di Mattia Altini
I sistemi sanitari, ovunque nel mondo, da tempo si interrogano sulla propria sostenibilità. Una questione impellente che passa anche attraverso l’idea, con toni ed impegni più o meno spinti, di far partecipare la componente privata. Le modalità attraverso le quali coinvolgere tutti gli attori sono numerose; tra queste, quella nella quale non solo come Sistema ma come Istituto crediamo fermamente, si caratterizza per il lo spirito universalistico, con servizi che pongano a esclusivo centro il cittadino, al di là di qualsiasi rischio la presa in carico comporti. Se il dibattito sui modelli, per la complessità del tema e le differenze culturali tra vari sistemi, ovviamente non trova una soluzione corretta ed univoca, certamente rispetto alle esperienze che nella nostra Regione sono state fatte in ambito di collaborazione pubblico-privato (dal privato accreditato profit quello no-profit) hanno, a mio avviso, a proprio lustro una serie di interessanti risultati. Per quanto attiene l’Istituto Tumori della Romagna mi limito ad elencarne solo alcuni tra i più significativi: dalla progressiva assunzione della gestione di parti importanti della Rete Oncologica in Romagna (il Day Hospital onco-ematologico di Cesena e la Radioterapia di Ravenna, presidi riportati, in pochissimo tempo, su livelli di eccellenza e risposta ai bisogni dei propri bacini di utenza tali da abbattere le dinamiche di “fuga” dei pazienti verso altre sedi lontane) al riconoscimento del carattere di Istituto Scientifico da parte del Ministero della Salute doposoli cinque anni di attività; dall’imponente implementazione e aggiornamento della dotazione tecnologica diagnostica e terapeutica (basti citare I’acquisto di una Risonanza Magnetica Nucleare 3 Tesla, unica sul territorio romagnolo)alla creazione della prima Radiofarmacia accreditata Good Manifacture Practicein Italia, in grado di produrre radiofarmaci per uso diagnostico e terapeutico o di un Centro Risorse Biologiche per tessuti oncologici. Di pari importanza le attività di ricerca, spesso sviluppate in collaborazione con i più importanti centri al Mondo e che hanno portato a un riconoscimento progressivamente incrementale dei finanziamenti da parte del Ministero a fronte dell’attività svolta (+30% nel2015). IRST non ha trascurato di consolidare la propria vocazione a “vivere” l’esperienza di cura con gli occhi del paziente implementando progetti di umanizzazione tra cui la realizzazione di una stupenda struttura di accoglienza, la Casa San Giuseppe “Antonio Branca”, a supporto dei pazienti e dei loro familiari. Iniziative e risultati in gran parte possibili grazie al prezioso supporto economico dei soci privati e mai – nota non di minor importanza – a detrimento dell’equilibrio economico, anzi, segnalo il raggiungimento di utili di Bilancio nell’ultimo triennio (nel 2015, lusinghiero l’avanzo di3,8 milioni di euro; cifra totalmente reinvestita in cura e ricerca). Risultati che ritengo ingiusto slegare dall’innovativo modello IRST. L’Istituto Tumori della Romagna è nato, infatti, come progetto che, configurato come Società a responsabilità limitata, puntava e punta ad associare gli aspetti virtuosi del pubblico e del privato etico-sociale. Dunque, non solo Aziende sanitarie o Comune di Meldola, ma anche fondazioni bancarie e una realtà imprescindibile come l’Istituto Oncologico Romagnolo (IOR): ognuno è stato portatore di strumenti e visioni, ognuno ha lavorato per rendere IRST, dopo appena dieci anni di esercizio, tra i punti di riferimento in oncologia in Regione e in Italia. I presupposti che animarono l’idea e il progetto IRST oggi sono confermati più di prima. Lo dicono i numeri, lo confermano le analisi svolte dai più importanti centri e Università. Negli ultimi anni si è verificata una vera rivoluzione nel mondo dello stato sociale: la crisi dei sistemi di protezione sociale nei Paesi industrializzati sta producendo lo spostamento del baricentro dell’offerta verso forme di welfare society o welfare di comunità. La nuova configurazione del rapporto tra Stato e cittadini che si sta tentando prevede un passo ulteriore rispetto al già complesso concetto di sussidiarietà: non si tratta solo di coprire gli eventuali vuoti e lacune lasciate dal welfare pubblico ma di ragionare secondo categorie inclusive, d’insieme, dov’è il bisogno del cittadino il fulcro intorno a cui pubblico e privato dialogano. Alla luce del contesto e dei risultatimi parrebbe evidente la predominanza, nel modello IRST, delle luci rispetto alle ombre. Pertanto vorrei poter leggere il dibattito in atto in seno all’Istituto per l’uscita di un socio privato, come un’ulteriore opportunità di riflessione su come aumentare ancora di più la capacità di centrare gli obiettivi dell’amissione – cura, ricerca e formazione – dell’oggetto che con tanta fatica, impegno e affetto abbiamo contribuito a creare. Le partnership che si possono configurare e vanno nella direzione di potenziare la rete oncologica della Romagna e le attività di ricerca, sono tutte in perfetta linea con gli obiettivi dell’Istituto.