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Evitare l’inganno del va tutto bene

     Dicembre 23, 2018   No Comments

Energie Nuove – NUMERO 2 – novembre 2018

Evitare l’inganno del va tutto bene

di Elena Baredi

Non sarò originale, ma voglio iniziare così- proprio così- dal titolo della prestigiosa rivista che mi ospita.

Servirebbe, in generale per la politica tutta, per la Sinistra nello specifico, e anche nella nostra città una iniezione, una spinta di energia nuova, di energie nuove, per l’appunto.

Una energia che si manifesta come volontà e capacità di agire, di mettersi all’opera, al lavoro. Una energia feconda, ferace, capace di produrre frutti.

Il campo che mi interessa, quello della sinistra, sembra oggi una massa scaricata, un pensiero inutile, un campo abbandonato perché improduttivo, cioè senza energia.

Ma so che di una sinistra dell’uguaglianza, della libertà, dei diritti, del lavoro, della lotta allo sfruttamento, dell’ambiente, del riscatto, della dignità, delle persone, della democrazia, della Costituzione, della pace, della fratellanza, della legalità, della lotta alle mafie, del primato della politica sui mercati, dei beni pubblici, del ruolo dello Stato in economia, di una nuova idea di Europa, delle nuove generazioni, del femminismo, ecco di questa roba qui c’è bisogno come il pane.

C’è bisogno perché oggi il Paese si è incattivito, perché si respira un’aria razzista e le persone vivono sempre più come tanti singoli soli senza contenitori politici collettivi che ne rappresentino né diritti né doveri. E’ evidente come oggi il sistema capitalistico occidentale non abbia semplicemente battuto il movimento operaio e le sue organizzazioni. Esso ha vinto trasformando le parole d’ordine, il senso, la carta d’identità delle culture politiche socialiste, socialdemocratiche, riformiste. 

La sinistra italiana, nelle sue diverse articolazioni, è malata, al punto più basso della propria storia, in termini di forza organizzativa, di capacità di consenso, di capacità di egemonia sul terreno della cultura e dei valori. Lo è per un incrocio preciso di fattori il primo dei quali riguarda l’identità.

Abbiamo perso perché la sinistra ha perduto progressivamente la propria autonomia culturale. Abbiamo assunto, in un processo lento ma inesorabile, il punto di vista dell’avversario. La sconfitta nasce lì. Nel non avere saputo contrastare l’affermazione nel senso comune di un principio di presunta razionalità che associava alla modernità e all’innovazione quelle politiche invece così ferocemente connotate dal punto di vista di classe: la frammentazione del ciclo produttivo, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, la individualizzazione del rapporto di lavoro, la privatizzazione degli assi strategici dello Stato e dei servizi essenziali.

Ci tengo ad esplicitarlo: il problema non è Renzi perché Renzi non è un meteorite giunto dal nulla a distruggere un ecosistema integro. Renzi è il frutto, certamente il più avvelenato, di una storia lunga, che passo dopo passo ha ceduto, perso, interiorizzato il punto di vista dell’avversario.

In tutti questi anni ha resistito di fianco a questo smottamento una sinistra coerente e inflessibile ma anch’essa malata. Infettata dall’antico virus dell’isolazionismo, e dell’identitarismo fine a se stesso, disancorata da veri rapporti di massa, disinteressata al consenso e alla trasformazione attraverso il governo. Per questo oggi la sinistra italiana è al punto in cui è ed è apparentemente priva di qualsiasi elemento fecondo di potenziale ripartenza.

Perché hanno perso i moderati e i radicali, insieme, specularmente. 

Allora la domanda è: c’è un futuro per la sinistra politica in questo Paese? Io penso di sì. A partire dai municipi, dalle comunità locali. A partire dalla nostra città con la consapevolezza che la sinistra oggi è quella che vive sui territori e nei luoghi di lotta e cultura animata da studenti, giovani precari, associazioni legate alle vertenze locali, anziani che si dedicano a costruire un futuro migliore per i propri nipoti e figli, lavoratori e disoccupati che non si arrendono allo status quo. Abbiamo assistito negli ultimi cinque anni di governo monocolore pd ad un arroccamento, ad una chiusura dei rapporti di confronto e di dibattito sia con le forze politiche che con quelle economiche e sociali.

L’abolizione dei quartieri elettivi fino all’uso da spot pubblicitario di Carta Bianca sono alcuni degli esempi di come si sia consumato il rapporto dialettico tra la città e il suo Governo. Di come esso sia stanco, rituale e poco illuminante.

Chi si appresta a candidarsi al governo di Cesena nelle elezioni del Maggio prossimo deve aver prima di tutto ben chiaro che c’è da ricostruire un legame di fiducia, quasi sentimentale con la città .

E che questo sforzo di ricucire i fili lo deve fare prima di tutto la politica

Per questo penso non si debba scivolare nell’inganno dell’aggiustamento e di qualche toppa da mettere qua e là: è soprattutto nei momenti di crisi e difficoltà economica (ancora tutta da superare) e sociale che occorre il coraggio di un agire nuovo, il coraggio di un pensiero differente.

Occorre prima di tutto avvertire la necessità di scegliere la direzione precisa verso la quale muoversi. Governare non può significare andar pur d’andare, orientando magari di volta in volta la rotta. Questa è la politica, a questo essa serve.  E lo si deve fare sapendo ed essendo in grado di coinvolgere tutti, tutte le parti migliori della città. Nessuno escluso.

Faccio solo un esempio.

Io penso che la rotta da scegliere debba essere quella che orienta l’impegno verso la lotta alla povertà e all’impoverimento, verso chi fa fatica.

Perché qualcuno è stato abbandonato, non ce l’ha fatta in questi anni, anche qui, anche da noi.

La Sinistra che governa una città fa di questa battaglia la sua priorità, semplicemente perché

sinistra è ancora, per far sintesi, uguaglianza. Scegliere “lo sguardo degli ultimi”, assumerlo per meglio decifrare e anche un po’ ricostruire lo sguardo di una intera comunità, non significa rinchiudersi in un ruolo di testimonianza, ma proiettare il proprio impegno per una migliore prospettiva di tutti e di tutte. Per meglio assolvere a questo impegno occorre mettersi a confronto, apparecchiare bene il tavolo della discussione coinvolgendo per prime le forze economiche migliori della città. Nessuna esclusa. E questo lavoro – certamente faticoso – di paziente tessitura dei rapporti significa prima di tutto alimentare il senso di corresponsabilità.

In questa nostra città abbiamo sperimentato negli anni buone pratiche. Tuttavia esse non bastano più, risultano insufficienti.

Potrei proseguire l’elenco dei temi sui quali occorre cambiare visione, cercarne una diversa, sperimentare nuove possibilità. Attorno all’urbanistica, (con particolare riferimento ai quartieri Novello ed Europa), per esempio, attorno all’ambiente e al lavoro. Sarebbe troppo facile per me mettere in elenco anche il tema della cultura.

Quel che penso, in sintesi, è che se le forze politiche che si richiamano ai valori della uguaglianza, della libertà, dei diritti civili vogliono davvero proporsi per il governo della città non possono correre il rischio di cadere nell’inganno dell’aggiustamento qua e là, del tanto in fondo va tutto bene.



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