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Incontro con Roberto Balzani, Sindaco di Forlì. Idee, azioni, quasi un laboratorio

     Giugno 27, 2017   No Comments

di Denis Ugolini

Roberto Balzani è Sindaco di Forlì dal 2009. Il prossimo agosto compie 50 anni. È professore ordinario di Storia contemporanea. Si è formato alla scuola del prestigioso “Cesare Alfieri” di Firenze guidata da Giovanni Spadolini e Luigi Lotti. Ci conosciamo da tempo. Abbiamo condiviso una lunga militanza politica come repubblicani. C’è appena stata la visita del Presidente Napolitano a Forlì per i centocinquantanni dell’Unità d’Italia. “La visita del Presidente Napolitano ha segnato senza dubbio un punto di svolta in quello che un tempo si era usi chiamare lo “spirito pubblico” della città. Ha infuso un po’ d’orgoglio in una popolazione piuttosto depressa”. Come depressa? Perché? ” Anzitutto, per l’effetto, tardivo ma inevitabile, di un processo di perdita di status, che risale alla nascita della provincia di Rimini e alla costituzione della provincia anfibia con Cesena. Forlì, dove la base industriale appare più polverizzata e meno solida rispetto a Cesena e che, in fondo, sul potenziamento delle funzioni amministrative aveva sempre puntato, si può dire dal 1861 in poi, ha dovuto fare i conti con una realtà improvvisamente diversa, alla quale peraltro non era preparata: con il risultato rilevante di vivere questa rimodulazione della gerarchia urbana come una punizione o, peggio, come il prodotto di una congiura fra vicini invidiosi.” Ma subito insiste “ritengo che Forlì possa tranquillamente tornare ad avere un ruolo innovativo e anche di proposta: non per risarcirla di qualcosa, ma in quanto produttrice di idee più efficaci e più corrette per costruire un progetto in comune, nella nostra Romagna.” Lo incalzo. Sei Sindaco eletto a sinistra, ma non sei “famiglio”. Sei la novità nel panorama locale. Intorno a te si sono e si stanno suscitando attese, soprattutto da chi si attende buon governo amministrativo e non solo gestione del potere in stretta continuità con il passato. È immediata la risposta di Balzani. “Vivo la mia esperienza di Sindaco in una condizione di totale libertà. Che non significa autoreferenzialità, beninteso. E’ però vero che il percorso rettilineo che mi ha condotto, dalle primarie alla formazione della Giunta, alla guida della città di Forlì, ritengo sia, nel panorama nazionale dei centri con più di 100.000 abitanti, più unico che rar un caso limite, nel quale una disponibilità personale imprevista ha incontrato un sentimento diffuso a livello di massa, capace di coagularsi in movimento militante nel corso di una campagna elettorale. Detto questo, credo profondamente nella divisione dei ruoli – politico ed amministrativo – e penso che un sistema di partiti forte, in grado di filtrare la domanda sociale, economica e culturale, sarebbe augurabile e faciliterebbe assai il compito delle amministrazioni.” Ma la politica, in generale e anche ai livelli locali, è ridotta ai minimi termini. “Infatti. Questo ruolo è oggi assai compromesso dalla scarsa credibilità delle élite politiche e dalla riforma silenziosa ma continua delle basi materiali del potere in periferia. Il mondo dell’associazionismo economico, ad esempio, tende o costruire propri “pensieri generali”, al di fuori dalla mediazione partitica di un tempo e a configurarsi come un potente interlocutore anche al di là dei temi specifici dello sviluppo economico. Ciò avviene nel silenzio assordante dell’analisi politica: alcune strutture si muovono in una logica esplicitamente neo-corporativa, altre in una logica più simile a quella del gruppo di pressione. Mi pare che le amministrazioni siano per lo più poco attrezzate ad affrontare l’interlocuzione su questo piano, perché un tempo erano le maggioranze politiche a filtrare la “domanda” dell’associazionismo. Conseguenza: all’amministrazione non è più richiesta solo l’attuazione di un programma (quello elettorale), ma una vera e propria opera di progettazione strategica a medio-lungo termine, un tempo appannaggio del ceto politico. Per tornare al mio cas proprio la forza derivante dalla responsabilità che mi sono assunto, mi consente di agire in questo contesto come in un laboratorio. Certo, c’è il rischio del fallimento, che ovviamente ricadrebbe completamente sulla mia figura. Ma il prezzo della libertà è sempre molto alto.” Gli chiedo di sintetizzare quali sono allora gli assi strategici della sua proposizione di governo locale. “Partiamo dal generale per arrivare al particolare. Ci sono elementi di medio-lungo periodo, che devono trovare consenso presso altri attori territoriali, ed elementi che dipendono in via prevalente, se non esclusiva, dall’amministrazione di Forlì. Circa i primi, sono convinto dell’insostenibilità economica del sistema amministrativo italiano così com’è, prodotto della tradizione unitaria fusa con quella regionale dopo il 1970. Troppi costi, troppe negoziazioni, scarsa efficienza dei processi decisionali, troppa retorica, mediocre trasparenza. Nei prossimi anni, forse nei prossimi mesi, i comuni sotto i 10.000 abitanti faranno fatica a pagare gli stipendi ai dipendenti: non parliamo delle comunità montane, ridotte ad una stentata sopravvivenza; ma non andrà molto meglio per quelli più grandi. Per tale ragione, la mia idea – realizzabile senza cambiare la Costituzione e quindi senza il benevolo placet della classe politica romana – è semplicissima: partiamo dal basso, e cominciamo a fondere fra loro comuni, poi province, fino a ridefinire una geografia virtuosa dell’amministrazione. Tagliamo costi della politica, semplifichiamo la negoziazione, rendiamo più efficace e più trasparente il processo decisionale. Io voglio procedere speditamente su questa strada, perché temo che, se non lo faremo noi dal basso, altri ci costringerà a farlo, con ben più efficaci e cogenti strumenti di persuasione, dall’alto. E allora sarebbero davvero guai grossi. Questo per il disegno strategico di grande respiro, se vuoi. Poi ci sono gli aspetti più concreti. C’è la scelta di articolare le azioni dei prossimi anni, dati gli investimenti fortemente decrescenti prevedibili nel settore pubblico, intono ad un’idea forte. Per me, si tratta dell’idea della compatibilità ambientale. Le azioni: costituzione di una società ad hoc per la ristrutturazione d’immobili comunali mediante tecnologie verdi o eco-compatibili (già fatta); avvio del porta a porta, nella prospettiva – ma qui il consenso di Cesena è decisivo – di un distretto del riciclo (nuovo business per le imprese) che punti a produrre nuovi materiali, a incenerire meno e, in prospettiva, a far calare le bollette (cominciato a gennaio); proposta di un accordo territoriale fra tutti gli attori – dall’Iper ai commercianti del centro, alla Fondazione – per rivitalizzare il cuore storico della città; studio, già avanzato, di un metadistretto dell’edilizia compatibile, in accordo con la Regione e con la piattaforma costruzioni dei Tecnopoli: perché abbiamo bisogno d’integrare agricoltura, costruttori, professionisti e amministrazioni in un percorso di qualità che vada in direzione di un forte recupero del patrimonio edilizio. E poi c’è l’Università. Il processo di razionalizzazione avviato dalla riforma Gelmini pone un preciso problema di sopravvivenza al multicampus romagnol occorre trovare una soluzione che sia accettabile per l’Alma Mater, condivisa dai docenti (l’Università è un sistema gerarchico molto particolare), funzionale alle nostre esigenze di difesa delle attività didattiche e di ricerca che hanno funzionato. Sottolineo la frase “che hanno funzionato”: mantenere in vita corsi di laurea o master fasulli per un pugno d’iscritti, non ha alcun senso. Ecco perché l’occasione è propizia per fare un po’ di pulizia e concentrare le risorse là dove servono. “Gli faccio un riferimento alla brutta pagina della vicenda Sapro e mi incuriosisce sapere se ha intenzioni di sistemare le varie società partecipate dai comuni. “Entro un mese circa – dice Roberto Balzani – porterò in consiglio comunale la proposta di costituire una holding delle partecipate, come hanno fatto con successo Ravenna e Imola. Bisogna aumentare il livello di controllo e di capacità tecnica dello staff e, soprattutto, selezionare in modo più efficace gli amministratori. Noi abbiamo cominciato a farl prima, la situazione era fuori controllo. Eventi fondamentali per la vita di Sapro e dell’aeroporto mi sono stati comunicati a distanza di molto tempo, impedendomi di assumere tempestivamente le decisioni necessarie. Credo che il comune sia invischiato in tante attività che non dovrebbe fare.” Mi piace rimarcargli positivamente da parte mia che queste affermazioni sono molto buone e molto impegnative, però. “Il business aeroportuale, ad esempio, non può essere gestito – continua il Sindaco Balzani – come un giocattolo municipale e va inserito in quadro più vasto, pubblico o privato che sia. Il comune, viceversa, dovrebbe essere più presente – e infatti lì abbiamo combattuto insieme con Cesena una battaglia vittoriosa – sui servizi a rete, sui controlli delle attività rese dagli appaltatori, sulle gare. Ma ci vuole una grande tenacia Scontiamo un’asimmetria informativa mostruosa, soprattutto nei riguardi della multiutility per eccellenza, Hera. Di qui, a mio pare, il bisogno di fare massa critica e di rafforzare, dove e come possiamo, il nostro profilo tecnico-amministrativo, senza il quale non riusciremo mai a scegliere razionalmente. Ecco perché la scelta della holding. Quanto a Sapro, essa è la fotografia del fallimento non di una società, ma di una classe dirigente: economica e politico-amministrativa. Non credo che, a questo proposito, possano sussistere dubbi.” Gli faccio notare che un “famiglio” queste affermazioni non le farebbe. C’è novità in lui, di sicuro sotto questo aspetto delle affermazioni molto nette e chiare. Gli chiedo che idee ha sulla logistica che io considero la frontiera dello sviluppo futuro dell’area romagnola. Peraltro ne è perno Villa Selva. “Lo scalo merci aprirà, ma con pochissimi clienti. Perché nessuno, nel frattempo, si è preoccupato di aggregare una domanda possibile. Ma il sistema logistico, ormai, è basato – nei paesi civili – sul potenziamento della filiera ferro/gomma. E’ possibile in Romagna? Ha senso da noi? La mia sensazione è che lo scalo sia stato individuato in funzione di una geografia economica un po’ astratta, e non di una domanda aggregata preesistente e organizzata. C’è da lavorare, partendo dall’individuazione precisa del potenziale di mercato, per passare poi all’elaborazione di un’offerta competitiva. Di nuovo, il deficit sta nella nostra debole infrastruttura tecnica, e nell’illusione che un contatto fra amministratori e associazioni economiche possa chiarire tutto. Ma le tavole rotonde non risolvono nulla: sono le idee che sciolgono i nodi. Insomma, non so se sono chiar è proprio una cultura amministrativa che va rimessa in piedi, ricostruita ab imis fundamentis. Perché le risorse sono scarse, e dobbiamo spenderle bene.” Da tempo insisto sulla qualificazione della nostra sanità, sulla necessità di arrivare all’obiettivo di una sola Asl romagnola e di passare a diverse procedure di nomina dei cosiddetti managers che sono in realtà espressione della politica meno equilibrata e controllata. “Che l’obiettivo tendenziale sia quello di un governo della sanità meno frammentato e più efficace/efficiente, non v’è dubbio. Quello attuale – continua Balzani – costa troppo e produce notevoli diseconomie. Quindi, l’Ausl romagnola mi pare un fine ragionevole. Il problema è come arrivarci. Dobbiamo prima darci regole di area vasta (lo sta facendo ora la Regione). Poi occorre capire quali relazioni debbano sussistere fra i grandi ospedali territoriali: al di là della naturale integrazione fra Forlì e Cesena, peraltro comprensibile a tutti i cittadini, un conto è sostenere l’autosufficienza territoriale, e quindi scoraggiare la mobilità, un conto è creare un minimo di competizione fra le strutture, e quindi definire i meccanismi di compensazione opportuni, per non duplicare i costi. Dalla “filosofia di fondo” dipende molto il successo dell’AVR. Anche in questo caso, se i direttori generali, figure intermedie fra gli alti funzionari e i “commissari politici” della Regione (che è poi l’”ente pagatore” e che quindi giustamente pretende il controllo del processo), accentuassero il loro profilo di organizzatori delle soluzioni economicamente sostenibili, in modo che la politica (conferenze socio-sanitarie e sindaci) avesse poi la possibilità di scegliere fra diverse alternative a ragion veduta, mi parrebbe un bel passo avanti. Credo che, in Romagna e non solo, nel progressivo ridursi dei margini decisionali della politica, sia emersa una generazione di tecnici/notabili che, in molti casi, hanno fatto e imposto la politica sanitaria al territorio, rendendo del tutto ininfluenti le figure dei rappresentanti eletti, ai quali è toccato in sorte solo la gestione del confronto/scontro con i cittadini”. I consigli comunali sono sempre più deboli. I centri che contano sono i Comuni, la Provincia, la Regione, gli Istituti di credito, le Fondazioni Casse di risparmio. Quale coordinamento e quali strategie condivise possono essere cantierate? “Penso che la riduzione drastica delle possibilità finanziarie degli enti locali non possa essere gestita a livello di singola istituzione. Per questo, credo sia giunto il tempo – e ho fatto un precisa proposta in questo senso alla Fondazione Carisp di Forlì, che l’ha accolta -, di ragionare in termini di governance territoriale, leggendo in modo orizzontale il quadro delle risorse annualmente disponibili e codecidendo, per ciò che è possibile, alcune scelte fondamentali, per evitare sovrapposizioni e sprechi. La stessa cosa vale per la Provincia, naturalmente. Al government tipicamente verticale, va prepotentemente affiancata la governance, che agisce in senso orizzontale. Fino ad oggi, eravamo abituati ad interpretare questo termine come un summit fra i “potenti pro tempore della città”, un G3, un G4 in sedicesimo. Ci si trovava, si scambiavano opinioni, poi, in genere, ognuno faceva quello che voleva, senza che vi fosse alcuna reale forma di obbligazione. Credo possibile una macrolettura condivisa delle risorse e degli impieghi possibili, fondata sulla scelta di alcuni settori specifici d’intervento da parte di ciascuno, in sintonia con gli altri. L’avvio, insomma, di un processo graduale ma inevitabile, come quello della fusione dei comuni e delle province. Se dovessimo riuscirci davvero, la Romagna diventerebbe un laboratorio nazionale, come lo è stata ai tempi della nascita dei partiti di massa e della prima stagione del neomunicipalismo democratico.” Purtroppo lo spazio è quello che è. Mi piacerebbe andare oltre, approfondire taluni aspetti, proporne altri al confronto con Roberto. Non è solo molto interessante quello che ha detto, ma è anche stimolante a considerazioni e valutazioni che vorrebbero più approfondimento. Lo lascio anticipandogli un’intenzione: sulle cose che ha detto ritorneremo.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:26 pm
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