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Il principio di reciprocità di Renzi

     Giugno 27, 2017   No Comments

di Giuseppe Zuccatelli

Angelo Panebianco, domenica 28 settembre col suo editoriale sul Corriere della Sera, mi è sembrato generoso sull’operato del premier Renzi, laddove sullo stesso quotidiano De Bortoli, prima, lo aveva bocciato in rappresentanza del “salottino buono” della borghesia italiana, insieme ai vescovi italiani che lo avevano scomunicato, intimandogli “basta spot, servono fatti”.

Panebianco è troppo intelligente e obiettivo per non riconoscere che in questi primi mesi, alla casella risultati, Renzi ottiene un voto basso; è però dell’opinione che un giocatore non vada giudicato per un calcio di rigore e, quindi, se l’Italia langue, anzi peggiora sui dati economici, bisogna pazientare e intanto apprezzare i cambiamenti culturali imposti alla sinistra.

Qui, in effetti si può convenire; in fondo è presto per parlare di veri cambiamenti anche per un leader cooptato, che non solo vuole cambiare verso al bel Paese, ma lo vuole fare velocissimamente.

Panebianco, tra le grandi novità, vede l’affermazione di un leader che decide con metodi spicci, rompendo gli schemi soliti della concertazione sia con le parti sociali, che con le correnti del suo partito. A me questa cosa fa meno impressione, perché sia con Togliatti, che con Berlinguer, il PCI ha sempre avuto un uomo solo ben saldo al comando di se stesso (secondo gli storici, fu Berlinguer a imporre a Lama lo scontro frontale sulla difesa della scala mobile, rompendo l’unità sindacale e andando incontro alla sconfitta del referendum: il capo della CGIL avrebbe trattato, sapendo che anche Craxi lo avrebbe fatto) .

Se si può convenire con i giudizi dell’editorialista, personalmente sono preoccupato da segnali che evidenziano la mancanza di “quoziente emotivo” o quell’intelligenza relazionale, che possono aiutare il premier, dopo le campagne elettorali, a ritrovare i sensi di una realtà mutevole che ci ha posti in recessione, compiaciuto della propria importanza di uomo solo al comando e poco sensibile alle conseguenze umane delle scelte politiche che sta operando.

Il paradigma rivoluzionario di Renzi, fondato su una promessa semplicistica e seducente, che ha incontrato il consenso del 41% nelle ultime elezioni, sta dando segni di cedimento. All’interno del PD sta sparendo la base: sono 100.000 tessere contate finora nel 2014, contro le 500.000 del 2013. Come dire la spina dorsale del PD non esiste più. La mutazione genetica del partito nasce dall’apertura alla società civile a scapito della militanza che è scomparsa, molto meno nel nostro territorio cesenate e nella nostra Emilia-Romagna.

Ricoprire due ruoli di presidente del Consiglio dei ministri e segretario ha avuto la conseguenza ineluttabile di oscurarne la seconda e di accentrare su di sé attenzioni e responsabilità; mentre la macchina-partito è passata decisamente in secondo piano. Difatti, Renzi ha bisogno di un “partito della nazione” piuttosto che di un partito della sinistra. Un partito del leader capace di riunire gli italiani contro il nemico comune del momento: la tecnocrazia europea fautrice dell’austerità, l’ottusa CGIL, la minoranza del PD. Il PD degli iscritti e delle primarie non può bastargli, poiché non vuole solo cambiare “le regole del gioco, ma cambiare il “gioco”.

Se il crollo degli iscritti non è voluto, poiché si sta concretizzando lo sviluppo naturale di un’idea renziana della rappresentanza politica, liquida e fluida, più al passo coi tempi, allora, non tesserarsi è l’unico modo degli iscritti per far capire ai vertici renzisti che un partito strutturato non è formato solo dagli eletti di tutti i gradi, ma anche dai militanti attivi, i quali sono “stanchi” di non contare nulla quando si prendono decisioni, come quella sul lavoro, senza un minimo di consultazione.

Inoltre, se facciamo bene i conti, Renzi è diventato segretario grazie al voto degli esterni di passaggio (da qui la maggioranza in Assemblea e Direzione), ma all’interno il voto dei circoli è risultato ripartito quasi nelle stesse proporzioni tra lui, Cuperlo e Civati e se la sinistra si compatta, nei circoli, il nostro premier è in minoranza!

Però, ed è qui il suo grande limite, Renzi, che non è uomo di partito ma di amministrazione, probabilmente non valuta (oppure lo mette in conto) il rischio di ritrovarsi senza una base consistente e certificata che lo possa rafforzare anche sul piano governativo e nei rapporti con gli alleati, visto che l’attuale Parlamento è frutto di “Italia Bene Comune”, coalizione del centro sinistra alle elezioni politiche del 2013 e non del suo programma.

Da militante del PD mi aspetto, anche a livello locale e qui lo faccio in prima persona,  che metta al centro del dibattito la riforma dello Stato Sociale e la sua possibile declinazione universalistica attraverso l’interazione strategica almeno di tre dei possibili determinanti di cui si compone l’intera società: la Pubblica Amministrazione, l’impresa e la società civile organizzata, quella dell’associazionismo (volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, organizzazioni non governative, fondazioni).

I servizi di welfare, se vogliono essere di qualità, hanno un costo crescente nel tempo e l’unica fonte che si ha a disposizione per coprirlo è la tassazione generale. È qui il vero problema, unito a quello che i bisogni delle persone non sono standardizzabili, per questo i servizi sociali sono cerchiati sempre da un alone di malcontento.

Il vantaggio di adottare il welfare society sta nella possibilità di superare le attuali incertezze del nostro Stato Sociale attraverso un modello che ammette di rilevare contemporaneamente le possibili compatibilità parte delle diverse componenti della Società e superare gli arroccamenti secolari cui la politica ci fa assistere periodicamente.

Il nostro paese è fortemente cambiato,  negli ultimi anni  ci sono nuovi  (e più) poveri,  nuovi precari ed il reddito annuale di una famiglia media italiana è calato e  l’identità della “sinistra” o meglio  la definizione della sinistra deve confrontarsi con il cambiamento profondo della realtà: questa (ri)definizione non può che passare da un ritorno alla definizione essenziale del concetto “di sinistra”. Pertanto, occorre chiedersi: qual’è l’elemento cardine ovvero l’essenza della sinistra, intesa in senso positivo e non in rapporto alla destra o altri soggetti politici?

L’elemento cardine della sinistra è certamente rappresentato dal concetto di equità.

L’equità è un valore centrale per definire un modello di società basato sulla parità di opportunità per tutti e sull’azione di sostegno a quanti nella vita non possono realizzare le loro potenzialità.

Se diamo centralità al principio di equità dobbiamo contestualmente mettere in discussione tutti gli altri riferimenti, legati in parte ad una visione storica della sinistra ma che nella realtà di oggi non rappresentano più un elemento cardine per la realizzazione di una società equa.

La mia opportunità deve diventare la tua compatibilità, come pure communtando la tua opportunità deve essere la mia compatibilità.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:51 am
  •   In The Categories Of : Politica Nazionale

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