

L’Italia, insieme a tante cose, ha assolutamente bisogno di nuovi posti lavoro subito, non fra qualche anno. Quindi ha bisogno di risorse finanziarie che siano di stimolo ai consumi e agli investimenti. Aumentare la domanda di lavoro nel nostro paese significa anche aprirlo agli investimenti stranieri. E’ bene sapere che per questo aspetto, oggi l’Italia è penultima in Europa: peggio di noi fa soltanto la Grecia.

Se riuscissimo ad allinearci a un paese europeo che occupa una posizione mediana nella graduatoria, come l’Olanda, questo porterebbe un aumento del flusso annuo di investimenti in entrata di decine e decine di miliardi di euro che vogliono dire centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro ogni anno.

Onestamente dobbiamo dirci che per rendere l’Italia più attrattiva per piani industriali esteri, per liberare risorse per consumi e investimenti non bastano un po’ di liberalizzazioni di cui gli eventuali benefici saranno a medio/lungo termine. Occorre da subito ridurre la spesa pubblica; i costi della politica; servono infrastrutture più efficienti, un costo dell’energia più basso.

Come è importante una legislazione del lavoro più semplice e allineata agli standard internazionali. Che significa anche scardinare l’idea che l’unica forma possibile di protezione contro la precarietà sia costituita dall’art.18: senza quello, tutti diventano licenziabili e dunque tutti diventano precari, tutti sono privati della libertà e della dignità nel luogo di lavoro; “se fosse così” si dovrebbe concludere che l’Europa è un continente interamente popolato da precari che lavorano in condizioni non dignitose e di insicurezza, esclusi soltanto i nove milioni di lavoratori dipendenti italiani che godono della protezione dell’art.18. Sappiamo che non è così, anzi, tutt’altro.

In merito è utile precisare che nessun progetto di riforma del mercato del lavoro in discussione prevede che vengano toccati i rapporti di lavoro stabili regolari già esistenti. Chi parla di precarizzazione dei garantiti lo fa soltanto per spaventare l’opinione pubblica, per alimentare la paura dell’ondata di licenziamenti. E’ la tecnica del fuoco di sbarramento; negare la realtà.

Ho abbastanza anni per ricordare che Luciano Lama non disse soltanto che “il salario non era una variabile indipendente”, ma affermò anche: Non voglio vincere contro mia figlia. Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli.

Qualche anno fa, un dirigente sindacale, ebbe ad affermare: “senza fabbriche non ci sono diritti”. Non è in fondo questo il motivo più profondo per il quale abbiamo bisogno di una riforma del mercato del lavoro? La nostra cultura industriale e del lavoro è arretrata e rattrappita. Non ci rendiamo conto del fatto che la migliore difesa della libertà e sicurezza economica e professionale del lavoratore è costituita dalla possibilità che gli si dà di cambiare azienda quando le cose non vanno bene.

Ultimamente ho avuto occasione di incontrare diversi giovani di 25-30 anni impegnati in lavori precari e/o disoccupati; nelle loro considerazioni, di frequente, è venuto fuori la domanda che implicitamente voleva essere anche una risposta “a cosa servono oggi i sindacati in Italia”.

Francamente io credo che questa domanda/risposta, fra i giovani, sia molto diffusa per non dire quasi unanime e che tale esperienza sia vissuta sicuramente ogni giorno, più volte al giorno, anche dai dirigenti del sindacato del nostro territorio e/o comunque nazionale.

E allora, perché nell’era della globalizzazione il sindacato non prova ad essere l’intelligenza collettiva dei lavoratori che consenta loro di attirare l’imprenditoria europea e mondiale cercando di ingaggiare l’imprenditore capace di valorizzare meglio di tutti gli altri il loro lavoro. Per questo occorre un sindacato in grado almeno di “conoscere” l’Europa, i progetti più appetibili alle migliori aziende, valutare i piani industriali, da qualsiasi parte provengono, comprenderne l’attendibilità economica, tecnica ed etica; e se la valutazione è positiva, il mestiere di quel sindacato consiste nel guidare i lavoratori nella negoziazione e stipulazione della scommessa comune con l’imprenditore sul piano industriale; controllare l’attuazione del piano; infine controllare la spartizione dei frutti, quando la scommessa sia stata vinta.

Se si riuscisse ad assumere un tale visione/ruolo sono sicuro che sarebbe molto più facile affrontare le questioni insite nella riforma del mercato del lavoro e quindi anche quelle specificamente inerenti all’art.18.

Perché è pur vero che la rimozione dell’art. 18 non deve essere considerata la panacea di tutti i mali. Ce ne sono ben altri.

Ma sarebbe anche un gravissimo errore rinchiudersi in una difesa tutta ideologica senza prospettiva e senza futuro.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 11:34 am
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