di Franco Pedrelli
Quella in corso è una trasformazione diversa da quelle lineari a cui eravamo abituati, procedevano con passo eguale, sapevi quando sarebbero giunte. La trasformazione digitale invece è del tipo esponenziale, la vedi lontana, poi un attimo di distrazione e ti ha travolto, senza lasciarti il tempo di far nulla. A Cesena ci prepariamo a voltarci un attimo con la scadenza delle prossime amministrative del 2019, se possibile, non facciamoci travolgere. È la Quarta Rivoluzione Industriale, quella digitale, della stampa 3D e dell’Internet delle cose e tanto altro. È quella oggetto del piano nazionale Industria 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
Sul tema si inserisce il recente, e utile, incontro locale di Rete PMI e Confartigianato, il primo sicuramente di tanti altri. Relatori di spessore, da Franco Mosconi, Professore di Economia e Politiche Industriali dell’Università di Parma, alla Camera di Commercio Italo Tedesca, per finire con l’On.le Lorenzo Basso, Membro della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati e relatore del Piano Industria4.0.
A livello nazionale la constatazione che è sotto agli occhi di tutti noi: la scomparsa della grande industria, la presenza di un nocciolo duro di alcune migliaia di medie imprese con un buon livello di export, il resto costituito da micro o piccole imprese, che in gran parte lavorano come subfornitrici delle prime. Le PMI, quel 95% del sistema imprese, emblema dell’Italia in termini di saper fare, quel Made in Italy tanto apprezzato, di adattabilità, anche se occorre prendere atto che, oggi, l’aspetto dimensionale ha, ahimè, il suo peso, ovvero “piccolo è bello” appartiene al passato, al massimo possiamo parlare di grandi reti di piccoli. L’Emilia Romagna presenta un’ottima copertura del sistema imprese lungo il “cordone ombelicale” della Via Emilia, ma questo non basta più, l’Italia deve superare la cultura degli egoismi, essere futuri protagonisti attivi significa lavorare tutti assieme, in sinergia, Stato, EE.LL., Università, Finanza, sistemi imprenditoriali. Ecco, l’Italia dei campanili non ha più spazi nel grande gioco globale, razionalizzare significa aumentare in dimensioni e capacità di incidere, per esempio come può un lembo di terra quale l’Emilia Romagna(paragonato al contesto europeo) avere ben 4 università. Dall’Università passare al resto è immediato e facile, facile dirlo, ma poi non attendere siano gli altri ad agire. Le future sfide che incombono richiedono competenze digitali a 360°, di ingegneri certo, ma anche di medici, bancari, insegnanti, sino agli operai: dai trentenni (i famosi Millennials) a “scendere” non è un problema, sono nativi digitali, il problema sono “il resto”, quelli a “salire”.
Se l’Italia è la seconda potenza industriale europea, è obbligo confrontarsi con la prima, la Germania, uno stato per noi idilliaco: burocrazia ridotta ai minimi termini, amica delle imprese, perché attori del benessere; cultura non solo del lavoro ma anche della sfera familiare; pianificazione aziendale su 20anni come norma; propensione al mettersi in gioco imprenditorialmente, aiutato dal sistema finanziario e dalle stesse imprese.
Un paese, la Germania, che poco lascia all’improvvisazione e difatti alla Quarta Rivoluzione Industriale, quel progetto Platform Industrie 4.0, ci si è messa di buona lena dal 2007, partendo dalla definizione degli standard di interoperabilità: integrazione di sensori e attuatori, comunicazione e connettività, funzionalità di immagazzinamento dei dati e loro scambio, monitoraggio, servizi IT correlati, business model sui prodotti, elaborazione dati in produzione,comunicazione tra macchine (M2M), connessione aziendale con la produzione, infrastruttura ICT in produzione, interfaccia uomo-macchina, efficienza nei piccoli lotti di produzione. Una piattaforma alla quale le aziende possono collegarsi on line, scambiarsi dati e servizi, in modo uguale per tutte, venendo a creare un unico sistema impresa. Sulla robustezza della piattaforma gioca il modello tedesco pubblico-privato, a cui partecipano aziende leader internazionali quali Bosch, SAP, Siemens, Wittenstein and Fraunhofer, con l’obiettivo comune di costruire il forte brand Industrie 4.0. Ecco, appare il quadro d’insieme, la prima potenza industriale europea, col suo pragmatismo teutonico ha costruito la piattaforma con cui competere nell’arena internazionale, si presenta non come somma di tante aziende, ma come un’unica grande e integrata azienda. Suo compito ora è allargare la platea europea, aggregare quante più società possibili, nell’ottica di meglio competere con americani, cinesi, asiatici. Non per niente le analisi comparative in Germani sono state svolte verso USA, Cina, Giappone, Sud Corea e UK. L’Italia non c’è, non viene vista come potenziale concorrente, ma quale paese che potrebbe aggregarsi alla piattaforma a conduzione tedesca, nell’ottica di costruire la sfida dell’Europa verso gli altri continenti. In questo contesto, l’incontro tenuto assume i contorni di una “vendita in franchising” del modello tedesco, con le nostre PMI nel ruolo di potenziali acquirenti, ma chissà se queste ultime l’avranno realmente compreso?
Al pragmatismo tedesco gli italiani hanno sempre contrapposto la giocosa fantasia, non potevamo smentirci certo proprio ora col Piano Industria 4.0, messo a punto dalla cabina di regia del MISE. La base parte dal superamento dei modelli dei distretti, sostituiti da poli d’aggregazione attorno alle medie imprese, novelle filiere. Il piano Industria 4.0 è stato messo a punto in 6 mesi, con visite frequenti in Germania, confronti con gli stakeholder italiani, in pratica possiamo dire che si è preso a base Industrie 4.0 tedesco, adattandolo alle specificità italiane. In un paese regno di gelosi campanilismi, e di grandi appetiti familisti, ne è conseguita quale prima necessità assoluta quella di creare una “governance”, cioè il governo del cambiamento, unitamente alla diffusione della consapevolezza della rivoluzione in corso. Il ritardo dell’Italia è grande, manca l’infrastruttura, ad iniziare dalla fibra ottica, per la quale è stato chiesto al Governo di rivederne i piani di diffusione, dando priorità, finalmente, alle imprese; ma ancora più manca la consapevolezza di quel che accadrà. Da troppo tempo carenti di una politica strategica industriale nazionale, siamo impossibilitati a convergere su forme di standardizzazione tecnologiche, per cui abbracciare logiche di neutralità diventa un obbligo (ovvero, ciascuno faccia come ritiene più opportuno), che a parole sembra bello, nella pratica significa che ogni impresa dovrà adattarsi alle diverse possibili piattaforme dei loro clienti, con aumento della complessità gestionale, ed operativa, quindi di costi, che si traduce in perdita di competitività. Se è vero che il Made in Italy ha ancora una grande attrattiva, dirselo suona però più come fattore scaramantico che vera assicurazione. In questo contesto si cala l’azione del MISE, con contributi al rinnovamento per prepararsi alla Quarta Rivoluzione Industriale, che però solamente una fascia di medie imprese potrà beneficiarne, le altre PMI ferme alla comprensione del complesso e non semplice contesto.
Sfide importanti per le PMI, che da sole non possono affrontare, con valenze di carattere culturale di cui non posseggono competenze. Il rischio è di essere impotente di fronte a ciò che incombe, di rifugiarsi nell’atavico strumento imprenditoriale: un maggiore aiuto da parte del Governo di quanto offerto sinora.
Che dire, la Quarta Rivoluzione Industriale non è qualcosa di relegato nella fabbrica, oggi il concetto di produzione molto leggero, letteralmente etereo, non più confinato dentro ai muri, ma in rete, dentro alla rete delle reti che è internet, che prosegue nella società estesa tramite gli oggetti dell’internet delle cose, per formare quei nuovi modelli sociali che chiamano smart city, di cui vedremo presto anche in Italia i primi modelli, con la prossima diffusione delle nuova tecnologia trasmissiva 5G (vedi Torino, Milano, Prato, L’Aquila, Bari e Matera), la stessa che rivoluzionerà tutti i servizi di rete, videosorveglianza compresa.
Conclusione, Cesena è un puntino nel contesto generale, per chi ci abita e lavora è una grande cosa, ancora più grande se scalata a livello Romagna, regione Emilia Romagna e così via. Ma anche il piccolo, pur nel suo ambito più nascosto, sarà travolto dalla grande rivoluzione, fare le prove di eliminare gli egoismi è una necessità già oggi, un obbligo domani, quando purtroppo potrebbe essere troppo tardi. Serve lavorare assieme, senza protagonismi di alcun genere, dove obiettivo primario è l’inclusione lavorativa e sociale dei giovani, quei Millennials a cui non occorre spiegare la Quarta Rivoluzione Industriale, ci sono nati. Gli enti pubblici debbono mutare paradigma, l’abbattimento della burocrazia deve essere il loro mantra quotidiano, imprese e cittadini non soggetti da controllare per definizione, ma da aiutare con la semplificazione di normative e leggi. All’ente pubblico si richiede l’importante ruolo di catalizzatore, di quel lavorare assieme sul territorio, per il territorio, col territorio, svestendosi del ruolo di dominus tenuto sinora.