di Riccardo Caporali
Comincio con una citazione canonica: «La ragione fondamentale per cui in alcune epoche della mia vita ho avuto un qualche interesse per la politica, o, con altre parole, ho sentito, se non il dovere, parola troppo ambiziosa, l’esigenza di occuparmi di politica […] è sempre stato il disagio di fronte allo spettacolo delle enormi diseguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale, tra chi possiede potere, vale a dire capacità di determinare il comportamento altrui, sia nella sfera economica sia in quella politica e ideologica, e chi non lo ha».
È un passo dal fortunato Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, pubblicato da Norberto Bobbio nel 1994 (Donzelli editore, p. 86). E un passo che mi pare ancora emblematico, perché, a stringere, rappresenta come l’intera anima della Sinistra: tutto il suo corpo e il suo spirito, la sue ragioni e le sue passioni; due pagine dopo, del resto, lo stesso Bobbio (il Bobbio che a me piace di più: quello verticale, che scava nella profonda opacità dei princìpi, ben oltre l’incedere troppo lineare e classificatorio di molte sue sistemazioni) stabilisce esplicitamente che cosa sia questo, che chiamo avere un’anima: «Non c’è ideale che non sia acceso da una grande passione. La ragione, o meglio il ragionamento che adduce argomenti pro e contro per giustificare le scelte di ciascuno di fronte agli altri, e prima di tutti di fronte a se stessi, viene dopo. Per questo i grandi ideali resistono al tempo e al mutar delle circostanze e sono l’uno all’altro, ad onta dei buoni uffici della ragione conciliatrice, irriducibili».
Categorie imprescindibili, reciprocamente irriducibili ma entrambe costitutive della politica nell’età moderna, Destra e Sinistra prima di avere ragione hanno passione. Nel suo recente Perché ancora Destra e Sinistra (Laterza, 2010), Carlo Galli contribuisce a chiarire questo aspetto. La modernità è la fine della politica concepita in quanto iscritta dentro un Ordine dato: un ordine di derivazione teologica (voluto da Dio), metafisico (dedotto da un principio trascendente), naturalistico (iscritto dentro leggi naturali invalicabili e costanti). La politica moderna è «radicale indeterminatezza», energia operante nel caos, nel disordine di un mondo che mai potrà veramente e interamente ricondursi «a misura d’uomo». Omogenee per natura (nel principio del loro essere, sempre situato e contingente, estranee alle logiche assolute della Verità), Destra e Sinistra restano totalmente altro, l’una rispetto all’altra, quanto alla loro anima, quanto al modo di affrontare il disordine del mondo. Ed è qui che cruciale si presenta il discrimine dell’uguaglianza, per Bobbio come per Galli. Non reggono altre alternative: non libertà-autorità (esperienze totalitarie avendo caratterizzato sia la Destra sia la Sinistra); non collettività-individuo (nazismo e fascismo non potendosi certo iscrivere nelle esperienza di una Destra «individualista»); non tradizione-progresso (a Sinistra affacciandosi e consolidandosi, proprio in questa fase, prospettive fortemente, appassionatamente orientate sulla «decrescita»). È l’uguaglianza a marcare la differenza, tra Destra e Sinistra. La Destra maneggia sempre, in ultima istanza, un pensiero della difformità, della dissonanza: declinato via via in base alla discendenza, all’onore, alla potenza, alla ricchezza, al merito, al carisma. La Destra rimesta il caos, plasmabile e riplasmabile infinitamente ma pur sempre come tale, come caos: nell’eterno incedere dei suoi dislivelli, dei suoi ammanchi, dei suoi scoscendimenti. La Sinistra cerca di orientare e superare il disordine sulla bussola di «valori inderogabili» (Galli), primo fra tutti, appunto, quello dell’uguaglianza, che più si oppone alle sproporzioni, che più contraddice i saliscendi del caos. Mille poi, com’è ovvio, le effettive varianti pratico-politiche, solo molto approssimativamente riconducibili all’alternativa riforme-rivoluzione. Regge ancora, questa distinzione, all’urto del mondo attuale? Da più parti lo si nega, come se il mondo (il disordine) attuale fosse ormai oltre l’epoca moderna, tale da non potersi più rappresentare sulle coordinate del bipolarismo Destra-Sinistra. Questa tesi, però, viene soprattutto dalla Destra, la stessa che, solo per stare all’Italia, negli ultimi vent’anni, sulle macerie della cosiddetta “prima repubblica”, ha costruito una nuova egemonia politica, culturale e perfino (e prima, molto prima) di costume. La tesi della fine delle “ideologie” (qualcuno, a suo tempo, si azzardò a parlare banalmente di fine della storia, conquistandosi una fortuna del tutto immeritata) segna ancora, più che altro, i fasti della ideologia prevalente.
La distinzione, in realtà, tiene ancora, e proprio intorno ai problemi cruciali del nostro tempo, dimostrandosi ancora in grado di capirli, di spiegarli, di interpretarli. Solo che la si voglia consultare. Solo che si voglia, solo che si creda nella possibilità di costruire un’alternativa politica e culturale alla Destra.
Qualche esempio, di diversa portata. Che si tratti dei rapporti tra politica ed economia (e del senso stesso, dello spessore politico del lavoro), o dei problemi dell’immigrazione, o di funzioni socialmente essenziali, come quelle della scuola, della sanità, della cultura, quando non della stessa natura, della stessa sostanza della democrazia: la Sinistra non può far valere nessuna superficiale ricetta, naturalmente, tanto meno tra quelle tradizionali del passato; e tuttavia la passione dell’uguaglianza può mettere in moto tante ragioni vecchie e nuove, capaci di dare una prospettiva e un significato diversi da quelli oggi vincenti, perché ispirate al senso del primato degli uomini contro le gelide, oggettive dinamiche del Dio-mercato (un feticcio non meno ideologico di qualsiasi onnicomprensiva Programmazione); o perché segnate dalla solidarietà e dalla legalità, rispetto alla paura e alla discriminazione; o perché ispirate alla difesa della democrazia parlamentare contro il populismo, o dello Stato laico contro nuovi fondamentalismi. Nessuna predica, e tanto meno utopie. Ma, per così dire, intransigente massimalismo nei princìpi e sagace, efficace duttilità nelle pratiche politiche. Pensieri in grande e azioni anche in piccolo, purché coerenti. E allora, a livello locale, la lotta al razzismo può passare attraverso il diritto di voto ai cittadini stranieri alle elezioni di quartiere, o l’individuazione di un’area per un luogo di culto, o la partecipazione sociale ai processi educativi nelle scuole materne. E allora, le attuali difficoltà per un Comune a gestire servizi essenziali non possono risolversi nella sottrazione di quegli stessi servizi alla «discussione pubblica», rinchiudendone gli spazi di direzione e decisione nei gabinetti dei managers e dei consigli di amministrazione. E allora, più in generale, un’azione politica ispirata all’uguaglianza si sforzerà (anche solo per proposte emblematiche, per campagne elementari) di riproporre il lavoratore prima del lavoro, facendo leva sulla contraddizione fortissima tra il tempo biologico (che ha i suoi ritmi, le sue lentezze, i suoi rifiati) e il tempo tecnologico, che sgretola, che consuma: il ritmo di vita imposto dal rapporto tecnica-mercato ha un costo umano devastante in termini di insicurezza sociale, di impossibilità di programmare un’esistenza nell’incertezza, dentro una società nella quale non si può fare altro che correre con tutte le proprie forze – è un’immagine di Mario Tronti – per restare sempre nella stessa posizione. Insomma, pratiche dell’uguaglianza e della solidarietà: sì, anche solo per proposte emblematiche, per campagne elementari. Contro la nevrosi collettiva, ultima versione del caos.