di Denis Ugolini
Il governo Monti è il risultato della debolezza e della pochezza della politica italiana di questi anni. Ridotta, quasi esclusivamente, al contrasto fra partigianerie nemiche. Il bipolarismo del sistema politico non è stato il confronto fra una maggioranza solida e compatta di governo ed una opposizione altrettanto solida e compatta di proposizione alternativa. È stato contrapposizione. E non solo: la maggioranza, uscita dalle elezioni, si è frantumata fino alla impossibilità di esprimere una minima azione di governo; l’opposizione è stata sbrindellata e divisa quasi su tutto, tranne l’antiberlusconismo. Da tempo impazza la crisi finanziaria ed economica. È a rischio, non solo il nostro paese, ma l’euro e la stessa Unione europea. Occorre un fronteggiamento unitario del debito sovrano degli stati, un governo politico e fiscale dell’Unione europea. L’Italia deve fare la sua parte onerosa, dato l’ammontare del debito, e le molte incongruenze del sistema paese. Il governo Monti è nato per fronteggiare l’emergenza di una situazione prossima al baratro, nel quale sta già rotolando la Grecia. I mercati finanziari, la speculazione internazionale, i verdetti delle agenzie di raiting, le oscillazioni dello spread, sono un incubo quotidiano. Quasi ci governano dato che rincorriamo e muoviamo in conseguenza. Sotto commissariamento di potestas esterne. Il vuoto della politica, ampio e profondo, è una denuncia universale. I provvedimenti assunti dal governo hanno aumentato ed inasprito la pressione fiscale. L’equità scarseggia. Siamo in piena recessione. E durerà. Disagi sociali crescenti. Protesta e ribellismo si stanno già provando. L’incisività delle manovre montiane si manifesterà (?), ce lo auguriamo. Staremo a vedere. Si parla molto dei provvedimenti di rilancio e per la crescita. Ma allo stato attuale più che cose son state fatte cosette. Nella condizione miserrima della nostra politica, la formazione di questo governo promossa dal Presidente Napolitano e sostenuta dall’”obbligato” consenso delle maggiori forze parlamentari (PDL, PD, Terzo Polo), era l’unica soluzione in campo. È auspicio che operi, possibilmente meglio di quanto sta facendo, fino alla fine della legislatura nel 2013. La nostra attesa era che Monti fosse meno “politicante” e più “tecnicamente” deciso. Che le cose scritte negli editoriali domenicali del Corriere della Sera fossero obiettivi precisi del suo programma di governo. Deve fronteggiare un’emergenza: lo faccia. Liberalizzazioni ne occorrono. Assai di più ed in altri ambiti, soprattutto. Ad esempio per i servizi locali (gas, acqua, nettezza urbana). Metta mano con decisione allo scempio e allo spreco di queste “partecipazioni comunali” che vivono in regime di monopolio e che sono anche volano di pazzeschi “costi della politica”. Su questo fronte avvii davvero un processo concreto di liberalizzazioni e di privatizzazioni. Abbia il coraggio di forzare quei sistemi di potere locale e regionale che con queste strumentazioni si fanno sempre più dispendiosi, più forti e ingerenti nella vita economica e sociale. Affronti con fermezza i necessari tagli agli sprechi e al dispendio improduttivo di spesa pubblica. Assuma provvedimenti che non solo devono servire a fare cassa, ma devono anche “indurre” un riordino profondo del funzionamento della pubblica amministrazione ed un riordino dell’assetto e del funzionamento delle istituzioni a livello centrale e periferico. Che inducano a riordinare la spesa ed il sistema sanitari; a rivedere il nostro sistema di welfare; a modificare profondamente l’invadente, sprecona, inefficiente burocrazia, al centro come in periferia. Induca al processo veloce e preciso di abolizione delle provincie e di riassetto dello Stato. Provvedimenti che sono in capo alle possibilità dell’azione di governo. E che “obblighino” a riforme che sappiamo competono al Parlamento e alle Regioni. Provvedimenti necessari perché il paese possa riprendersi e riavviarsi. Tali da costringere la politica a darsi almeno una mossa. Che non sia solo quella di preparasi alle prossime scadenze elettorali avendo evitato di fare anche solo un minimo della parte onerosa che i tempi richiedono all’Italia e a tutti. Verso il governo Monti si muovono critiche da parte dei privilegi che non vogliono essere toccati e da parte dei conservatorismi che allignano abbondanti nella nostra società, vedi certo sindacalismo e certe realtà categoriali. Altri si appagano di constatare che piuttosto che niente almeno qualcosa il governo fa. Certo: meglio “piuttosto” che “niente”. Anche “piuttosto”, però, è troppo poco e troppo sproporzionato rispetto a ciò che occorre. Da un governo che nasce in questo modo e che si motiva per le ragioni di urgenza ed emergenza che oramai subissano continuamente la nostra quotidiana attenzione, ci attendiamo di più e meglio di quello che avrebbe fatto (meglio non fatto) il governo precedente o un qualsiasi altro governo espresso dall’attuale classe politica di destra e di sinistra. La politica dovrebbe (dovrebbe esservi costretta) prendere a mano l’esigenza di riformare la Costituzione per uniformare la Costituzione scritta con quella materiale che ha preso il sopravvento: forma e prerogative del governo; compiti, ruolo e funzioni del Presidente della Repubblica; messa in ordine di un sistema istituzionale che diversamente palesa conflitti che possono anche acuirsi.
Modificare le Camere, diminuire il numero dei parlamentari. Rendere coerente un nuovo sistema elettorale che non sia solo pensato per conservare la preminenza di poche oligarchie che nominano “sudditi”, ma abbia capacità di dare senso e contenuto alla rappresentanza democratica e di dare vita ad un sistema politico capace di promuovere maggioranze e opposizioni con un discreto grado di omogeneità al loro interno, capaci di proporre e di reggere proposizioni ed azioni coerenti. Se non ora, quando? A quale ulteriore infimo livello dobbiamo scendere prima che si prenda coscienza dell’impegno e della serietà e responsabilità che sono richiesti ad ognuno? Alla politica ed ai politici, in primo luogo, ma anche ai cittadini, alle parti più attente e responsabili della società e dell’economia. Cioè quegli stessi che dopo avere assecondato e sostenuto la politica che c’è, la disprezzano come se ne fossero totalmente estranei e succubi loro malgrado. Decisi a volerne un rinnovo di cui si spera non continueranno a lamentarsi, per averlo magari cercato secondo gli stessi identici schemi e criteri desueti e fortemente inappropriati con i quali si sono sempre, in gran parte, regolati (rigide appartenenze e schematismi ideologici, favoritismi, clientelismi ecc.) Una smossa, assai profonda e radicale sono in parecchi a doversela dare. Non sappiamo perché ci viene da pensare che in questo paese è sempre stata e continua ad esserlo ancor oggi, purtroppo, straordinariamente minoritaria la cultura liberale, laica e democratica.