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I Liberal PD con Matteo Renzi

     Giugno 26, 2017   No Comments

di David Bogi

L’Italia è un Paese bloccato,tutti gli indicatori fondamentali lo certifican il tasso di crescita (economica e della produttività), il tasso di mobilità sociale, quello degli investimenti, così come le risorse impiegate in ricerca, innovazione e sviluppo sono a livelli fra i più bassi in Europa. Il punto è che questa condizione di blocco non è una conseguenza della terribile crisi economica che stiamo vivendo. La crisi ha certamente aggravato gli estremi dei problemi delle persone e le loro condizioni di vita ma non può essere identificata come la causa dell’immobilismo che ci affligge che è precedente, e di molto, all’insorgere della crisi economica mondiale che ha colpito anche l’Italia. Siamo in questa condizione ormai da qualche decennio e la causa principale sembra essere imputabile al cronico deficit di iniziative riformatrici che ha caratterizzato l’azione delle varie maggioranze politiche che si sono succedute al governo, rispetto alle quali hanno prevalso una serie di freni allo sviluppo e annose incrostazioni di tipo corporativo. La diagnosi appare dunque chiara: la crisi economica si è innestata su una precedente crisi politica, che è stata soprattutto una crisi di capacità di offerta politica. E però, mentre la politica si avvitava in questa spirale di immobilismo, la società non è rimasta ferma, si è mossa eccome. Si è evoluta articolandosi e differenziandosi nei suoi interessi, facendo sì che ci trovassimo in una situazione singolare, se non paradossale: quella di un Paese che ha espresso ed esprime un’offerta politica asincrona rispetto al mutamento sociale. Quali sono stati i principali fattori di blocco? In primo luogo è difficile non fare riferimento al sistema politico-istituzionale ed alla sua scarsa “fluidità” e capacità di produrre governabilità, provvedimenti e decisioni coerenti con la velocità e la complessità che connotano le società contemporanee nel nuovo contesto globalizzato. Un secondo fattore è sicuramente rappresentato dalle leggi elettorali che hanno segnato tutto lo svolgersi della seconda repubblica. Anche quando hanno prodotto maggioranze chiare, come nel caso del mattarellum, hanno finito per esporle al potere di ricatto dei partiti più piccoli (esiziali nel caso dei governi di centrosinistra) oppure, come nel caso della legge attualmente in vigore (il porcellum), non consentono la determinazione di maggioranze certe dopo le elezioni e, addirittura, l’indicazione diretta dei propri rappresentanti da parte dei cittadini. In terzo luogo come non guardare alla condizione nella quale versano i partiti politici? E’ in crisi il loro ruolo nella società e la loro credibilità. Raramente, forse mai, si è giunti ad una distanza così vasta, quasi abissale dalla società. Se quelli appena elencati paiono essere tutti fattori frenanti di oggettiva rilevanza, che hanno sicuramente contribuito a determinare la condizione di blocco nella quale ci troviamo, la causa fondamentale sembra essere un’altra: risiede nel fatto che non siamo mai stati in grado di costruire sufficiente forza politica a sostegno di un disegno riformatore moderno. Questo è il dato di fondo. E si tratta di una constatazione che assume una particolare gravità per chi in questi anni abbia militato, a vario titolo, nel centrosinistra. E’ nello schieramento di centrosinistra, infatti, che questa condizione è emersa nella sua più evidente durezza. Sono ancora nitidi i ricordi dei percorsi ad ostacoli ai quali sono stati obbligati i governi presieduti da Romano Prodi, la loro fragilità e le alleanze innaturali con forze estremiste di sinistra o inaffidabili di centro. Per la prima volta siamo di fronte ad una possibile inversione di tendenza: con Matteo Renzi sembra possibile disinnescare questa pregiudiziale negativa e creare finalmente i presupposti della costruzione di adeguata forza politica a sostegno di un disegno riformatore moderno. Questo è il senso del pieno appoggio che Liberal PD ha dato a Renzi nella battaglia congressuale conclusasi lo scorso dicembre e che intende dargli nel difficile futuro compito che lo aspetta. Vogliamo dare il nostro contributo alla definizione e all’attuazione di una moderna piattaforma riformatrice e di governo, lavorando per fornire ad essa il necessario sostegno e forza politica, sapendo di avere l’impostazione politico-culturale e le competenze adatte a farlo. Il percorso verso questo obiettivo sembra articolarsi su tre fasi principali. La prima fase si sostanzia nel saper trarre il senso politicoculturale della sconfitta subita dal Partito Democratico nel febbraio dell’anno scorso. Nelle scorse elezioni politiche il PD ha subito una sconfitta non perché Bersani abbia sbagliato la campagna elettorale o perché abbia utilizzato una comunicazione politica poco incisiva, ma perché il posizionamento politico infondo aveva in sé due rilevanti vizi di fond da un lato un’analisi retriva e ampiamente superata della società e, dall’altro, un tentativo di rappresentazione della società stessa che, di conseguenza, non poteva che essere a sua volta inadatto. L‘idea di società è quella “tristemente nota, articolata in rigidi blocchi sociali, distinti e caratterizzati da comportamenti elettorali specifici e costanti nel tempo. E’un’idea che non solo non corrisponde alla realtà, e tutti i maggiori indicatori lo confermano, ma appare essere in netto contrasto con quello che dovrebbe essere uno degli obiettivi di base di una moderna forza di sinistra; e cioè il contrapporsi nettamente alle stratificazioni sociali per promuovere uno dei più micidiali strumenti di eguaglianza: la mobilità sociale fondata sul merito. Il tentativo di rappresentazione politica della società, anch’esso viziato dall’errore analitico di partenza, è quello che ci viene riproposto a fasi alterne da circa un ventennio e che punta alla costruzione di uno schieramento di centrosinistra a due “gambe”: una gamba di sinistra, candidata a rappresentare il blocco sociale di sinistra e una di centro, adatta a rappresentare il blocco o l’area sociale centrale. E’ un tentativo che, oltre ad aver prodotto conseguenze a dir poco negative sull’esito e la tenuta dei governi a guida centrosinistra degli ultimi anni, assegna al centro del sistema politico italiano ed alle forze che in esso operano, un ruolo non corrispondente alla struttura reale della società ed esito di una mera forzatura strumentale. Il centro, dal punto di vista politico-culturale, non ha una sua autonomia: è una sorta di finzione tattica. In nessun sistema politico nel quale esistano forze mature e moderne di centrosinistra o di centrodestra, esiste un centro così come lo concepiamo in Italia. Esistono invece due schieramenti principali di centrodestra e di centrosinistra che sostengono due alternative piattaforme di governo. Qual è il nucleo culturale autonomo di una forza e di una piattaforma di centro? Quante soluzioni politiche fondamentali si danno per ciascun problema specific se ne danno due: una tendenzialmente di centrodestra e un’altra tendenzialmente di centrosinistra oppure se ne da’ una anche di centro? Le formazioni di centro nel nostro Paese, come nelle altre democrazie occidentali, hanno ruoli autonomi e rilevanti quando gli è concesso di colmare il deficit delle posizioni e delle piattaforme politiche rappresentate dalle forze di centrodestra e di centrosinistra. E questo non soltanto nei sistemi partitici bipolari e/o maggioritari. Per questa ragione è fondamentale che una grande e moderna forza politica, genuinamente rformatrice si faccia portatrice di una proposta che si rivolga alla società nella sua interezza senza ambire a rappresentare soltanto blocchi o segmenti specifici di essa, delegando, dunque, a priori la rappresentanza di aree ritenute non rappresentabili a forze politiche terze con le quali diventi necessario allearsi. La seconda fase risiede nel riuscire a definire una nuova e strutturata linea politica, discontinua rispetto a quella con la quale il PD si è presentato alle precedenti elezioni ed adatta a riferirsi alla società italiana per come è andata evolvendosi in questi anni. Uno dei requisiti principali di tale nuova linea politica appare essere quello di riuscire ad esprimere un nucleo politico-culturale originale rispetto a quello dei partiti e movimenti che, fondendosi hanno dato vita al PD. In assenza di un nucleo politico culturale originale, che aggiorni e superi, armonizzandoli, i filoni pre-esistenti al PD, appare oggettivamente più difficile leggere la realtà sociale e politica per come è andata evolvendosi e farsi portatori di una proposta che punti a riformare la società italiana, a riconfigurarne gli assetti politici e i meccanismi di appartenenza. E’ difficile, cioè, parlare agli individui, alla società complessivamente intesa e non a singole e specifiche porzioni di essa e puntare a realizzare, in sintesi, la vera essenza della vocazione maggioritaria. Un secondo e rilevante requisito è rappresentato dalla capacità di declinare su basi nuove il paradigma di fondo della sinistra. Secondo l’approccio della scuola liberista, la diseguaglianza non ha mai costituito un problema; anzi, alcuni teorici del neoliberismo hanno addirittura teso a considerarla come una precondizione dello sviluppo. Ora che tale approccio è stato definitivamente smentito, deve essere chiaro a tutti che la crisi che stiamo vivendo (da quello stesso approccio innescata) lascia in eredità alle classi dirigenti delle sinistre occidentali un ineludibile elemento di novità, un vincolo di cui difficilmente si potrà ignorare l’esistenza nei prossimi anni: non sembra più possibile perseguire obiettivi di giustizia sociale senza, contestualmente, aver definito o messo a frutto adeguate politiche di sviluppo in grado di produrre la crescita necessaria a generare le risorse da fare oggetto delle eventuali politiche redistributive che si vorranno applicare. Ogni proposizione che non tenga conto di questo vincolo appartiene al novero delle pulsioni astratte e velleitarie che per lungo tempo hanno costretto la sinistra italiana su posizione minoritarie condannandola all’opposizione. La nuova parola d’ordine della sinistra italiana, se realmente vuole ambire a divenire sinistra di governo, deve essere: «sviluppo», proprio perchè propedeutica alla realizzazione di un’altra parola d’ordine che invece storicamente le appartiene e che oggi appare essere più fortemente minacciata: « equità ». Sulla base di questa consapevolezza e della capacità di costruire una credibile piattaforma di governo crediamo si possa finalmente avviare l’opera di riforma della società che per così tanto tempo è stata frenata dai fattori che sono stati evidenziati. La terza importante fase del percorso che abbiamo di fronte rimanda al modello di partito che si vuole costruire. Al riguardo è bene essere molto chiari su un punt il partito non è un fine, è un mezzo e, in quanto tale, non può che essere coerente con il progetto che si intesta, con la nuova linea politica che intende applicare nella società. Non è più ammissibile commettere l’errore più volte commesso in passato che ha impedito che si prendessero posizioni chiare su questioni generali o particolari per evitare che il partito stesso ne potesse risentire mettendo a rischio i propri equilibri interni. Prima deve venire il progetto che si punta a realizzare e dopo il mezzo con il quale si prova a farlo. Non si può più abdicare alla propria piattaforma o ad elementi importanti che la compongono per il timore che ripercussioni interne di vario tipo possano minare l’unità del partito. Al contrario, il vero fattore unificante di un partito politico, la sua vera garanzia di unità è proprio rappresentata dalla piattaforma che vuol realizzare. Se se ne riduce la portata, estromettendo da essa gli elementi e le argomentazioni particolarmente invise alle minoranze interne, il rischio è quello di indebolirne la riconoscibilità dinanzi agli elettori e quindi di perdere di incidenza politica. Una volta che un partito perde la propria capacità di incidenza politica e di riconoscibilità, quello che gli rimane è notori gli rimane la mera gestione del potere. Per questa ragione, il fatto che il congresso del PD appena conclusosi a sia stato un congresso vero, competitivo e non consociativo, è da valutare positivamente. Si sono confrontate differenti linee politiche e gruppi dirigenti ed è giusto e coerente che chi ha prevalso porti avanti la propria linea e promuova un nuovo gruppo dirigente, così come è normale che chi è uscito sconfitto non abbandoni il partito e provi ad integrarla ed a contrastarla dall’interno. Per questo stesso motivo, lo statuto del PD stabilisce che il segretario debba essere automaticamente il candidato alla premiership: per trasferire la linea politica con la quale ha vinto il congresso nella potenziale e futura azione di governo. Il nuovo partito alla costruzione del quale vogliamo lavorare dovrebbe, infine, provare ad essere « pesante » e radicato sul territorio e « leggero » al centro, cercando, per quanto è possibile, di ingegnerizzare l’intuizione fondamentale delle primarie e di formalizzare il fondamentale processo di osmosi tra partito e società che esse, in sostanza, rappresentano. Questi sono gli estremi di fondo sui quali Liberal PD ritiene debba essere vissuta la temperie politica nella quale ci apprestiamo ad entrare e Matteo Renzi, per le ragioni che abbiamo provato a descrivere, rappresenta una risorsa preziosa ed un’occasione da non perdere per chiunque abbia a cuore il futuro del nostro Paese.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 10:36 pm
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