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L’ora x dei corpi intermedi

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Stefano Bernacci

Esiste ancora un ruolo e uno spazio per i corpi intermedi nell’era dei partiti liquidi che perdono 400mila iscritti all’anno, dei sindacati e delle organizzazioni di rappresentanza che soffrono, del dialogo sociale non alimentato dalla politica, della democrazia diretta in versione smaccatamente populista, della logica del leader – premier, governatore, sindaco che sia – il quale bypassa e scavalca il confronto con gli interlocutori alimentando l’illusione di una maggior coinvolgimento dal basso?

Esistono ancora questo ruolo e spazio in una società che rischia di configurarsi senza dimensione intermedia tra economia e politica, avvinte insieme su in alto, e la società laggiù in basso?

Nonostante tutto sembri remare contro, questo ruolo e questo spazio esistono ancora, più importanti e nevralgici di prima, per le organizzazioni di rappresentanza imprenditoriale e per tutti i  soggetti della società di mezzo, a patto che accettino, proseguano ogni giorno e vincano la sfida ineludibile di autoriformarsi, perché non è possibile pensare che le cose cambiano se prima non cambiamo noi.

Anche le rappresentanze sono in profonda metamorfosi, con le loro strutture organizzate nel novecento che debbono essere innovate e rivitalizzate per rappresentare pienamente, nel nostro caso, le piccole imprese in un contesto,  scompaginato dalla crisi economica, di valore, di identità e di senso.

Di fronte al proliferare del  popolo  dei “non più”, di coloro che non ce la fanno più a tirare avanti e che hanno perso fiducia nei confronti di tutte le forme comunitarie che non danno risposta ai loro bisogni, occorre incoraggiare i comportamenti del “NOI” e sperare che facciano massa critica verso il cambiamento.

Se stiamo soli non sopravviviamo  e non usciamo dalla crisi.

Senza creare reti di connettività fra i diversi soggetti coinvolti nei processi, superando gli egoismi, gli individualismi e la difficoltà a mettere insieme esistenze ed obiettivi, è illusorio pensare che ce la possiamo fare.

La politica sembra non avere compreso questo messaggio apparendo sempre più autoreferenziale, chiusa in se stessa, con i decisori politici restii al confronto vero, non quello telecomandato delle carte bianche che si rivelano strumenti funzionali a giustificare una pseudodemocrazia che non produce partecipazione, ma sterile consultazione. E da questa politica solipsista scaturiscono soluzioni che troppo spesso non sono rispondenti ai reali bisogni dei governati, ma che riflettono decisioni autonome e personali.

Le organizzazioni di rappresentanza stesse, che in questo territorio hanno sempre avuto una ottima capacità di interlocuzione, rischiano di essere portate a spasso dalle agende dei sindaci. Agende nelle quali, tuttavia, i temi dello sviluppo non possono essere confinati, tanto per esemplificare, in episodica conferenza economica (che ricorda tanto precedenti ed inutili esperienze degli anni 80) da cui non si capisce che cosa ne discende e quali azioni concretamente adottare.

Né si può continuare all’infinito in tutte le riflessioni su di un nuovo modello di welfare locale a issare la bandiera dei servizi identitari come un mantra, sui quali nel merito nessuno può intervenire perché, per l’appunto, sono identitari e basta la parola!

Dimenticando che in questi anni nuove forme di welfare si stanno affermando attraverso diverse modalità (da quello privato a quello comunitario, da quello aziendale a quello associativo) e che diventa fondamentale mettere in relazione ed efficentare le diverse esperienze nell’interesse collettivo.

E’ necessario che politica, corpi intermedi, interlocutori istituzionali affrontino insieme le questioni di fondo, trovino risposte operative alla  domanda in agenda rispetto a nuovi modelli di sviluppo in un quadro che vede il nostro territorio inserito  sempre di più in una dinamica Area Vasta che pone problemi di equilibrio e di forza al proprio interno e nei confronti della Regione

La risposta, sul campo, non può che essere corale: servono dialogo, progettualità e un confronto nuovo che chiami in causa e valorizzi, piuttosto che scavalcare, i corpi intermedi che stanno rinnovando le loro modalità di interlocuzione.

Rispetto alla verticalizzazione dei processi decisionali occorre ricercare nuove modalità di “orizzontalizzazione” che coinvolgano realmente le persone anche attraverso le loro forme organizzate.

A scanso di equivoci, non pensiamo a nuove forme di concertazione rispetto alle quali eravamo dubbiosi anche nei tempi in cui andavano di moda.

Siamo convinti che gli assets del modello italiano rimangano in buona parte basati su quelli tradizionali. Localismo, famiglia, piccola impresa, rete sociale.

L’orizzontalizzazione su cui siamo impegnati punta a favorire progetti di comunità aperti ed inclusivi per favorire la rigenerazione del capitalismo molecolare, per incentivare gli “smanettoni” appassionati dalla rivoluzione digitale, per non lasciare indietro nessuno attraverso reti di supporto costruite rendendo protagonisti il mondo del volontariato e delle imprese sociali.

Nel suo piccolo Confartigianato Federimpresa Cesena sta cercando di dimostrare che si può fare rappresentanza partendo dal basso: la nostra Carta bianca in rete sul bilancio comunale di Cesena ha coinvolto circa 150 imprese che hanno inviato le loro osservazioni; nel Foro Annonario, in cui siamo coprotagonisti del project financing, e nel Temporary Store realizzato i mesi scorsi in via Battisti abbiamo dimostrato un protagonismo nuovo e diretto come soggetti attivi di sviluppo a favore della città. Nel progetto Bottega Scuola abbiamo promosso e messo a disposizione una best practise con tutti i requisiti per diventare progetto di comunità per avvicinare i giovani al mondo del lavoro in impresa.  Con le iniziative in materia di smart cities ed il supporto al FabLab stiamo cercando di dare un contributo a quella rivoluzione digitale in cui l’artigianato può essere un grande protagonista sopratutto nel presidio dell’”ultimo miglio”. Con Confartigianato per il sociale cerchiamo di dare un supporto alle tante esperienze sociali che danno una risposta a coloro che vivono situazioni di disagio e difficoltà

Queste modalità di innovazione, che naturalmente non solo una nostra prerogativa, rischiano tuttavia di produrre risultati modesti se manca l’interlocuzione operativa con la politica .

I corpi intermedi non debbono reclamare un ruolo per il solo fatto di esistere, ma sanno che debbono conquistarselo ogni giorno sul campo dimostrando effettiva capacità di rappresentanza nelle dinamiche dello sviluppo e propensione al cambiamento.

Non c’è altra strada, per noi organizzazioni di rappresentanza, che cambiare, incalzare la politica e gli amministratori con proposte, progetti e assunzioni di responsabilità non mollando e anzi riguadagnano lo spazio che ci spetta, di cui la società non può fare a meno, se non si vuole dare ulteriore spazio agli individualismi, alla rabbia ed alla disperazione di tanta gente.

Il nostro ruolo di mediazione spesso non viene compreso.

Al netto degli errori e delle incapacità, che pure ci sono, si scambia la responsabilità e la ricerca dell’interesse generale per debolezza o, peggio ancora, connivenza con un potere politico che troppo spesso cavalca e stimola la rivolta verso le forme organizzate.

Questo quasi nella convinzione che indebolendo i corpi intermedi si abbia più potere di manovra e acquisizione di consenso.

E’ la logica dell’IO che in questi 20 anni ha avuto tanti sostenitori fra i leader politici  non soltanto a livello nazionale.

A dimostrare in maniera plastica che le organizzazioni di rappresentanza non hanno un grande futuro solo dietro le spalle è stata la grande manifestazione a cui hanno dato vita le Confederazioni dell’artigianato, della piccola impresa, del commercio e dei servizi in piazza del Popolo, a Roma, dove il 18 febbraio scorso più di sessantamila imprenditori si sono riuniti sotto le bandiere delle loro associazioni e di Rete Imprese Italia per fare ascoltare la propria voce e proporre soluzioni concrete ai temi della crisi. Un migliaio anche del nostro territorio. Sessantamila imprenditori, in tempi così difficili, che hanno chiuso l’azienda per un giorno e sono andati a Roma, mobilitati e affiancati da quei corpi intermedi senza i quali politica, cittadini e imprese, nonostante le scorciatoie populiste che qualcuno si ostina a prendere, restano incolmabilmente distanti.

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 12:06 pm
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