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I corpi intermedi: quale futuro?

     Giugno 27, 2017   No Comments

di Maddalena Forlivesi

Ildibattito sul futuro dei corpi intermedi di rappresentanza degli interessi dicategoria o settoriali sta diventando sempre più vivace e registra posizioni diversificate:da chi ne rivendica il ruolo da protagonisti svolto in passato e continua avederli come motore dello sviluppo futuro, a chi invece li ritiene concausa deldeclino italiano e quindi in via di dissolvimento, a chi infine pensa che non lisi debba demonizzare e che sia un errore indebolirli, poiché il cambiamentorichiede confronto, condivisione e partecipazione.
Correaltresì l’obbligo di evidenziare come lo stesso Premier Renzi non stia “rottamando”soltanto il modo tradizionale di fare politica, ma stia inviando il chiaromessaggio che, per cambiare le cose, i corpi intermedi rappresentano un impiccionon da meno della vecchia politica. In effetti, il clima di diffidenza che hainvestito la politica o un certo modo di interpretarla, sta interessando ancheil mondo associativo, anch’esso a volte caratterizzatosi negli ultimi duedecenni per individualismi e personalismi che ne hanno minato la credibilità disoggetto portatore di interessi collettivi.
Di certo,comunque la si pensi, in pochi anni è cambiato l’assetto geopolitico edeconomico europeo e mondiale, sono cambiati i mercati di riferimento, c’èl’euro e non c’è più la lira con le sue svalutazioni competitive, c’è l’Europacon i suoi vincoli, i suoi pregi e i suoi difetti e c’è il fattoreglobalizzazione, che ha fatto emergere nuove opportunità, ma anche nuove criticità, in un contesto internazionalein continuo divenire; infine, non certo in ordine di importanza, c’è lagravissima crisi che, a partire dal 2008, si è riversata dal mondo dellafinanza all’economia reale, innescando una profonda recessione dalla qualefatichiamo a uscire più di altri.
L’Italia,con il suo carico di burocrazia e di orpelli, di status consolidati e renditedi posizione, di lentezza e riluttanza al rinnovamento, di clientelismo ediffusa illegalità, è uno dei Paesi che fatica maggiormente a riprendere la viadello sviluppo e della crescita: intutto ciò, pensare che i corpi intermedi, così come fino ad oggi interpretati,non debbano cambiare è impensabile. Ma in che modo?
In passatoè sempre stato stigmatizzato il ruolo positivo svolto dai corpi intermedi,considerati una sorta di cinghia ditrasmissione tra soggetti e interessi diversi; ma altri teorizzano oggi chealcuni dei grandi problemi del paese siano, almeno in parte, direttaconseguenza di un processo di mediazione “deviato”, che ha portato leassociazioni di rappresentanza a fossilizzarsi su interessi “particolari”, anzichésulla difesa dell’ “interesse generale”, abdicando – nella sostanza – alproprio ruolo e apparendo sovente agli occhi dell’opinione pubblica come partedella “casta” e dei suoi privilegi.
Il fattopoi che il numero delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi nelnostro paese non abbia eguali al mondo e che, invece, ci troviamo oggi, inmolteplici settori e ambiti, ad essere collocati agli ultimi posti delle classifiche, devenecessariamente farci riflettere sia sulla effettiva qualità dell’attività dirappresentanza svolta che su quali interessi si è inteso difendere.
Per nonandare troppo lontano, ma guardando al resto del nostro continente, si osservache anche i pur forti “corpi intermedi” nordeuropei, ad esempio, hanno persogran parte del loro peso ed il loro ridimensionamento riguarda anche il ruolo della rappresentanzapolitica svolto dalle associazioni datoriali. Ovviamente le diverse storie deisistemi associativi nei vari paesi fanno sì che perseguano differenti percorsidi cambiamento, ma nella consapevolezza che avranno un futuro solo se saprannoadattarsi alle grandi sfide in atto, sia in campo economico che tecnologico,sia a livello nazionale che sovranazionale. Per quanto concerne le associazioni dicategoria, il mutamento sta avvenendo principalmente in ambito organizzativo, dotandosidi strutture più leggere, di un management snello e multitasking, puntando suun’offerta di servizi avanzati e consulenze che va oltre il tradizionaleperimetro sindacale e dove la creazione di valore per i soci diventa lamissione primaria.
Per quantoriguarda la riflessione sulle specificità italiane, sembrerebbe plausibileimmaginare uno scenario dell’associazionismo economico che vada incontro ad unarazionalizzazione delle Organizzazioni di Rappresentanza sia a livellonazionale che territoriale, poiché – come si evidenziava precedentemente – presenti in un numero che non ha eguali almondo. Le strutture dovranno necessariamente divenire più snelle, anche perchéle innovazioni tecnologiche oggi disponibili, differentemente dal passato, loconsentono, puntando quindi sulla sobrietà organizzativa e su elevate competenze.
Organizzazioni,quindi, strutturate su una base territoriale più ampia, con una offerta diservizi a misura di impresa – piccola, media o grande che sia -, con una fortepropensione a dare valore a imprese singole o a reti e filiere, restituendoall’associazione quel ruolo primario di luogo di incontro-confronto fra imprese,che negli anni si è un po’ smarrito.
Fondamentalesarà poi riuscire a supportare i processi di internazionalizzazione, mafavorendo percorsi di sviluppo economico a base locale, che in altre occasioniho già avuto modo di definire “le radici locali della globalizzazione”, cioè ilvalore aggiunto e la forza che le imprese ricavano dal proprio territorio.
Insomma,una organizzazione “smart”, per dirla con un termine oggi di moda.
Questoparrebbe l’inevitabile scenario che si prospetta stante l’attuale situazione,ma non dobbiamo dimenticarci che il nostro resta il Paese dei mille campanili edei mille distinguo, per cui non dobbiamo nasconderci quanto irto di ostacolisarà il cammino del cambiamento, sia per la frammentazione del panoramaassociativo di cui prima si accennava, sia per le difficoltà incontrate nei processiaggregativi già sperimentati o in corso.
E’ datempo che si parla di cambiamento nelle Organizzazioni di rappresentanza, ma èuna nostra caratteristica – umanamente comprensibile, ma non per questogiustificabile – il ritenere che a cambiare debbano essere sempre gli altri,poiché a pochi piace o conviene o sono in grado di innovare e innovarsi, percui si preferisce mantenere uno status quo che salvaguardi il protagonismopersonale e l’autoreferenzialità, a discapito del gioco di squadra, anzichéfavorire quel cambiamento che spesso appare come un viaggio verso l’ignoto o ilcui orizzonte proprio non si riesce a vedere.
Perinnovare bisogna essere “curiosi” ed anche un po’ “folli”, come Steve Jobs ciha insegnato, occorre sperimentare, esplorare, prevedere scenari, mettersi ingioco e rischiare, il che può anche comportare di commettere errori, ma delresto ogni grande scoperta che si rispetti è il frutto dei tanti tentativi falliti,prima di raggiungere l’obiettivo: di certo, la peggior decisione da prendere èquella di non fare, il che spesso rappresenta una forma di autodifesa suicida, seppureancora praticata da chi è sordo alcambiamento o lo interpreta in modo gattopardiano, “cambiare tutto per noncambiare nulla”.
Nessuno,pur nel vivace dibattito in corso, chiede alle Organizzazioni di rappresentanzadi scomparire, ma di riposizionarsi certamente sì, nelle due direzioni di unarinnovata capacità di rappresentanza e di una proposta di servizi adeguata aitempi e soprattutto alle reali esigenze delle imprese, superando vecchi schemie riti, che dovrebbero essere retaggio del passato.
Leassociazioni hanno rappresentato un punto di riferimento importante per leimprese e possono mantenere tale ruolo, se sapranno affrontare una rivoluzioneculturale che le trasformi da semplici portatori di istanze più o menocondivise, a quello di reali interpreti delle esigenze delle associate. Ma perfarlo occorre non più limitarsi ad una conoscenza basata su “anagraficheaziendali” cui proporre un elenco di servizi calati dall’alto, ma bisogna“vivere” le imprese, condividere i problemi e le loro soluzioni, i progetti ela loro realizzazione, saper individuare gli strumenti giusti.
Occorre quinditracciare nuove rotte, porsi interrogativi, mettersi in discussione, valutareopzioni, cercare la giusta via delcambiamento, individuare, insomma, percorsi che aiutino a creare le condizioni per coniugare etica ebusiness, sostenibilità e affari,crescita culturale e imprenditoriale, sia in un’ottica di mercato domestico cheinternazionale. In sintesi, occorre creare valore aggiunto per, ma soprattutto,con le imprese.
L’esito non è per nulla scontato, ma del resto siamosolo all’inizio di un percorso lungo e complesso, che ci vedrà protagonisti otestimoni, a seconda del ruolo, di successi e sconfitte, di condivisione econflitti. Ma una cosa è certa: nella sfida in atto fra i sostenitori dellamediazione o della “disintermediazione”, a vincere può essere solo ilcambiamento e con esso le Organizzazioni che sapranno interpretarlo al meglio.Del resto, “difficilmente si migliora se non si ha altro modello che imitare sestessi”.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 10:04 am
  •   In The Categories Of : Politica Nazionale

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