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Hera. Più un problema che una risorsa

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Luigi Di Placido

Siamopiù volte intervenuti sulle vicende riguardanti Hera, sin dai tempi della suanascita come spa con capitale a maggioranza pubblico nel 2002.

Abbiamo,infatti, sempre nutrito forti dubbi sulla opportunità di quotare in borsa unasocietà mantenendo la maggioranza azionaria in capo ad amministrazionipubbliche: questo sia per gli evidenti conflitti di interesse, sia per ilrischio di non poter reggere eventuali aumenti di capitale che si rendesseronecessari.

Finoad oggi, con un meccanismo oggettivamente discutibile, controllore econtrollato sono coincisi: i Comuni detenevano la maggioranza e quindidefinivano tariffe e servizi, e al tempo stesso dovevano vigilare sullacongruità di une e altri.

Idividendi ottenuti dalla partecipazione azionaria sono sempre stati una voceimportante nei bilanci comunali; alla luce di questo, non è difficile capirecome fosse complicato controllare quelle stesse tariffe che fruttavano milionidi euro.

Intutti questi anni, la politica romagnola non ha brillato per lungimiranza,comportandosi come se la presenza di Hera fosse ineluttabile e immodificabile.

Earriviamo ai giorni nostri: i Comuni hanno bisogno di soldi, per cui decidonodi vendere le azioni di Hera per fare cassa, Bologna in testa.

Cosìfacendo, la loro quota scende al 38% del capitale azionario ma, con una mossadegna della miglior pianificazione sovietica, modificano le regole permantenere comunque il controllo.

Portanoal 75% la soglia per poter cambiare lo statuto, così possono continuare acontare, senza avere i soldi per farlo.

Ineffetti qualcosa continueranno a contare, nominando consiglieri diamministrazione per tessere di partito e non per competenza, facendo sceltediverse a seconda del territorio amministrato (chi si è tenuto le reti, chi leha regalate alla multiutility), disegnando il proprio sviluppo territoriale inbase a cosa piace o non piace a Hera.

E isoldi che i Comuni incasseranno dalla vendita delle azioni, frutto di unadismissione del patrimonio? Siamo curiosi di vedere se verranno utilizzati persovvenzionare la spesa corrente e crearne di nuova, o per investimenti.

ACesena, il Sindaco Lucchi e il Vice Sindaco Battistini ritengono “lapartecipazione a Hera strategica per i servizi pubblici locali”: talmentestrategica che hanno deciso di vendere un terzo delle azioni possedute, senzaperaltro certezza sulla cifra realizzata e sui tempi necessari per ottenerla.

Unadomanda sorge spontanea: perché mai il “mercato” dovrebbe comperarele azioni che questi signori venderanno?

Lofarà se sarà conveniente, ma per essere conveniente dovrà essere remunerativo.

Edecco l’aspetto più interessante: i cittadini serviti da Hera continueranno apagare tariffe capaci di remunerare chi investe nella società, anche senzapretendere di scalarla e governarla. Vuol dire che pagheranno più di quel cheil servizio vale.

Tuttodeciso, dunque? Neanche per sogno, perché Bologna cambia idea e decide di nonvendere più le sue azioni, grazie alla prospettiva di ottenere una quotaimportante nella ripartizione dei fondi europei in capo alla Regione, inaggiunta ai fondi destinati alla Città Metropolitana e alla quotazione in Borsadell’aeroporto.

Apriticielo, i Comuni romagnoli reagiscono duramente: Bologna non può condizionare lepolitiche regionali con le sue scelte, questo “bolognacentrismo” èinaccettabile.

Talmenteinaccettabile che la decisione di vendere le azioni Hera è partita proprio daBologna, e tutti ci si sono accodati docilmente.

Conuna “unione d’intenti” di questo genere i cittadini del nostro territoriodovrebbero stare tranquilli?

Unulteriore esempio di questo sfilacciamento è emerso nelle ultime settimaneriguardo alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti nel territorio dellaprovincia Forlì-Cesena, attualmente in capo sempre a Hera.

E’infatti emersa una diffusa volontà di avviare uno studio preliminare per lagestione “in house”, ovvero direttamente in capo ai Comuni.

Ciònasce da esperienze già ampiamente sperimentate in Italia, che assegnano aglienti pubblici la gestione dei rifiuti, in maniera da razionalizzare la gestionedel materiale riciclato, massimizzandone il profitto, così da poter abbassarele tariffe di igiene ambientale, oltre a dare vita a vere e proprie filierespecializzate in gusto campo.

Unaopportunità che da anni caldeggiamo con il nome di “distretto del recupero”.

Sarebbeun inequivocabile segnale di indipendenza e, soprattutto, di capacitàprogettuale messa al servizio della crescita, dopo anni nei quali sia lacoesione territoriale sia i progetti cosiddetti di “area vasta” hanno dovutospesso scontare battute d’arresto, quando non morti premature, a causadell’ombra ancora pesante dei campanili.

Neanchesu questo i territori sono in sintonia: il forlivese e buona parte del cesenatesono d’accordo ma non basta, perché Cesena (insieme a Ravenna) si è messa ditraverso: vuole trovare il nuovo gestore attraverso una gara europea.

Unascelta che, andreottianamente, suscita cattivi pensieri che costituisconopeccato. Però, magari, si azzecca il nome del vincitore della gara.

Comesi può ancora affermare ragionevolmente che Hera è una risorsa? Per le ricaduteeconomiche derivanti dalla sua attività?

Probabilmentesono le medesime che altri operatori saprebbero mettere in campo, o che unagestione oculata e meno elefantiaca parimenti garantirebbe.

Hera,ammesso che sia mai stata una risorsa, oggi non lo è più.

E’diventata un problema, che però nessuno pare avere il coraggio di affrontare,perché questo comporterebbe rompere cordoni ombelicali dei quali molti sinutrono.

Equi arriviamo alla considerazione che da tempo facciamo: il monopolio che hacaratterizzato i servizi per troppi anni ha inevitabilmente creato unasituazione distorta che va curata.

E lacura è la concorrenza, l’eliminazione delle rendite di posizione, il serviziomigliore.

Inaltre parole: la gestione privata con capitale privato.

IComuni hanno una grande forza: possiedono le reti (anche se, purtroppo, alcunile hanno colpevolmente vendute), vero potere contrattuale nei confronti diqualunque gestore, con il quale evitare distorsioni o eccessivi appetiti:ebbene, lo usino, lasciando che sia una gara a decidere l’offerta migliore.

Sarebbeun grande contributo di chiarezza, per i bilanci e, sopratutto, per icittadini.

Oppure,come per il ciclo integrato dei rifiuti, abbiano il coraggio di giocare inprima persona una sfida che porti ricchezza e prestigio politico.

Daquesto poco edificante scenario emerge un’altra dura verità: la politica deinostri territori ha mostrato estrema debolezza nell’affrontare e gestire questitemi, schiacciata tra decisioni assunte altrove e un management societariodivenuto sempre più unico depositario della linea aziendale.

Nonc’è stato il coraggio di affrontare un confronto sulle prospettive di lungoperiodo, preferendo rimanere attaccati allo status quo (si veda, a questoproposito, la modestia delle soluzioni adottate per la semplificazioneburocratica e, sopratutto, la razionalizzazione amministrativa territoriale,nella quale non si va oltre a Unioni limitate e si evita accuratamentel’argomento delle fusioni).

Cosafare dunque, per chi non detiene le leve di un potere sempre più immobile eripiegato su sé stesso?

Provocare,tenere alta l’attenzione, svegliare le coscienze intorpidite.

Esattamentequello che abbiamo fatto e continueremo a fare.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 10:48 pm
  •   In The Categories Of : Opinioni

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