di Maicol Mercuriali
Quando sei piccolo tutto ti sembra più grande. Fateci caso, pensate ai vostri ricordi di quando eravate bambini, e vedrete che è così. A volte mi diverto pensando a ciò che mi sembrava immenso: cose, luoghi, persone… che riviste dopo anni, invece, cambiano decisamente proporzione. Diventano normali,
talvolta pure piuttosto piccine.
Quando ero un bambinetto il Partito Repubblicano mi sembrava grande. Sì, mi sembrava proprio una “roba” grande. Ovviamente non avevo la percezione di che cos’era un partito politico. Ma questi repubblicani avevano il circolo più grande del paese, poi c’era la cooperativa con quella mietitrebbia che mi piaceva tanto, e poi ancora una serie di persone che – mi dicevano i nonni – erano molto importanti. Poi sono cresciuto e ora questo grande partito non c’è più. Anche questo è frutto di quel giochetto di cui parlavo qualche riga sopra?
No, ovviamente non è così. Quell’edera che da bambino sentivo tirar fuori ogni giorno, oggi non se la passa molto bene. Non è secca ma poco ci manca. Non lo dico certo io, ma i numeri parlano chiaro. E in politica i numeri, cioè i voti, contano più delle idee.
Mancavano pochi mesi alla mia nascita quando nel giugno del 1983 si tennero le elezioni politiche. E il 26 giugno di quell’anno il Partito Repubblicano Italiano guidato da Giovanni Spadolini – lui si che mi sembrava grande da bambino, in tutti i sensi – raccolse il miglior risultato di sempre. Alla Camera ottenne la fiducia di oltre un milione e ottocentomila elettori, poco più del 5%. In quel frangente, se ai voti repubblicani sommiamo quelli liberali e radicali, scopriamo che il 10% dell’elettorato italiano aveva scelto una via laica, liberal-democratica. Quegli italiani, oggi, non avrebbero un riferimento politico. E infatti questo partito del 10% è scomparso, si è perso in mille rivoli, sia a destra che a sinistra, è diventato un partito dello zero virgola, e anche nelle zone dove la tradizione laica e repubblicana era piuttosto forte – come la nostra Romagna, dove il Pri per anni è andato in doppia cifra e nelle politiche del 1983 prese quasi il 19% – l’incidenza politica di queste forze si è ridotta a una misera testimonianza, tranne qualche caso isolato. Non è così nel resto d’Europa, ma questa è una magra consolazione. A casa nostra la tradizione repubblicana, laica, liberal-democratica sta vivendo una crisi profonda. Una crisi che ha portato dirigenti di secondo piano alla ribalta, nella sala dei bottoni. E ciò non gioca sicuramente a favore di una rinascita di questa tradizione. Poi, quando invece della torta ti trovi a spartire le briciole del pane, è naturale che gli scontri, anche se si fa parte della stessa famiglia, si accentuino. Insomma, per i repubblicani e i liberali sono anni difficili.
Esiste una larga fetta di elettorato non rappresentato, è vero, persone che fanno parte del partito dell’astensione, ma è troppo facile illudersi che questi potenziali elettori siano pronti a tuffarsi in un terzo polo: se è vero che il Partito Repubblicano è stato il partito della ragione, allora è quantomeno lecito pensare che i repubblicani vadano riconquistati con una proposta politica all’altezza della storia del partito. Ed è proprio nel lavoro di proposta politica che questa tradizione repubblicana a rischio di eutanasia può trovare nuove forze. E’ inutile correre dietro alla Lega Nord, diventare corrente del Pdl o inginocchiarsi davanti al Pd come se fosse il partito-faraone dell’Emilia Romagna: questo è indice di arrendevolezza, quasi a voler gettare la spugna prima di salire sul ring. Un partito liberal-democratico ha senso solo se dice cose diverse da questi soggetti, se ha una progettualità valida e concreta, se torna ad avvicinare e ad aggregare le persone attorno a idee accattivanti, moderne e perseguibili. Com’era un tempo. In caso contrario si può staccare la spina e salutare il Pri e la lunga tradizione che si porta dietro: essere il più antico partito presente nelle istituzioni del Paese conta poco se non si ha più la forza di incidere sulla vita dei cittadini.