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Fare il vero movimento si sinistra riformatrice

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Sandro Gozi

Il PD nato nel 2007 “è stato sui-cidato” il 19 aprile 2013. Centouno congiurati gli hanno inferto colpi mortali in occasione della mancata elezione di Romano Prodi alla Presidenza della Repub-blica. Ora dobbiamo fare il nuovo PD o forse il vero movimento di sinistra riformatrice del XXI secolo, che avevamo promesso e non ab-biamo mai del tutto realizzato; e che ha vissuto il suo momento migliore con la prima esperienza dell’Ulivo. Almeno nella prima fase, gli stru-menti saranno quelli del PD: con-gresso, primarie, circoli … Ma solo per spirito pratico, perché dobbiamo ora avviare un processo di costituente. Un processo che parte dal punto più difficile, dal voto di fiducia al Governo di larghe intese guidato da Enrico Letta. Ma che richiede soprattutto una ricostruzione della fiducia tra i parlamentari del PD. I 101 voti mancati dopo l’unanimità votata nell’assemblea dei grandi elettori sono una ferita grave e aperta, perché è venuto totalmente a mancare il senso di lealtà, di trasparenza e di franchezza, elementi imprescindibili in una comunità di donne e uomini che si battono per valori comuni. Ma è soprattutto la fiducia con i nostri elettori che dobbiamo ricostruire oggi. Una fiducia da ricostruire proprio in questa fase di emergenza democratica, economica, sociale ed europea e nonostante il contesto politico e parlamentare in cui dovremo agire, molto complesso. Ne abbiamo il dovere, perché c’è un terribile senso di abbandono in giro per il Paese e dobbiamo farcene carico innanzitutto noi. La fiducia che i nostri elettori ci avevano accordato era per una maggioranza diversa da quella che sostiene il Governo Letta. E questo dovrà sempre essere il nostro punto di riferimento, il nostro più forte vincolo politico. Per questo, dovremo dare ampio spazio alla nostra azione parlamentare e mantenere un dialogo costante e una cooperazione stretta con SEL. E dovremo anche dimostrare apertura e disponibilità rispetto alle istanze di cambiamento espresse da M5S. Lavoro difficile, complesso ma realizzabile soprattutto su temi come i diritti civili, i costi della politica e della burocrazia, o la lotta contro le corporazioni. Lo dovremo fare soprattutto perché il nostro comportamento dentro al Palazzo avrà un’influenza forse decisiva sulla nostra capacità fuori dal Palazzo di riannodare quel filo di fiducia e di speranza con i nostri elettori che ora si è spezzato. Il nuovo Partito Democratico, o come si chiamerà…, dovrà diventare veramente quello che avevamo promesso e che aveva ridato speranza ed entusiasmo a milioni di italiani. Un entusiasmo venuto meno da tempo, una speranza negata da troppi errori che non possiamo più ripetere. Ciò richiede una nuova visione politica, palesemente mancata negli ultimi anni a tutto il centrosinistra, e una classe dirigente totalmente rinnovata non sulla base dell’anagrafe o delle tessere ma delle idee e del coraggio di difenderle. E soprattutto, evitiamo di ripetere in eterno sempre gli stessi errori. Stiamo morendo sotto i colpi di correnti organizzate non per difendere valori politici e sociali come accadeva in un passato ormai lontano, ma valori molto materiali: posti, prebende, poltrone. Il pluralismo politico e’ vitale, l’autoreferenzialità di potere e’ mortale. E abbiamo già fatto troppi errori a causa della logica degli EX, del minicompromesso storico tra EX di una parte e dell’altra. Alcuni di noi hanno addirittura scomodato Enrico Berlinguer per giustificare il governo delle larghe intese, come se dall’altra parte, a destra, avessimo un Aldo Moro. No, a destra c’era e c’è sempre Silvio Berlusconi e Silvio come ci ha brutalmente ricordato sulla questione IMU pensa sempre e solo al suo tornaconto personale. Allora noi evitiamo di impantanarci nella logica degli EX di cui non importa proprio nulla ai nostri elettori di oggi e di domani. non mi interessa se qualcuno e’ stato iscritto al PCI e ha conosciuto Berlinguer e qualcun altro Moro. Li rispetto, moltissimo, perché queste grandi esperienze vanno rispettate. Ma voglio una politica che capisca il presente e pensi il futuro. Io sono molto stanco dell’uso strumentale del passato, e i nostri elettori anche. Perché al terzo sondaggio positivo magari a Silvio viene in mente che gli conviene tornare alle elezioni, e non è citando frasi di Moro e Berlinguer che lo fermeremo. Lo fermeremo se ci faremo trovare finalmente pronti con un vero, un nuovo Partito Democratico. Allora evitiamo di dare l’impressione – che diventa sostanza nel mondo multimediale di oggi – che vogliamo compensare un governo DC 2.0 con un partito che deve ora essere affidato a gente più “di sinistra”, perché vuol dire perseverare in una logica perdente e perché non faremmo un buon servizio né a noi, né a Enrico Letta, né ai nostri elettori. Meglio che siano di sinistra le nostre idee sul lavoro, i diritti e l’Europa piuttosto che il nostro posizionamento tattico rispetto alla composizione del governo o alle logiche correntizie. I nostri elettori vogliono sapere cosa vogliamo fare per un fisco più giusto, per rendere più equa una società sempre più diseguale, per dare loro i nuovi diritti che la modernità impone. Sino ad oggi ci siamo sbranati tra noi solo su nomi e organigrammi: facciamo un bello scontro su cosa vogliamo fare riformare la giustizia più ingiusta d’Europa, su quale politica industriale vogliamo per l’Italia, sulle nuove alleanze da creare in Europa in vista delle elezioni 2014. E soprattutto, riformiamo subito la legge elettorale; subito! Evitiamo il balletto della scorsa legislatura in cui tutti volevano cambiarla e nessuno l’ha fatto. Ne’ il dibattito sulle istituzioni può essere l’alibi per rimandare la riforma elettorale. Ad ogni buon fine torniamo subito al mattarellum basta intervenire su un articolo. Poi se con le riforme istituzionali riusciremo a farne una nuova ben venga. Per questo la transizione da oggi al congresso deve permetterci di ricostruire o di costruire finalmente questo partito. Chi gestisce questa transizione deve essere imparziale, deve offrire garanzie a tutti, non deve lavorare per sé stesso o per una parte. Perché se non ricostruiamo la fiducia tra di noi, non avremo mai la fiducia degli italiani. E perché abbiamo bisogno di un congresso vero: con candidature e tesi vere e contrapposte. Perché di questo unanimismo falso e ipocrita non ne possiamo veramente più. Un congresso sulle idee e non sui nomi. Siamo all’ultima chiamata. Abbiamo bisogno che i nostri elettori, i nostri iscritti ritornino ad avere fiducia in noi. E potranno avere fiducia in noi solo se da oggi taglieremo netto con le nostalgie lontane e gli errori recenti e costruiremo il vero Partito Democratico. Dobbiamo proporre una nuova alleanza del merito e del bisogno, che metta al centro della sua azione la parola “libertà”. Nell’ultimo decennio, infatti, destra e sinistra hanno combattuto una battaglia sul terreno della libertà, attorno alla sua ridefinizione concettuale e pratica, che ne ha totalmente modificato i ruoli. La destra ha giocato all’attacco: la libertà è diventata il suo dominio e la sua bandiera; interpretandola come libertà da valori e regole. La sinistra, invece, si è rinchiusa in dialettiche di retroguardia, ripiegata su se stessa, tra tabù ed equilibrismi. Non è stata in grado di interpretare le istanze di libertà provenienti dalla società. In questo modo il concetto di libertà ne è uscito stravolto, caratterizzato soprattutto nella sua declinazione antipolitica della destra. La sinistra ha abbandonato il terreno, lasciando così agli avversari un tema che ha costituito una delle ragioni più profonde della sua esistenza. È arrivato il momento di riappropriarci e recuperare la parola libertà: occorre un movimento dinamico, un nuovo cantiere del centrosinistra, aperto a tutti coloro che vogliano costruire una vera alternativa per il paese. Aperto a tutte le forze laiche di sinistra e a tutti coloro che credono che una sinistra veramente moderna debba essere innanzitutto transnazionale ed europea. Ciò significa riaffermare il primato della politica, la lotta contro le crescenti disparità di reddito e le derive finanziarie dell’economia; e significa globalizzare la politica. I mercati globali, la mobilità dei capitali, le evoluzioni tecnologiche hanno fortemente indebolito il potere di intervento dello Stato. Pressata dai nuovi populismi e nazionalismi, l’Europa si sta frantumando in tante piccole patrie chiuse e impotenti. Per non finire schiacciati dal populismo, il federalismo democratico e sociale è l’unica via percorribile, anche per recuperare capacità di azione nazionale. Ecco perché la nostra nuova proposta politica dovrà venire concepita sin dall’inizio in una dimensione eminentemente europea. Dovremo accompagnare l’Italia e l’Europa fuori da questo momento grigio e incolore: se c’è una cosa veramente “di sinistra” che possiamo fare, infatti, è ridare colore e speranza alle nostre vite.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 10:25 pm
  •   In The Categories Of : Opinioni

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