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La crisi ha toccato tutti: imprese, cittadini e Comune

     Giugno 28, 2017   No Comments

di Orazio Moretti

Ho raccolto volentieri l’invito a partecipare all’iniziativa sulla crisi, organizzata da Denis Ugolini nell’ambito della “festa laica e democratica”, perché un sano, leale, e sincero confronto, è il modo migliore per stabilirne le cause, e possibilmente indicarne i rimedi. Vero è che, pur non trattandosi di una “crisi locale”, non si può stare fermi aspettando che passi, e guardare rassegnati alle aziende che chiudono, ai cittadini che perdono lavoro, ai giovani che non lo trovano, e magari consolandoci del fatto che altrove va paggio che da noi. Ma per affrontarla “consapevolmente”, non possiamo trascurare la natura della crisi, dato che è vero che non sono tutte uguali; perché non è nata a causa delle aziende Italiane, non è nata a causa di alcuni settori dell’economia, non è nata a causa “dell’Italia privata che lavora”. Nel nostro Paese, quella che scontiamo oggi, è in gran parte “una crisi determinata dal rigore necessario/obbligatorio di risanare i conti pubblici”. Non è per fare polemica politica, ma sarebbe un errore non ricordare che, mentre Berlusconi negava la crisi, e Tremonti parlava dell’Italia come un Paese fra i più ricchi d’Europa, “i due” confessavano che lo Stato era ormai povero, ma con i risparmi e i depositi bancari degli italiani si coprivano i debiti. In sostanza è una crisi determinata principalmente da un fatto oggettivo, provocata da anni di scelte politiche non fatte o sbagliate, rispetto alle quali si è anche reiterato il reato, ovvero si è ammesso troppo tardi, che la crisi c’era da tempo, e la bancarotta era già alla porta. Il risultato è che oggi, e per un domani non breve, il sistema Italia è condannato a coprire quei debiti, attraverso tanti e tali sacrifici che “non tutti gli italiani possono sopportare”. Quando al rigore necessario per risanare i conti, e alla ormai insufficiente leva dei tagli, si aggiunge quella di una così alta pressione fiscale, la crisi si ribalta sulle imprese, sul lavoro, sulla quasi totalità delle famiglie, e si entra inevitabilmente in recessione. Registriamo dunque un aumento del numero di famiglie che entrano nella soglia di difficoltà, e un calo del consumo interno, destinato ad allargare sia le dimensioni che la durata della crisi. Da questa grave crisi non sono esclusi i Comuni, i quali, a causa della costante diminuzione dei trasferimenti Statali, non sono ormai più in grado di garantire i servizi, in particolare quelli primari e di buon livello, ai quali almeno qui da noi siamo ormai abituati. A Cesena, anche col bilancio 2012, abbiamo scelto di mantenere inalterato il livello dei servizi, in particolare sociali e scolastici, e abbiamo contenuto le imposte per le famiglie a basso reddito, ma non avendo i “grandi sprechi” da tagliare che hanno altrove, sarà dura farlo anche nel bilancio 2013. Ma dal mio osservatorio, per il ruolo che oggi occupo, l’aspetto che mi appare più preoccupante e inusuale, è la forte crisi dell’edilizia, soprattutto per gli effetti che produce su tutti! Non solo per le imprese del settore edile, e per l’indotto artigianale collegato, ma anche perché, a differenza di altri settori pur importanti, l’edilizia è fra le principali fonti di risorse per il Comune, senza le quali il livello degli investimenti e dei servizi rischia di venir meno per gli stessi cittadini! Peraltro, anche personalmente avverto un senso di frustrazione, poiché all’edilizia e all’urbanistica abbiamo dedicato una grande attenzione, fin dall’insediamento del Sindaco Lucchi e la sua Giunta. Infatti, con una serie di provvedimenti abbiamo semplificato le procedure, ridotto i tempi di rilascio dei Permessi di Costruire, facilitato l’assegnazione delle aree produttive in perequazione, approvato in soli tre anni una quarantina di Piani Urbanistici, e avviato l’insediamento di nuove aziende. Inoltre, intravista per le imprese la crisi anche nell’ottenere crediti, abbiamo contribuito a ridurre la loro esposizione finanziaria, eliminando le fideiussioni bancarie in tutti gli interventi di bioedilizia. Ma la questione “burocrazia e tempi”, almeno a Cesena, ormai non è più il problema principale, anzi, visto che rispetto ai Piani Urbanistici approvati, non sono neppure una decina quelli che hanno già avviato i lavori, proporremo al Consiglio Comunale di prorogare di altri 2 anni la validità delle autorizzazioni già rilasciate, per dare più tempo e respiro alle imprese. Oggi infatti, nella quasi totalità dei casi relativi a medi e grandi interventi, le imprese ci chiedono di avere tempi più dilatati, sia per iniziare, che per ultimare i lavori, mentre per gli interventi “minori o di comparti da ristrutturare” si stanno confermando i dati molto positivi dello scorso anno. L’impegno che invece abbiamo già preso, e che nonostante la crisi confermiamo, è quello di avviare il Nuovo Piano Strutturale, e sostituire l’attuale Piano Regolatore, che sta mostrando i suoi limiti, determinati dal radicale cambiamento fra le esigenze di oggi e quelle degli anni 2000. Limiti di tipo dimensionale, nel pianificare una quantità eccessiva di aree edificabili, sia residenziali che produttive, che il mercato non è più in grado di assorbire. Limiti legati agli indici fabbricabili, troppo alti nei comparti residenziali esistenti, e troppo bassi nei nuovi comparti, sui quali il costo delle urbanizzazioni pareggiano appena i prezzi degli alloggi. Limiti dovuti alla collocazione inadeguata delle aree edificabili, in certi casi allocate in zone carenti di connessione al sistema di depurazione, o alle reti di gas e acqua, e gravate da costi aggiuntivi. La somma di costi troppo alti, e di una domanda allora sovrastimata, e che oggi si sta esaurendo anche a causa di una crisi “generale”, impone l’abbandono dei parametri “quantitativi” seguiti dagli anni ‘80, e l’ introduzione di parametri “qualitativi” che rispondano meglio alla domanda reale. Occorre costruire meno, e costruire ciò che serve al mercato, altrimenti non faremmo altro che aumentare l’invenduto, ancora oggi in possesso di imprese già in difficoltà finanziaria, ma che rischia di diventare patrimonio delle banche nel caso le imprese fallissero. Senza un Nuovo Piano che sappia correggere una impostazione “classica e superata”, e che faciliti gli interventi sui fabbricati esistenti, rendendoli più sicuri sismicamente, e meno costosi sul piano energetico, rischiamo di uscire più tardi dalla crisi, e di non coglierne neppure la ripresa. In buona sostanza, come un po’ per tutti, anche per gli addetti ai lavori del sistema dell’edilizia è arrivato il tempo dell’innovazione.

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 28, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 28, 2017 @ 8:46 am
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