di Luigi Tivelli
Mentre qua e là dai vari partiti, sulla scia di aspetti di politica contingente, emergono più o meno fondate liste di priorità di riforme, vale la pena ricordare che non a caso dai più svariati sondaggi emerge invece che la prima priorità che sta in cima alle preoccupazioni degli italiani è la disoccupazione. Ed è questa, soprattutto, man mano che gli effetti dell’ultima fase della crisi si scaricano proprio sull’occupazione, la questione su cui governi e partiti si confrontano negli altri paesi europei. Se guardiamo ai dati recenti emerge però per il nostro Paese una peculiarità della questione occupazionale. Mentre il tasso di disoccupazione complessiva si attesta all’8,6 per cento (però al 12,7 per cento nel Mezzogiorno), a fronte di una media del 10 per cento nell’Europa a 27, in termini opposti si presenta invece la questione della disoccupazione giovanile. A fronte di una media nell’Unione europea che si attesta attorno al 21 per cento, il dato più recente evidenzia che in Italia nella popolazione sotto i 25 anni (ovviamente ben più pesante al Sud che al Nord) la percentuale di disoccupati ammonta ben al 26,5 per cento, cioè quasi sei punti sopra la media europea. Ebbene, ciò che più colpisce è che mentre la questione della disoccupazione giovanile è al centro dell’attenzione delle forze politiche in molti altri paesi europei, che pur annoverano tassi ben inferiori ai nostri, nel nostro Paese le priorità sembrano ben altre, e il tema del presente e del futuro dei giovani è sostanzialmente escluso dal dibattito pubblico. Eppure i giovani sono stati i più colpiti dalla crisi. Come hanno evidenziato sia l’OCSE che la Banca d’Italia, nell’ultimo anno la larghissima parte delle perdite nette di posti di lavoro si concentrano in Italia nel bacino degli occupati atipici e temporanei, e in quel bacino la percentuale dei giovani al di sotto dei trentanni costituisce circa il 60 per cento della popolazione. Siamo quindi davanti ad una emergenza che richiederebbe risposte e terapie insieme strutturali e tempestive, perché i giovani sono il giacimento e il patrimonio fondamentale per ogni società. Un’emergenza che si presenta in termini ancora più gravi perché il nostro vetusto sistema di ammortizzatori sociali (che tale rimane anche se si è aperto il varco degli ammortizzatori in deroga) è di per sé totalmente inidoneo a tutelare i lavoratori flessibili, e, quindi, una larga parte dei giovani lavoratori. Ogni tanto riecheggia la parola magica flexsecurity, ma ben pochi si dedicano ad apprestare strumenti e modelli di governo del mercato del lavoro mirati a garantire la tendenziale sicurezza del lavoro, nel quadro della flessibilità che i nuovi lavori vanno sempre più acquisendo.Basterebbe invece guardare al modello danese, in cui il transito dei giovani (ma non solo di essi) attraverso fasi provvisorie di disoccupazione è accompagnato da adeguate forme di sostegno al reddito e pilotato, anche tramite azioni di formazione e riconversione professionale, verso nuove occupazioni. Al di là della frontiera tra mondo della scuola e dell’università e mondo del lavoro (purtroppo per molti tanto difficile da valicare, soprattutto nel Mezzogiorno) non c’è più infatti il posto fisso a vita, ma ci sono i lavori, che spesso sono flessibili ma non per questo dovrebbero essere solo precari. Il nostro mercato del lavoro invece si configura ancora come una sorta di fortezza, in cui sono asserragliati lavoratori ultraquarantenni ipertutelati, o che, in ogni caso, possono godere della Cassa integrazione.Una classe politica e una classe dirigente serie dovrebbero essere, oggi più che mai, impegnate ad aprire varchi e stendere ponti levatoi, perché la fortezza si apra all’esterno e il passaggio nel mondo del lavoro possa essere finalmente accogliente anche per i giovani. Altrimenti, l’attraversamento della frontiera dalla scuola al lavoro, e il permanere al lavoro nella terra di confine, continuerà ad essere garantito solo a quei giovani che possono avvalersi di “contrabbandieri all’italiana”, come la raccomandazione e la lottizzazione, a prescindere dai curriculum e dai meriti personali.