Energie Nuove – NUMERO 1 – aprile – maggio 2018
Immaginare una nuova visione
di Enzo Lattuca
“Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna mettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio.”
(Antonio Gramsci, lettera al fratello Carlo del 12 settembre 1927.)
Dopo la peggiore sconfitta elettorale della storia repubblicana, la sinistra deve rigenerarsi “ricominciando dall’inizio”. Tutto è messo in discussione: le proposte, il modo di far politica, i ruoli.
C’è un solo punto fermo, un solo inizio, una sola vocazione da cui ripartire: combattere le disuguaglianze che crescono ogni giorno di più nella società. In definitiva penso che la sinistra abbia perso sé stessa, prima ancora che le elezioni in Italia e in Europa, perché ha smarrito la propria ragione di esistere.
Il tentativo di temperare gli effetti del neoliberismo o di perseguire la cosiddetta Terza Via ha funzionato sulle ali degli effetti positivi della globalizzazione fino all’arrivo di quella crisi finanziaria ed economica che ha attraversato i primi due decenni di questo secolo, poi come ad un tratto ha mostrato tutti i suoi limiti.
Nel giugno scorso, Giuliano Amato, non certo un esponente della sinistra massimalista, ha affidato alle pagine del Corriere della Sera questa riflessione: “Non eravamo noi che cambiavamo in proprio, era la società che stava cambiando: i camici bianchi sostituivano le tute blu, i tecnici sostituivano gli operai. Il mondo che avevamo rappresentato rischiava di non esserci più […] L’ipotesi della Terza Via era fondata sulla “cetomedizzazione” dei ceti proletari; il che sarebbe accaduto in Cina e in India; mentre nei nostri Paesi ci sarebbe stato un contraccolpo di impoverimento degli stessi ceti medi. Quando questo arrivò, noi avevamo quasi smantellato l’intervento pubblico sul quale si era costruito il secolo socialdemocratico […] Eravamo rimasti senza risposte; e chi prima si era affidato alle nostre risposte, ora si affidava a chi amplificava la sua protesta”. Difficile con poche parole enucleare un’analisi più lucida.
Solo partendo da qui si può avere contezza della profondità della crisi delle forze progressiste in Europa e tra queste del Partito Democratico.
Non è solo e non è tanto una questione di leadership. Non se ne esce semplicemente cambiando il timoniere. Tuttavia, come spesso accade, ciò che non è sufficiente risulta essere quantomeno necessario. La paralisi di questi due mesi è la diretta conseguenza della intenzione di Matteo Renzi di non cedere davvero il passo. Meno di questo e il tentativo di rimettere insieme i pezzi di un campo funestato dalle divisioni non sarà in alcun modo praticabile.
Ritrovare l’unità non solo di un partito, ma di uno schieramento largo di forze riformiste con ispirazioni diverse accomunate però dall’obiettivo di voler cambiare le cose avendo a cuore principi comuni di libertà e giustizia sociale, è il secondo requisito per ritornare competitivi e non rassegnarsi ad un nuovo bipolarismo tra destra a trazione leghista e Movimento 5 Stelle. Non si tratta di ricercare la più alta somma algebrica tra sigle che oggi in larga misura non esistono nemmeno più ma di mettere a sistema le migliori energie, le più solide culture politiche, quelle che ancora oggi non rinunciano a perseguire la possibilità di un compromesso come elemento fondamentale per il funzionamento della democrazia, insieme a quella parte di cittadini (e davvero dobbiamo augurarci che non siano pochi) che vogliono partecipare alla vita della propria comunità concorrendo con metodo democratico alle scelte che ne segneranno il futuro.
Poi, solo poi, inizia la parte più difficile, recuperando un rapporto con una massa di cittadini prima ancora che di elettori che si sentono esclusi, che pensano di aver ricevuto dalla società meno di quanto avrebbero meritato. Poveri o anche solo impoveriti, senza futuro o anche solo con un futuro meno roseo di quello dei propri genitori. Giovani senza lavoro, vecchi senza pensione. Cittadini impauriti per la mancanza di sicurezza, tra realtà e percezione, sempre più soli e quindi sempre più deboli. Tanti delusi dalla politica, arrabbiati e distanti per i cattivi esempi e per le divisioni, convinti dell’inutilità della politica e delle istituzioni perché incapaci di incidere nelle loro vite.
O saremo capaci di ascoltarli, di comprendere quelle difficoltà, di partecipare alla loro condizione e di prospettare una soluzione ovvero di garantire un impegno per le loro cause, oppure continueranno a scappare e in poco tempo non avremo più fiato per rincorrerli.
La sfida che abbiamo di fronte, a livello nazionale ed europeo così come a livello locale, è proibitiva: dovremo rialzarci in tempi brevi rimettendoci all’opera per disegnare un nuovo orizzonte a partire da questa città. Non serve guardarsi indietro per rivendicare o per puntare il dito. La matrice (una vera e propria visione della città) che ha consentito a Cesena di svilupparsi negli ultimi trent’anni è stata in gran parte realizzata e allo stesso tempo si è esaurita. Ora non resta che immaginarne una nuova.