di Ines Briganti
Con questo intervento vorrei toccare due temi che sono stati trattati durante il recente convegno, molto interessante, organizzato dall’associazione culturale “Paese Nuovo”. Il primo, sul quale non è possibile non dire , è lo stato nel quale versa l’Italia per quanto attiene la situazione politica e morale; il secondo è la situazione economica locale e internazionale. Su quest’ultimo aspetto è evidente che non si hanno pretese di annunciare teorie originali ma di raccogliere le sollecitazioni emerse dal convegno sui temi politici ed economici del territorio. Non si è più originali se si dice “sono tutti uguali: un branco di malfattori”. Lo dice, stando ai sondaggi, il 40% e più (la percentuale aumenta quotidianamente) degli italiani che dichiarano di non andare a votare. Non si dice niente di nuovo neppure se si tenta di fare la somma dei milioni di Euro (io non riesco più a seguirla!) di cui hanno beneficiato e beneficiano, spesso avvalendosi della connivenza dei partiti, parlamentari, consiglieri regionali e dirigenti di enti vari. Di tutto questo ci aggiornano i quotidiani e i talk show televisivi (ove hanno tuttora la faccia tosta di pontificare personaggi direttamente coinvolti). Qualche riflessione comunque va fatta, tenendo possibilmente aperta la strada della speranza. Il livello di degrado morale del nostro Paese è tale da non poter essere paragonato neppure a un Paese del cosiddetto terzo mondo. Dobbiamo essere convinti, perlomeno io lo sono, che la gestione politica della Democrazia, ha sicuramente bisogno di risorse: quando allora la gente comincia a indignarsi, a chiedere di conoscere e di saperne di più? Quando i politici si dimostrano professionisti e mestieranti della politica, e non gestori e progettatori del bene comune, quando antepongono vantaggi personali o di casta, o di partito, o di clan alla pubblica utilità, e, soprattutto, quando salta il coperchio del vaso di Pandora e si scopre quanto denaro è andato perduto per corruzione. Dice Don Ciotti:”Non solo il peso della corruzione è di 60 miliardi di Euro l’anno che incide sul movimento economico per un valore di 200 miliardi di Euro ma addirittura esso è stato in qualche modo legalizzato da provvedimenti di legge che i politici stessi hanno proposto e votato”. Ci viene detto, ad esempio, che i gruppi consiliari regionali sono associazioni private, che per legge utilizzano denaro pubblico e questo lo sappiamo; ma si sentono affermazioni di questo genere: “Fiorito ha sottratto 1.400.000 Euro al PDL per farne uso proprio”, ma quei soldi erano stati stanziati per essere utilizzati per finalità pubbliche, erano e sono nostri (come si suol dire al danno si aggiungono le beffe). Diceva Giancarlo Caselli in un’intervista: “Sono anni che la questione morale non viene affrontata, chi aveva il coraggio di rammentarlo era considerato vecchio, andava fatto tacere. Di questo passo abbiamo avuto un ventennio sciagurato in cui abbiamo visto la furbizia al potere e non solo in politica”. Eppure il livello di indignazione forse non è ancora sufficiente – altro che anti politica, è piuttosto un urgente bisogno di buona politica. Si è letto in questi gironi: “Se Fiorito si candidasse ad Anagni prenderebbe ancora migliaia di voti”: è questa un’altra conseguenza grave e un danno irreparabile, che persisterà nella comunità, causato proprio dalla corruzione dilagante: la perdita di senso morale individuale e collettivo. C’è un’altra aggravante: sono stati immessi da questa classe politica negli organi amministrativi dello Stato, a tutti i livelli, una pletora di dirigenti e funzionari, se non farabutti, incapaci o mediocri, che resteranno nelle aziende pubbliche e private ancora per molto tempo e potrebbero continuare ad arrecare danno. Per questo è necessario introdurre un serio controllo, a tutti i livelli, che quanto meno garantisca trasparenza sulle azioni di chiunque amministri il bene pubblico e le pubbliche risorse. Siamo inoltre di fronte, ancora una volta, ad una anomalia che non dovrebbe esistere in una democrazia: la magistratura deve intervenire non solo per fare ciò che la politica non ha fatto, ma per rimediare ai mali prodotti. Contro la corruzione serve uno scatto in più: la classe politica deve intervenire non perché indotta dalla magistratura ma per la necessità di ripristinare un forte senso di etica pubblica. Per non cadere nel qualunquismo o nel populismo è opportuno riconoscere che ci sono livelli diversi di responsabilità ma non c’è assoluzione per nessun partit quanto più si cercano attenuanti o giustificazioni tanto più cresce il livello di indignazione e di sfiducia della gente. C’è, è vero, la responsabilità diretta e personale ma c’è anche la colpevolezza di chi non ha denunciato quello che stava accadendo quando avrebbe potuto e dovuto farlo, ma è stato connivente e ha goduto di privilegi e arricchimenti ingiustificati. Non si sarebbe dovuto aspettare l’intervento riparatore della magistratura ma si sarebbe dovuto capire che, come dice Ghetti: “troppo personale politico è impegnato e troppe persone vivono di politica”. Questo vorrei che avesse fatto la sinistra del mio Paese, una riforma morale come asse centrale della proposta di ricostruzione dell’Italia, che avesse riconosciuto grave e avesse svelato a noi cittadini, non oggi ma ieri, quello che stava accadendo. Ora però mi aspetto da tutti i partiti politici che abbiano ancora un barlume di quella dirittura morale che i loro predecessori ebbero quando costruirono, mattone su mattone, faticosamente, la Carta Costituzionale, un segnale forte, inequivocabile: tutti coloro che,in qualche modo, direttamente o indirettamente, sono coinvolti in questioni di malaffare o di immoralità, indipendentemente dalle azioni che compirà la magistratura, non siano più candidabili e non abbiano più alcun incarico pubblico. Inoltre io chiedo alla sinistra un programma chiaro in cui si punti su tre/quattro obiettivi fattibili che rispondano davvero all’esigenza della comunità: ordine nella finanza pubblica, lavoro, cultura, sanità. La coalizione dovrebbe essere formata attorno a questo programma, non sul fascino o la retorica o l’età anagrafica degli individui. Noi cittadini stessi, per non essere ancora una volta “un volgo disperso che nome non ha”, dobbiamo, ciascuno all’interno dello schieramento politico in cui si riconosce, chiederlo a gran voce! Sarebbe un bel segnale, da parte dei partiti, che forse potrebbe contribuire a ricostruire credibilità e a d avvicinare alla politica. La democrazia si fonda su dignità umana e giustizia ma è indispensabile anche la responsabilità. E’ facile comprendere poi quanto danno arrechi all’economia del Paese il quadro che emerge da questa situazione. Diceva Rampini in un’intervista: “Le immagini dei festini ed altro sono comparse in tutti i giornali e telegiornali del mond perché, ad esempio, il popolo tedesco dovrebbe sentirsi in dovere di aiutarci, perché un imprenditore dovrebbe venire ad investire in un paese così corrotto?”. Sostiene la Corte dei Conti: “chi evade ruba anche sul welfare: 46 miliardi di IVA e IRAP si perdono ogni anno”. E allora ci si chiede quale politica economica è stata fatta negli ultimi vent’anni? Quale progetto di sviluppo è stato pensato per il nostro Paese prima che arrivasse la crisi mondiale? I governi che si sono succeduti (con poco ricambio a dire il vero), i ministri deputati si sono mai curati della ALCOA della Sardegna di cui era noto lo stato di precarietà, e dell’ILVA di Taranto e della FIAT? Hanno mai pensato ad un progetto economico che salvaguardasse le nostre eccellenze, che, sono quelle che un poco ci proteggono anche oggi, l’agro-alimentare, il manifatturiero? Hanno mai avuto il coraggio che gli altri Paesi, Germania in testa, hanno avuto di investire seriamente e fortemente sulla ricerca, sulla cultura, sul turismo, avendo anche il coraggio di smantellare i carrozzoni e reinterpretarli? Nel convegno dell’associazione “Paese Nuovo” si è sottolineato come purtroppo, al di là di numeri confortanti, permane soprattutto in alcuni comparti della nostra economia una crisi che si misura sull’alta percentuale di disoccupazione, specialmente giovanile e delle donne, che si ripercuote inevitabilmente sulla condizione della popolazione del nostro territorio, sicuramente meno drammatica rispetto ad altri ma non immune da difficoltà. Si è in particolar modo sottolineato l’aumento delle persone che fanno ricorso sempre più frequentemente ad enti ed associazioni di sostegno e di aiuto, il calo dei consumi, la crescita dell’individualismo che mette a rischio anche l’alto livello di coesione e di solidarietà sociale che è sempre stata una caratteristica propria della nostra comunità. Tutto questo deve farci riflettere sul fatto che non ha più senso parlare di un’economia locale avulsa dal contesto internazionale. L’ha detto molto bene Edgard Morin: “La globalizzazione è per il mondo di oggi lo scenario migliore, ma anche il peggiore. Il migliore, perché offre a tutti le condizioni di base per il proprio destino, il peggiore perché, in mano a una finanza senza regole, può addirittura ingenerare, in comunità molto vaste, addirittura reazioni di paura per il futuro. Il mondo globale è potente, ma i politici non hanno la cultura necessaria per reagire. Basterebbe che prestassero attenzione ai piccoli segni emergenti, per imporre di nuovo la loro supremazia”.