di Pietro Caruso
Se si vuole evitare che la traduzione regionale della “spending revieux” venga gestita con il clima che si è visto durante l’estate per le Province: prima abolite, poi accorpate, poi semi accorpate … senza toccare le Regioni e le Province a statuto speciale i progressi spediti sull’Area vasta della salute sono assolutamente compatibili con quelli istituzionali. Anzi, ne potrebbero diventare l’acceleratore e la levatrice a patto, però, di considerare alcuni aspetti culturali, economici e politici che sono sulle spalle del governo Monti ma sono la filosofia della governance e delle elites che hanno nelle mani i cordoni della borsa europea e che comunque avranno un ruolo anche nei prossimi anni, almeno fino a quando non risorgerà in Italia e in Europa una coscienza capace di ridefinire i nuovi diritti della cittadinanza e una più consapevole gestione della partecipazione anche delle scelte dei servizi essenziali. La razionalizzazione delle spese sanitarie come con acume ha sostenuto, anche su queste pagine, lo stesso Denis Ugolini coadiuvato da eccellenti esperti dell’economia e gestione della salute devono tendere ad una minore spedalizzazione, ma non certo alla riduzione del profilo delle cure e delle eccellenze. La tradizione di buongoverno romagnola in un contesto così drammatico della vita del Paese nel quale purtroppo venti anni dopo Tangentopoli pur concedendo maggiore autonomia locale e regionale, anche attraverso provvedimenti legislativi, non sono riusciti a fissare le regole di un autentico federalismo e così ora in un quadro di forti richiami europei e mondiali ad una nuova austerità nel funzionamento delle istituzioni si corre il rischio di vedere gettato via “il bambino insieme all’acqua sporca”. Certo se l’ironia soccorresse questo momento forse il bambino non ci sarebbe neppure più divorato da un becerume che non aveva eguali neppure negli anni dello strapaesismo squadrista del Ventennio del secolo scorso. Un tempo in cui c’era una insopportabile violenza ma non il sommo culto del ridicolo e della volgarità, il cattivo gusto come ideologia delle relazioni. Durante l’estate quelle decisioni di governo agostane così rapide hanno innervosito anche nostri amministratori locali e comprensibilmente i più colpiti sono stati gli amministratori provinciali che, a livello di Forlì-Cesena, non possono certo essere accusati di essere i prototipi della casta. Solo che tutti: sia che si faccia l’amministratore provinciale, sia che si ricopra il ruolo di sindaco o di assessore, per non parlare dei consiglieri regionali si è di fronte ad un cambiamento epocale che è in corso e rischia di spazzare via l’aspetto che ha tenuto per sessanta anni: la democrazia rappresentativa, il potere della delega, una base fiduciaria fra governanti e governati. In Romagna per tutti gli anni Novanta e fino al 2011 la parola d’ordine del blocco politico del Centro-Sinistra e soprattutto del Pd, come lo era dei Ds e della Margherita, è stata quella della “coesione sociale”. Solo che restringendosi la base finanziaria e la quota di spesa pubblica pro capite per i cittadini in quasi tutti i servizi su cosa si può fondare la promessa di reiterata coesione? Il foedus, il patto per non essere leonino deve fare intravedere il futuro. Per questo nell’impossibilità di fare nascere una regione che taluni pensavano in chiave secessionista dall’Emilia, la scelta di una Provincia di Romagna, anche se è soltanto un organo di secondo grado, ha un potere simbolico importante. Riusciranno le classi dirigenti, ad ogni livello, rinnovarsi per non perire affidando al ricambio, anche generazionale, la propria capacità di governo di questi tempi tumultuosi? Non è la Politica che deve fare un passo indietro, ma i politici logorati e comunque tutti coloro che non hanno capito che ci vuole sobrietà e rigore. E questo si misura anche con l’esibizione della propria dichiarazione dei redditi. A meno che non volere fare la fine di quegli aristocratici che scambiarono una rivoluzione per una sommossa. |