di Luca Ferrini
I laici, quelli veri, non hanno tabù. Hanno principi da difendere.
Non è, perciò, per noi impossibile discutere sull’applicazione della legge 194. Può essere interessante anche valutarne gli effetti e cercare di migliorarne i risultati.
Ma non è possibile che tale dibattito, diciamo, di aggiornamento legislativo divenga il cavallo di Troia per rimettere in discussione due principi inamovibili, contenuti nella attuale normativa. E cioè quello secondo cui è la donna al centro di ogni dolorosa scelta nei primi tre mesi della gravidanza e quello secondo cui lo Stato non ha (o non dovrebbe avere) un’etica predefinita, da imporre ad ogni cittadino.
La 194 ha avuto, poi, un effetto ulteriore non trascurabile. Un effetto che, al momento della sua introduzione, non era per nulla secondario sul piano concreto. E cioè quello di spazzare via una vergogna civile: il ricorso disperato agli aborti clandestini. Aborti pericolosi per la salute delle donne ed esecrabili per l’abietto mercimonio di cui erano oggetto.
E’ di questo che un vero Stato laico e democratico deve interessarsi. Non di quello che pensa (meglio: crede) il Cardinale Ruini. Che, per carità, ha tutto il diritto di esprimere la sua opinione e quella della Chiesa. Ma che i nostri legislatori (eletti) hanno il dovere di non ergere a regola giuridica valida e cogente per tutti.
Quanto poi all’applicazione pratica della legge, faccio mie le lucide considerazioni del Ministro della Sanità, Livia Turco, con la quale possiamo essere spesso politicamente in disaccordo, ma che, in questa vicenda, ha ragione da vendere.
L’interruzione della gravidanza è per la donna una profonda sofferenza. Una sofferenza che non di rado lascia segni duraturi a livello psicologico. Non credo esista una madre che abbia preso la decisione a cuor leggero, come qualcuno vuole fare credere. Mai.
E le statistiche (che tanto a sproposito vengono citate dai novelli detrattori) parlano chiaro. Dal 1982, anno del più elevato numero di interruzioni di gravidanza, ad oggi, si è avuto un calo del 45%. Per le donne di origine italiana addirittura del 60%. Sul totale nazionale, il dato relativo le donne di origine straniera è attorno al 30%.
Sono questi i dati da valutare con attenzione. Non dobbiamo discutere un principio di civiltà. Dobbiamo chiederci perché, ancora oggi, vi siano numeri elevati, soprattutto che riguardano le donne immigrate. E’ una loro mancanza di responsabilità? E’ perché non sono di religione cristiana? Crediamo veramente questo? O non è vero, piuttosto, che una scelta così dolorosa per chi porta in grembo un progetto di vita è il frutto di una condizione economica, sociale e culturale indegna di un Paese civile? Che quel 30% in crescita è una vergogna non per le donne che decidono l’interruzione ma per la nostra distratta società che non riesce a farsi carico del disagio di larga parte della sua popolazione?
Infine, sulla deriva eugenetica delle interruzioni di gravidanza oltre i tre mesi. Trattasi di baggianata bugiarda. Dopo i 90 giorni, sono il 2,6% dei casi. Oltre le 20 settimane, lo 0,7%. E sono casi di pericolo di vita per la madre e con obbligo, per legge, per il medico, di salvare, ove possibile, il feto. Ma quale deriva eugenetica!
Sono convinto che non ci creda nemmeno chi cavalca l’onda di una simile sciocchezza. Ma che, proprio per questo, sia la dimostrazione di come si tenti di far passare l’idea di una volontà di ritocco normativo per nascondere lo scopo autentico: la cancellazione di un diritto di civiltà.
E ciò, francamente, dopo la medioevale legislazione ingoiata in tema di ricerca scientifica, sarebbe un salto indietro nel tempo intollerabile. Solo il sonno della ragione potrebbe permetterlo. Svegliamoci, dunque!
Luca Ferrini