di Stefano Bernacci
I primi passi verso la costruzione diun perimetro istituzionale, economico e sociale di area vasta procedono tramolte incertezze e contraddizioni.
Al di là del fatto che sarebbe benecominciare a definire una terminologia più consona e determinata dell’attualeArea Vasta, riuscire a superare anni di campanilismi e di identità territorialiconsolidate nella cultura e nelle prassi risulta estremamente difficile ecomplicato.
Scontano evidenti criticità diconsolidamento e sviluppo i progetti fin qui avviati (dalla sanità alleesperienze associative) e non partono progetti che naturalmente dovrebberoavere come perimetro ideale la configurazione del territorio romagnolo.
E’ di questi giorni la notizia che nonsi riuscirà a fare, per le divergenze fra il territorio ravennate e gli altriterritori, una Camera di Commercio a tre (Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini) e cheanche una delle poche esperienze di successo in ambito romagnolo come il GalL’altra Romagna si è sdoppiato per le scelte del territorio riminese di darvita ad un proprio soggetto autonomo.
Cosa sta succedendo rispetto ad unprogetto sul quale a parole tutti si dichiarano d’accordo ma che nelle scelteconseguenti troppo spesso non riesce a trovare coerenti modalità direalizzazione?
Sarebbe facile liquidare la questionecome fattori culturali e difesa di superati modelli di potere.
Certo è anche questo ma non solo.
La mancanza di un progetto complessivodi territorio condiziona pesantemente lo sviluppo di percorsi di collaborazioneed integrazione.
La strada delle progressiveintegrazioni, partendo dalle cose più facili che le amministrazioniintenderebbero perseguire, lascia aperti spazi enormi di autonomia ediscrezionalità che indeboliscono il progetto complessivo. E’ un problema dicontenuti ma anche di messaggi.
Se a tutti i livelli non c’è una chiarae coerente intenzione di procedere con un nuovo quadro istituzionale edoperativo le resistenze e le differenze prevalgono sull’innovazione.
Non si tratta soltanto di un problemaromagnolo.
Come è accaduto nella sanità, mentre inostri territori cercavano di innovare il sistema scegliendo la stradadell’integrazione nelle altre parti della regione tutto è rimasto fermo.
Il cambiamento pur essendo necessario èestremamente complicato ed ogni insuccesso o criticità viene visto daisostenitori dell’attuale quadro come rafforzamento delle proprie convinzioni.
Non èsufficiente sostenere che una dimensione più grande produce economie di scala edi specializzazione ma occorre aiutare i vari soggetti a comprendere e valutareil ruolo che vorrebbero e potrebbero giocare nella nuova configurazione elavorare, con un impegno collettivo, per il riconoscimento delle diverseposizioni.
Va benissimo tentare di uscire daangusti e superati perimetri territoriali a condizione di aver chiaro qualepotrà essere il vantaggio effettivo per i territori e come si svilupperanno gliimpegni e le opportunità per gli attori locali.
Non è solo unproblema istituzionale o associativo ma vale per l’Università, leinfrastrutture, le reti dei servizi alle imprese ed i futuri assetti del mondobancario.
Non nascondo diprovare un grande timore quando soggetti che non hanno mai cercatocollaborazioni improvvisamente e spesso passivamente vedono nella strada delleintegrazioni l’unico scenario possibile.
Mi sembra chedal punto di vista culturale il dibattito sia quanto mai povero.
Avere unavisione di territorio più allargata significa definire modelli di sviluppoeconomico e sociali coerenti ed innovativi, comprendere che il rapporto con lacittà metropolitana di Bologna non potrà essere che collaborativo e, peresempio, che per tante ragioni lo sviluppo lungo la dorsale adriatica puòrappresentare una grande opportunità al di fuori dei confini regionali.
E’ necessario amio avviso che il fragile e precario processo di integrazione venga supportatoda un ampio e articolato dibattito su una visione moderna del nostro futuro.
Questo è uncompito di tutti ma all’appello non può mancare una politica che troppo spessosi concentra sugli slogan e non ha il coraggio o la capacità di alimentare econdizionare un dibattito adeguato finalizzato ad assumere nei territori scelteconseguenti.
Quella politicache mentre da una parte dichiara che la Romagna rappresenta una grandeopportunità dall’altra non perde occasioni per affermare distinguo su scelteche dovrebbero essere coerenti con tale progetto e che dà la sponda a coloroche consapevolmente o inconsapevolmente ostacolano un processo di cambiamento.
In questa faseabbiamo bisogno di più politica e di buona politica.
Siamo di frontead una grande opportunità di cambiamento che non è fatto solo di prodottipreconfezionati ma di tante esperienzeche possono muoversi con modalità differenti a condizione che vadano tuttenella stessa direzione.
Nel nostroorizzonte non c’è solo la dimensione delle strutture su scala romagnola ma unosforzo collettivo di persone che vedono nella collaborazione enell’integrazione fuori dagli attuali perimetri un modo per creare un ambienteeconomico e sociale migliore e maggiormente competitivo.
Questo sforzova coltivato e supportato per evitare che si inaridisca e perda molte delle suepotenzialità di innovazione.
Per fortuna lasocietà delle relazioni e delle reti dinamiche dipende sempre meno dagliassetti istituzionali e dagli attori pubblici e privati che operano suiterritori anche se un’azione coerente e continua di questi potrebbe sicuramenteessere di grande aiuto.