di Marino Mengozzi
È possibilespendere oggi alcune parole, chiare e serene, sulla Malatestiana? Rispondendoaffermativamente, vorrei tentare di svolgere qualche considerazione nel merito:più per ragioni che investono il grande valore della Biblioteca di Cesena (ungiudizio condiviso da tutta la comunità scientifica, partecipato in quanto oggettivo,universale, “mondiale” appunto) piuttosto che la “grande Malatestiana” (unsintagma nato magniloquente, partorito da una certa abitudine dilatatoriad’ambito politico, e perciò ‘sgonfiato’ dalla realtà delle cose). Nessunoinfatti poteva pensare di ingrandire davvero quanto grande lo era già da oltremezzo millennio e dunque più che certificato: a significare l’allargamentodegli spazi poteva bastare il semplice aggettivo “nuova”.
La magnifica auladi Malatesta Novello e Matteo Nuti (intendendo per essa spazi e codici) siconiuga soltanto con tre azioni: contemplare, custodire, attingere. Quel luogonon si vede davvero se prima non lo si è conosciuto, ascoltato e soprattuttocontemplato; con un notabene: si conosce veramente quanto si ama. Ciò, inqualche modo introiettato, genera il senso, il dovere e l’urgenza dellacustodia, normativa e pratica, ai vari livelli di competenza. Quanto poidetermina la terza fase risponde a motivazioni che incrociano lo studio, lavalorizzazione e, di più, l’attualizzazione del messaggio a quel luogo affidatodagli artefici sin dalla fondazione: una visione dell’uomo, una risposta atutto quanto il suo inquietare e anelare; detto in termini cari a sant’Agostino(che, non dimentichiamolo, è fra gli “abitanti” della Biblioteca), equivale insintesi al presente del passato. Ed è proprio questo ‘presente’ che preme a noie interessa oggi (senza nasconderci che interessa, persuade e appassionasoltanto ciò che è vivo, vitale e attuale): ma qualunque sia l’intento, occorrepartire sempre dalla Malatestiana e da lì conseguire ispirazione, motivazione,indicazione di metodo e di merito, direzione d’indagine, valutazione di scopo,giustificazione di costo, destinazione di risorsa, modalità operativa.
Dato e non concessoun tal presupposto, volendolo declinare nell’agone concreto della realtà“malatestiana” che va registrando abbondanti e polemici interventi (in unaplatea via via allargatasi: singoli e associazioni, cittadini e amministratori,assessori in carica ed ex, onorevoli e senatori), pare opportuno tentare diporre qualche paletto. Stupisce (ma piace altresì) che tante voci siano scesein campo accomunate da una sola preoccupazione, di palese matrice culturale:considerati tempi e temperie, non c’è che da rallegrarsi e ben sperare. Ma èpur vero che la schiera dei discettatori di biblioteca (conservazione, valorizzazione,organizzazione, ingressi e uscite, orari e turni, quantificazione e distribuzionedi libri e scaffali, competenze del direttore, programmazione delle attività,ecc.) si è troppo espansa; e quando tutti salgono in cattedra, il risultato èche nessuno insegna, nessuno ascolta e ciascuno va per suo conto! C’è un tempoper dialogare, c’è un tempo per tacere.
De re magna agitur: si tratta davvero di un argomento della massima importanza. La culturaè inevitabilmente ‘alta’, necessariamente selettiva: questo dato va colto nellasua verità e non va né rifuggito, né mistificato. Può trarre in inganno ilfatto che oggi tutto viaggia abbinato a ‘cultura’: del vino, del cibo, delvegano, della bicicletta, del verde, dello sport, del diverso, ecc.; puòesserlo, indubitabilmente, ma non immediatamente, automaticamente,superficialmente; la cultura approfondisce le ragioni e seleziona gli argomenti,sceglie ed esclude, semmai recupera per altre strade. Mal si concilia con lafrenesia delle iniziative a vario titolo definite culturali, che nondeterminano cultura per automatismo. Tantomeno sopporta criteri o valutazioniquantitative: bene se c’è folla, male se c’è poca gente; bene se si sono fattetante attività (leggi: incontri, sempre più in serie e a cicli), male se èquestione di rarefatta progettazione. Gli incontri, poi, sono cresciuti digrado e divenuti eventi: che ormai si contano non a decine ma a centinaia. Sidirà: gran cosa! Ne siamo davvero certi? Tutto utile e ben speso? Dove e in checosa risiedono i riscontri?
Quanto allaMalatestiana, ben si conoscono i termini del dibattito da tempo acceso suinuovi spazi acquisiti, sulle scelte operate e sulle modalità perseguite nel loroallestimento: frutto di un disegno, di un progetto e delle concezioni di chil’ha pensato e attuato. È a tutti evidente la necessità di mutamenti einversioni: perché non c’è dubbio che al grande sforzo economico eall’importante intervento edilizio non corrispondono altrettanta razionalità edequilibrio fra spazi e contenuti, agibilità e operatività (basterebbe il gap fra ampiezza volumetrica eristrettezza della dotazione libraria disponibile, con evidente dispendio dirisorse e potenzialità; per non dire della forte promiscuità di eventi epresenze). La conduzione e la tutela di un luogo come la nostra Bibliotecadevono contemplare e avere al sommo grado di prerogativa quei caratteri che iltitolo di “memoria del mondo” declina e lusinga (ce l’ha appena rammentato ilcomitato italiano dell’Unesco): finalità pubblica, originaria e originale; pregioarchitettonico e artistico; rarità conservativa; eccellenza umanistica del corredominiato; preziosità codicologica e contenutistica. È ovvio che la guida ditanta realtà può spettare a chi possieda sì doti manageriali ma a partire da ungrado di cultura e preparazione specifica di elevato e assodato livello (ilbando pubblicato – convogliando Malatestiana, Cultura e Turismo – semplifica icosti ma miscela competenze e complica l’operatività; e la limitazionetemporale, per tacere dell’economica, non funge certo da incentivo, specie perun aspirante veramente titolato e di provenienza esterna). Aggiungo che vasenza dubbio accreditata l’idea di affiancare un Comitato scientifico a chidirige: vedremo i termini attuativi. L’odierna realtà va rivista e mutata, soprattuttoiniziando a selezionare e distillare (senza temere dei no), poi a irrobustire iruoli: ma per farlo occorrono mezzi (molti) e risorse umane (molte e capaci).Qui sta la vera scommessa, anche se il panorama nazionale è sconfortante: comerivelano la crisi del libro e la decrescente considerazione per le biblioteche,in coda persino alle preoccupazioni del Ministero competente (istituzionicelebri al pari della Vaticana sono prive di direttore). Eppure il libro èstato, e lo è tuttora, il maggior artefice di cultura: vale a dire non soltantola nostra grande risorsa ma anche la giovinezza del nostro passato e lasperanza certa del futuro.
Stiamo percelebrare un personaggio che della Malatestiana è stato direttore: prendiamospunto da un sintagma estratto dall’opera che l’ha reso meritatamente famoso. Ilpersonaggio è Renato Serra, l’opera l’Esamedi coscienza di un letterato; questo grande cesenate c’invita a essere«ideali nel reale»: non è una formuletta per letterati ma un saggio segreto avalere per tutti, eruditi e non, amministratori e non, ecc.; insomma, è un principioesistenziale. Ed è proprio qui che abita la più straordinaria delle dimensioniculturali di questo altissimo intellettuale: e noi abbiamo oggi l’obbligo e ildovere di ascoltarlo (se non gli prestiamo ascolto perché celebrarlo?). Ilpeggior servizio che potremmo rendere a lui e a noi sarebbe quello di barattarela sua vissuta e sofferta verità con blandizie paraculturali e farisaici elogipostumi. Dobbiamo partire da questa posizione, che in definitiva è un richiamo;perché non andremo lontano senza un esame che riveda obiettivi e finalità,vittorie e fallimenti del nostro agire: passato, presente e futuro.