di Giampiero Placuzzi
Ildibattito sulla “metropoli della Romagna”, che con l’avvio dell’iter in regionesull’approvazione dei nuovi assetti istituzionali si è acceso nel territorio,si insinua in una fase di grande precarietà e confusione dell’architetturaistituzionale decentrata del nostro Paese: l’eliminazione delle Provincesenza ancora un minimo di chiarezza sulle deleghe e sulle risorse economiche adisposizione delle Aree Vaste; la legge Delrio che rischia di creare conflittitra le città metropolitane e le Regioni stesse; la costituzione di Unioni diComuni disciplinata da una legislazione attuale farraginosa e pocoincentivante (e ciò spiega perché il numero delle Unioni costituite è ancoracosì limitato); la riforma del titolo V della Costituzione che, viste purtroppole premesse, rischia di rivelarsi un intervento superficiale senza andarealla radice dei problemi.
Dalcanto suo il sistema amministrativo locale, con particolare riferimento alleRegioni, almeno fino ad ora, si è rivelato pressoché fallimentare in Italia. Inun recente articolo sulla crisi delle Regioni, conclamata inesorabilmente dalleultime sconsolanti vicende (scarsa affluenza alle urne, vicenda degli“impresentabili”, governatori di sinistra candidati con la destra, mafiaCapitale e potremmo continuare), Sergio Rizzo notava che “ciò che è peggio, difronte a questa situazione il silenzio dei partiti è assordante. Nessuno vuoleaprire gli occhi, riconoscere la crisi drammatica in cui è precipitata unapolitica locale mediocre, sempre più concentrata esclusivamente nellasopravvivenza del proprio potere quando non affogata nella corruzione”.
Un’analisi in effetti spietata e non declinabile automaticamente alivello locale, ma che comunque offre spunti per una seria riflessione edautocritica.
Fatta questa premessa generale, fondamentale perchéè in questo scenario che si innesca il ragionamento sulla cittàmetropolitana, passiamo al merito.
Primo punto: la sua reale fattibilità, per non rischiare di ragionare più suun’idea che su un fatto realmente concretizzabile.
Occorre dunquecapire bene se c’è la reale possibilità di creare questo nuovo strumento e inche cosa esso differisce dalla Province di Area Vasta su cui si è ragionatofinora sulla base del decreto Del Rio. Insomma: c’è veramente la possibilitàper farla nascere?
Questo chiarimento,ovviamente, è preliminare a tutto il resto.
La prima domanda non può che essere: che cosa ci siprefigge di ottenere con la “metropoli della Romagna”? Se la creazione diquesto organismo avesse solamente uno scopo difensivo per arginare ocontrastare lo strapotere della futura Bologna metropolitana da parte dei“figliastri negletti” romagnoli e il rischio di un’ulteriore penalizzazionedelle periferie, diciamo subito che il progetto avrebbe un respiro corto.
Ancora: se la metropoli della Romagna fosse solo unnuovo contenitore, lasciando invariati gli attuali livelli istituzionali, ilrisultato sarebbe quello di aumentare i costi ma senza conseguire alcun realevantaggio. Questo, di sicuro, è ciò chenon serve.
Sgombrato il campo da ciò che la città metropolitana non deve essere, quello che serve invece – a nostro avviso – è un progetto politico che, sulla base diconclamate identità storiche, culturali e sociali dei nostri territori,definisca chiaramente gli obiettivi del nuovo assetto istituzionale.
Obiettivi che debbono essere condivisi dairomagnoli e debbono avere innanzitutto due linee maestre: diminuire i costi digestione della cosa pubblica e conferire maggiore efficienza ai servizidestinati a cittadini e a imprese.
Il progetto di città metropolitana della Romagnadeve quindi ridefinire e ridurre i centri di potere a livello locale, ma altempo stesso avere la capacità di mantenere un sistema di sportelliamministrativi vicini ai cittadini e di concentrare le funzioni di back officee i livelli decisionali di area vasta.
Bisogna essere consapevoli, dunque, che questastrada comporta la condivisione di strumenti di gestione amministrativa, comequello della pianificazione territoriale e dei regolamenti edilizi.
In una ricerca di qualche anno facommissionata da Confartigianato di Cesena alla Facoltà di Architettura diCesena, emerse a questo proposito uno sconfortante quadro di estremaparcellizzazione, che ben conoscono e mal sopportano i nostri imprenditori:ogni Comune ha infatti il proprio regolamento edilizio, diverso da quello delComune vicino. Questa giungla normativa, naturalmente, non potrà esserecompatibile con la prospettata metropoli della Romagna. Con la quale, altroesempio, si dovrebbero affrontare in maniera uniforme le politiche della costaromagnola, in termini di sviluppo turistico e di infrastrutture necessarie. Lostesso vale per le scelte strategiche come la viabilità (la recentecancellazione della E55 è un vulnus peril nostro territorio), le fiere e gli aeroporti. E ancora: la cittàmetropolitana presuppone una politica unitaria su mobilità del personale,uniformità di procedure, risorse informatiche, politiche della montagna e quotedel verde, politiche di sviluppo economico, sistema culturale con la rete deiteatri e la promozione di eventi sotto l’egida del marchio doc Romagna.
Essaassorbirà le funzioni in capo alle attuali province retrocesse ad enti disecondo livello, ma non potrà essere un mero Provincione. Serve un respiro piùalto e un modo nuovo di fare politica, che costringe a uscire dai propri steccati. La forma mentisdovrà diventare “Pensare Romagna” .
Gliamministratori saranno pronti a rinunciare al “campanile” in favore di unavisione romagnola che sia capace di valorizzare le miglioriattitudini delle comunità locali?
La domanda è legittima, specie dopo aver constatato che i primi modelli praticati di area vasta romagnola inrealtà non sono stati certo del tutto incoraggianti. L’Ausl unica fino ad ora,ad esempio, non ha generato risparmi,non pare avere semplificato la governance e ha dato adito a preoccupazioni per la diminuzione qualitativadi servizi sanitari.
Nel settore del trasporto pubblico, con StartRomagna, la situazione è ben peggiore: non si è verificata alcunaintegrazione tra i sistemi di gestione nelle tre preesistenti Province, i costidi produzione non sono diminuiti e i servizi ai cittadini sono peggiorati.
Perquel che concerne la gestione dei rifiuti, con la divisione dei Comuni della nostraProvincia sulla modalità in house o sul bando pubblico, con Cesena e Forlì sudue opposti versanti non è certo un esempio di territorio integrato
Insomma: le basi da cui si parte non sono solidissime e il lavoro da fare per far nascere la città metropolitanadella Romagna è tanto e postula un nuovo approccio culturale.
Ilnuovo assetto dovrà essere costruito dal basso attraverso una solida visionecomune da parte della classe dirigente locale e una vera unità di intenti finda questa delicata fase nella quale l’Assemblea legislativa regionale haavviato l’iter di approvazione della riforma del sistema istituzionaleregionale: se la Romagna crede nel progetto di metropoli, gli amministratorilocali devono esercitare il loro peso politico per ottenere uno“strumento” istituzionale che abbia le caratteristiche idonee perfavorire una governance condivisa dei nostri territori.
Un ultima considerazione. Il tema della metropoliromagnola non riguarda solo l’assetto istituzionale, ma pone una sfida anche atutti gli attori economici dello sviluppo del territorio, da quelli di governopubblico come le Camere di Commercio agli stessi sistemi associativi. Lapartita riguarda tutti ed è una sfida per gli attori politici economici esociali della Romagna che attende risposte nei fatti, prima che nelle parole.